Politiche educative

09 dicembre 2021

Il ministro Patrizio Bianchi, le sue parole senza contraddittorio, i suoi gravi ritardi

L'ultimo dibattito su cui il Ministro dell'Istruzione, l'ex cattedratico Patrizio Bianchi, non vuole intervenire è quello sulla Maturità, gli scritti dell'Esame di Stato.

Come ho anticipato su La Repubblica, Bianchi vorrebbe riproporre l'esame dell'anno scorso: un lavoro scritto a casa dai maturandi sulle materie guida, precedentemente concordato con i docenti interni e in grado di diventare l'avvio dell'esame stesso. Niente scritti durante la prova, né il tema d'Italiano né il secondo scritto sulla materia cardine per quell'indirizzo di studio. Solo un largo orale. L'anno scorso ha funzionato. Quest'anno, invece, dopo le notizie che abbiamo scritto su Repubblica, si è sviluppato un dibattito, perlopiù contrario. Diversi intellettuali hanno detto e scritto: "Ministro, salvi l'esame di Italiano". E hanno spiegato le ragioni per cui sarebbe utile, fors'anche necessario, farlo. 

 
Negli ultimi venti giorni Bianchi non ha detto una parola sul tema (in tutti e due i significati) negandosi a qualsiasi intervista. Mi piacerebbe sottolineare qui una questione: è usanza di ogni ministro dell'Istruzione contemporaneo insediarsi in questo ruolo così importante e smettere dopo poche settimane di dare notizie, smettere, soprattutto, di rispondere alle domande e costruirsi, invece, un sistema per cui si preferisce rispondere solo alle questioni gradite, si va unicamente nelle trasmissioni dove non c'è preparazione specifica sulla materia e dove il capo del dicastero più importante del Paese può ripetere, incontrastato, banalità già sentite cento volte (nello specifico, "la scuola non ha mai chiuso", "la scuola deve essere accogliente", "abbiamo investito denaro come mai prima sulla scuola": due su tre, tra l'altro, sono cose non vere). Le informazioni, ecco, si trasformano in una propaganda sempre più vuota e le domande restano senza risposta. 
 
In questo era regina Lucia Azzolina, una fabbricatrice unica di caos scolastico al quale non dava mai risposte e spiegazioni negando l'evidenza e scatenando i fans di Facebook contro chi faceva domande o considerazioni. Un anno dopo continua a fare lo stesso, scrivendo libri vittimisti. Il cattedratico Patrizio Bianchi, dopo aver scritto - lui prima di insediarsi - un bel tomo sulla scuola, da ministro ha preso uguale abitudine. Meglio, andazzo. Non risponde, va alle trasmissioni popolari, disinformate e blindate. Sforna non verità e mezze verità. La scuola ha chiuso, eccome, ministro. Sta chiudendo ancora. E, in verità, ci sono più soldi del solito sulla scuola così come ci sono sui trasporti, sull'ambiente, sull'università. Su ogni ministero, ecco. Per la semplice ragione che ci sono i soldi europei del Piano nazionale di resilienza e ripresa, mai visti nella storia della Repubblica italiana (e sono da restituire, a partire dal 2026).
 
Credo che questo ministro dell'Istruzione abbia fatto alcune cose positive per l'istruzione italiana: ne ha tranquillizzato le decisioni, prima prese sempre sull'onda dell'emotività impaurita, ha puntato su un recupero estivo innanzitutto umano, ha contribuito a mettere al centro l'istruzione tecnica. Ma su altre questioni, ancora più importanti, il ritardo è già innegabile. Non si vede il respiro delle grandi riforme, e neppure delle semplici riforme, in un anno che ha conosciuto due fenomeni enormi e contrapposti (due stagioni di scuola con il virus e una quantità di risorse, appunto, mai vista prima). Non ha dato risposte serie e progettuali al precariato, possiamo dire anche al precarato migliore, quello che ha attitudine per l'insegnamento e voglia di apprendere e passare sapere. 
 
Non sta offrendo, parliamo sempre di Patrizio Bianchi, un contratto all'altezza delle promesse e delle parole (e all'altezza di ciò che è giusto) a una classe docente in cattedra e precaria. Non si può avere un investimento eccezionale, per molti versi indipendente dalle volontà di governo, sulle infrastrutture scolastiche (asili, palestre, mense) e poi mettere in Legge di bilancio i soliti quattro, offensivi spiccioli per il rinnovo per i docenti e i bidelli. Si devono mettere qui, sul riconoscimento economico, le basi del riconoscimento sociale di una classe professionale a cui si chiede di tornare a essere centro culturale del Paese. Lo ha chiesto il presidente del Consiglio nel suo discorso di insediamento alla Camera. 
 
Se non partiamo dallo stipendio, poi non potrà venire tutto il resto, di cui la politica - compreso il ministro - si riempie la bocca (ma solo nelle trasmissioni dove sa di non rischiare nulla).
 
Un'ultima cosa. Tutti i ministeri dell'Istruzione contemporanei hanno mostrato dipendenza, di pensiero e di azione, dal governo. Dal Mef, dalla Salute, dalla presidenza del Consiglio. Eppure, la qualità e la responsabilità dell'amministrazione del Mi dovrebbero garantirgli una sincera autonomia. Anche Patrizio Bianchi, quelle poche volte che parla, non sembra usare parole sue.

L'autore

Corrado Zunino