Politiche educative

09 marzo 2022

Che l’Ucraina entri nelle scuole

Far entrare nelle nostre scuole in questo momento l’Ucraina non è assurdo ma decisamente necessario e urgente.

L’attacco della Russia sul Paese vicino getta un velo di inquietudine in uno scenario mondiale attraversato da un panorama convulso, per quanto riguarda la cooperazione e il dialogo tra le nazioni, inquietudine che si riverbera inevitabilmente in ogni ambiente scolastico. La filosofa Marìa Zambrano sosteneva che “ciò che ottiene l’unità, l’ottengono tutti”. In questa unità - al confronto con le azioni che gli organismi internazionali devono intraprendere - le comunità educative hanno il compito di elevare un grido di protesta e chiedere esplicitamente una posizione critica dinanzi ai confitti militari e le loro conseguenze nella storia, la società, il pensiero e l’arte.

Il dispiegamento militare voluto da Putin in diversi punti dell’Ucraina e la sua origine geopolitica non devono passare inosservati nell’attività didattica quotidiana degli studenti. La scuola deve programmare una parentesi nella sua attività didattica quotidiana per mantenere unita e ferma la convinzione che la cultura della pace è l’unica via per salvaguardare la memoria collettiva e costruirla a partire dalla consapevolezza di ciò che la guerra rappresenta per il pianeta.

Occorre rilanciare nei centri educativi la Giornata scolastica della Non violenza e della pace. Questo è il momento di superare ogni divisione su contenuti “ornamentali” e di allargare la nostra visione didattica in direzione del pacifismo, basandosi sui principi fondamentali che ispirano i progetti educativi. Già la Ley Orgánica de Educación (LOE), del 2006, riconosceva come uno dei suoi principi “l’educazione alla convivenza, al rispetto, alla prevenzione dei conflitti e alla risoluzione pacifica degli stessi, così come alla non violenza in tutti i contesti della vita personale, familiare e sociale”. Ora è la volta di rendere concreto questo principio nella trasversalità delle nostre azioni pedagogiche dentro le aule e nei contesti interdisciplinari, in un processo curriculare che articola in forma chiara, nell’ambito dell’autonomia pedagogica, il nesso tra i tanti contenuti che si insegnano, ma improntati da pensiero umanistico e da posizioni antibelliciste.

La storia occidentale ha offerto diversi tentativi di comprensione dei conflitti umani su vasta scala, che sono rimasti nella cultura. È accaduto così, ad esempio, con le avanguardie artistiche del XX secolo e nel caso della “arte nuova” - sorta in un’altra epoca convulsa - che Ortega y Gasset volle dissezionare in La deshumanización del arte (1925) (La disumanizzazione dell’arte, trad. it. SE Edizioni, 2020). Analogamente, il gruppo che rappresentò la Guerra civile spagnola propiziò una corrente artistica e di pensiero che intensificò la produzione di filosofi, romanzieri, drammaturghi e poeti (molti dei quali in esilio), come forma di protesta. In questi contesti, ancora l’educazione e la cultura si uniscono per dare un altro passo al fronte.

L’invasione delle truppe di Mosca in Ucraina deve così ricevere una risposta creativa, critica, aperta, non solo nella cultura progressista contemporanea ma anche nel lavoro dei professionisti dell’educazione nelle scuole e nelle università. L’educazione rappresenta il bastione che fornisce la possibilità di un futuro più giusto, pacifico e solidale, del quale abbiamo bisogno. Il solito equivoco che fa temere alcuni di incrociare l’educazione con la politica può propiziare una determinata posizione di apparente distanziamento dinanzi ai conflitti nascosti della modernità, come il razzismo, le questioni di genere o la omofobia. Senza dubbio, l’educazione deve orientarsi, entro i suoi principi giuridici, verso una forma di attivismo critico che lavora assieme ad altre agenzie per la costruzione di una società senza guerre né violenze, cementata dal rispetto per i diritti umani, l’uguaglianza e la giustizia sociale.

Karl Jaspers, nel libro La razón y sus enemigos de nuestro tiempo (1953) (si tratta delle conferenze di Heidelberg nell’edizione sudamericana, Ndt), sosteneva che il dialogo è il cammino indispensabile non solo per le questioni vitali per il nostro ordine politico, ma soprattutto per il nostro essere. L’attacco della Russia all’Ucraina è, per la scuola e per la società, un punto di svolta qualora fosse necessario il dialogo nei corridoi, nei cortili e nelle classi; un evento che ci costringe a trovare formule per trasferire nelle aule i principi dell’intesa e della cooperazione internazionale; gli stessi principi che indussero diversi Paesi a muoversi, dopo la seconda guerra mondiale, per la creazione delle Nazioni Unite, le cui funzioni forse non sono del tutto note alle nuove generazioni attuali, così come non sono del tutto note gli elementi della diversità culturale di molti popoli del mondo.

Diceva Paulo Freire in Pedagogia degli oppressi (Edizioni Gruppo Abele, Torino 2018): “La realtà sociale oggettiva non esiste per caso, ma come prodotto dell'azione degli uomini; non si trasforma per caso”. Spetta dunque al sistema educativo edificare una nuova prassi, incardinata nella quotidianità che ci fa spavento, per trasformare questa realtà sociale che colpirà la convivenza umana del domani.

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Ha inizio con questo articolo la collaborazione con la nostra rivista del professor Alonso Albano, filologo e docente di Letteratura spagnola, ma soprattutto editorialista del quotidiano El Paìs sui temi dell’Istruzione e della filosofia dell’educazione.  

L'autore

Alonso Albano

Filologo e docente di Letteratura spagnola. Editorialista del quotidiano El Paìs sui temi dell’Istruzione e della filosofia dell’educazione.