Politiche educative

27 maggio 2022

Guerra più guerra non fa pace

Un’occasione per confrontarsi sui grandi temi divenuti ormai epocali delle guerre e della pace: questa è stata l’iniziativa di Flc Cgil e ProteoFareSapere il 25 maggio presso il liceo Terenzio Mamiani di Roma. Gli oratori chiamati a raccontare lo stato delle cose sono stati sollecitati dagli interventi e dalle domande degli studenti e delle studentesse. E in un certo senso hanno dovuto piegare i loro discorsi proprio in virtù di quelle sollecitazioni, che rappresentavano dubbi e angosce di un’intera generazione catapultata improvvisamente nell’era della guerra vissuta, sia pure in modo indiretto. Così, quello che nelle intenzioni della vigilia avrebbe dovuto essere uno scambio di idee e di considerazioni tra il direttore del quotidiano Avvenire Marco Tarquinio e il segretario generale della Flc Cgil, Francesco Sinopoli, si è trasformato in un dialogo tra loro e studentesse e studenti. Lo stravolgimento della “scaletta”, tuttavia, è stato un bene, poiché in una scuola sono loro i protagonisti, non sono solo ascoltatori passivi, e dai loro interventi molto si è capito di come essi ed esse vivono questi mesi di drammatica guerra a distanza. E naturalmente, né Marco Tarquinio né Francesco Sinopoli si sono sottratti alla sfida lanciata da studenti e studentesse.

“Non è che la guerra continua la storia del mondo”, ha subito replicato il direttore di Avvenire, “continua a insanguinarla, è questo che dovremmo riuscire a capire. È un passaggio chiave. Voi state studiando la storia e sapete che c’è una cesura con la Seconda guerra mondiale: il numero dei morti civili ha superato le vittime militari, anche con l’impiego di armi di distruzione di massa. Da quel momento sappiamo che ogni conflitto può portarci sull’orlo dell’apocalisse. Di fatto, nonostante i trattati di non proliferazione nucleare, le armi atomiche sono ancora tra noi. E se l’escalation in Ucraina dovesse continuare in questa realtà così complessa, saremmo davvero vicini all’apocalisse. Si parla di armi nucleari tattiche, ma queste ultime sono più potenti delle bombe su Hiroshima e Nagasaki. Producono lo sterminio di decine di migliaia di persone. E sono qui anche in Italia, nelle basi militari americane a Ghedi e ad Aviano”. Quindi, ha proseguito Tarquinio, “tutte le guerre servono a testare nuovi tipi di armi, drammaticamente, con effetti che non vediamo immediatamente. Sono una guerra contro l’umanità aggiuntiva per le conseguenze di lungo periodo che producono. Le bombe a uranio impoverito sul Kossovo, ad esempio, hanno contaminato le falde acquifere e ci vorranno secoli prima di una eventuale decontaminazione. Ciò è accaduto ovunque. Oggi, ci sono 169 guerre nel mondo”. Per questa ragione, afferma Tarquinio, “diciamo che tutti siamo contro la guerra, poi però la guerra la facciamo, e quelli che sono aggressori da una parte sono quelli che sostengono coloro che vengono aggrediti da un’altra. Allora aboliamo la guerra, come diceva Gino Strada, come ripete papa Francesco”.

A questo punto, alla domanda delle domande posta da uno studente del Mamiani, su cosa è davvero il pacifismo e come si possa uscire da un eventuale velleitarismo, Marco Tarquinio ha replicato, proseguendo la sua argomentazione sulla necessità di “abolire la guerra”: “quando dico di abolire la guerra, intendo abolirla proprio tutta, quella che si fa con le armi e quella che si fa con l’economia, che produce tanti morti. Usiamo altri mezzi, rispetto alle armi e alle sanzioni. E a proposito di sanzioni, non hanno mai ottenuto alcun successo, anzi ha prodotto ulteriori guasti in tante parti del mondo. E io sto con ogni caduto, con ogni caduto, qualunque sia la loro bandiera. Ecco perché bisogna immaginare altre risposte alla guerra. Chiudete gli occhi e ripensate alle immagini di quelle città distrutte in Ucraina. Pensate però che se invece di un esercito in armi l’invasore russo avesse trovato milioni e milioni di persone disarmate proclamare la disobbedienza civile, pronte ad andare in galera. E pensate se questa fosse l’arma atomica che annulla la guerra. Nella storia è già accaduto, con Mandela, con Gandhi, con Robert Kennedy, con Martin Luther King. Gli eroi non sono quelli che ammazzano, ma quelli che non uccidono”. 

A sua volta il segretario della Flc Cgil, Francesco Sinopoli ha svelato che il giorno dopo l’attacco della Russia, il sindacato scrisse una lettera ai ministri dell’Istruzione e dell’Università “proponendo loro di dedicare una giornata sulla guerra coinvolgendo le scuole di ogni ordine e grado, nella consapevolezza che quella guerra avrebbe avuto un impatto fortissimo. Questa lettera non ha avuto risposta. Né ha avuto risposta la domanda sulle risorse per l’accoglienza dei profughi”. A proposito delle domande degli studenti, Sinopoli ha intanto sostenuto che “questa in Ucraina non è la prima guerra in Europa. Negli anni Novanta nella ex Jugoslavia e in Kossovo abbiamo visto le stesse stragi, le stesse distruzioni, i massacri, e i genocidi. Ecco perché dobbiamo interrogarci sulle ragioni di questo conflitto in Ucraina e perché non si trova la pace. I conflitti nel mondo tra le grandi potenze si sviluppano sempre in zone di confine, diventate contese, oggetto di contesa. L’Ucraina è oggetto di una contesa da molti anni. Dopo la fine dei blocchi Est-Ovest, con la fine della guerra fredda, avremmo dovuto integrare la Russia nel nostro sistema, innanzitutto economico, accettando ad esempio la richiesta di Gorbaciov di entrare nella Nato. La domanda vera, dunque, non è se è stato giusto o no inviare le armi, e per me è stato sbagliato. Quante vite possiamo risparmiare e a quale prezzo? Quanto durerà questo conflitto, posto che l’Ucraina era già stata armata dagli Stai Uniti, essendo un territorio conteso tra mondo occidentale e Russia? Si arriva alla pace se si riconoscono necessariamente non le ragioni dell’invasore ma quanto meno la storia che ha preceduto il conflitto e si individuano le alternative. Se la soluzione è abbattere il tiranno, abbattere Putin, la conseguenza potrebbe essere peggiore della stessa guerra. La scelta di abbattere il tiranno non porta a condizioni migliori per i popoli, è la storia della Libia, dell’Iraq, della Siria. Ecco perché bisogna un altro equilibrio nel mondo”. In sostanza, conclude Sinopoli, le guerre dell’ultimo Novecento e del primo ventennio del Duemila non hanno portato a nuovi e più avanzati equilibri di pace. Anzi, al contrario, hanno segnato decenni di sofferenze, e di una “terza guerra mondiale a pezzetti, come la chiama papa Francesco. Il nuovo equilibrio mondiale non può che esser contrassegnato da nuove forme di multilateralismo, anche regionale”.

 

L'autore

Manuela Colaps