Ricerca

23 novembre 2021

Libertà di ricerca: cosa ci dice la legge di bilancio?

Il disegno di legge di bilancio 2022 prevede nuove risorse per gli enti pubblici di ricerca.

L’articolo 104 stanzia, al comma 1, 90 milioni di incremento del fondo ordinario degli enti vigilati dal Ministero dell’università e della ricerca, che diventano 100 dal 2025. Di questi, 30 (40 nel 2025) vanno al bilancio degli enti escluso il CNR (di cui 2,5 destinati alle residue stabilizzazioni dei precari), 40 alla trasformazione dei ricercatori e tecnologi di III livello (che diventeranno “a esaurimento”) in primi ricercatori e primi tecnologi di II livello, 20 milioni per la “valorizzazione del personale tecnico-amministrativo”.

Al comma 2 ci sono altri 50 milioni dal 2023 (100 dal 2024) al Fondo Italiano per la Scienza.

Al comma 4 si istituisce un Fondo italiano per le scienze applicate, pari a 50 milioni nel 2022 e poi a crescere fino a 250 milioni dal 2025.

Al comma 4 ci sono i fondi (30 milioni) per il “finanziamento premiale dei Piani triennali di attività e di specifici programmi e progetti, anche congiunti, proposti dagli enti”.

L’articolo 105 prevede invece un finanziamento di 60 milioni di euro (80 dal 2023) per il CNR (di cui 10 per la stabilizzazione dei precari”), il più grande ente di ricerca, che però, in cambio, dovrà sottoporsi a un “piano di riorganizzazione e rilancio”.

L’articolo 106 finanzia con 5 milioni di euro il CNR per la ricerca sulla Xylella.

Perché con tutte queste risorse in più per la ricerca c’è da essere preoccupati?

La prima cosa che farebbero queste norme così approvate è spaccare il settore degli enti di ricerca: da una parte quelli vigilati dal MUR, con i finanziamenti per bilanci, contratti nazionali, valorizzazione professionale e stabilizzazioni, dall’altra quelli vigilati dagli altri ministeri, senza risorse. Con molta fatica si era arrivati, con il Decreto Legislativo 218/2016, a una costruzione unitaria del sistema degli enti di ricerca. Con questa legge di bilancio si ricrea una cesura. Va notato che gran parte dei fondi “in più” sono sottratti a quelli già previsti dalla legge di bilancio 2020 che istituiva l’ANR (Agenzia Nazionale per la Ricerca), che, pure se nata male, era un tentativo di governance unitaria del sistema ricerca di cui tanto ci sarebbe bisogno. Erano 183,5 milioni che sono cancellati.

Seconda questione: si decide, in analogia con quanto accaduto nelle università, di mettere “a esaurimento” la figura del ricercatore (e tecnologo). Il meccanismo è delegato a una legge, mentre il settore della ricerca (a differenza di quello dei docenti universitari) ha un contratto nazionale a cui rispondere. Predisporre una riforma del reclutamento fuori dalla contrattazione nazionale è un altro segnale pessimo, che peraltro spacca in due il personale: da una parte i ricercatori e tecnologi, dall’altra i tecnici-amministrativi.

Infine c’è la questione del CNR: un piano di riforma dell’ente viene affidato a un “Supervisory board” esterno. Si tratta di un commissariamento di fatto da parte del governo per un ente che si giudica non riformabile dall’interno. Nessun ruolo è previsto per la comunità scientifica interna, le organizzazioni sindacali, le lavoratrici e i lavoratori.

Leggi l'articolo sul caso CNR

E allora, se non saranno portate le opportune modifiche che la FLC CGIL chiede, questa legge di bilancio parlerà di un mondo della ricerca diviso in due (enti del Ministero di università e ricerca e tutti gli altri), con due pezzi di personale separati (ricercatori e tecnologi da una parte, tecnici e amministrativi dall’altro), schiacciato, a cominciare dal CNR, sulla funzione strumentale e applicata per il Pnrr e per le imprese.

La ricerca funziona se è autonoma, libera, e indipendente. Il Pnrr non può essere la scusa per fare arretrare un settore che aveva intrapreso la strada giusta per diventare davvero quello che serve al Paese: una comunità di lavoratrici e lavoratori che studia ogni giorno per migliorare la conoscenza di tutte e di tutti.

L'autore

Lorenzo Cassata