La rivista

Dibattito pedagogico

Le difficili strade di una pedagogia della non violenza

Abstract

Il Novecento è stato attraversato da una costante tensione tra il concetto di solidarismo, nella duplice declinazione socialista ed ecclesiale, e spinte nazionalistiche. La prosa e la poesia di Giovanni Pascoli di inizio secolo, in cui vi era la traccia profonda del pensiero di Giovanni Semeria, sono state la sintesi, in senso interventista, di tali tematiche. La pedagogia di don Milani, insieme a quelle di Aldo Capitini e Paulo Freire, ha operato un radicale rovesciamento di prospettiva, restituendo dignità culturale alle pratiche del rifiuto della guerra e promuovendo il primato della coscienza sulla legge dello Stato. Le linee guida del 2024 sull’insegnamento dell’educazione civica in Italia mostrano in tal senso un arretramento che rende attuale la riflessione sulla nonviolenza.

The twentieth century was marked by a constant tension between the concept of solidarism, in its twofold socialist and ecclesial declination, and nationalist drives. The prose and poetry of Giovanni Pascoli at the beginning of the century, in which there was a deep trace of Giovanni Semeria's thought, were the synthesis, in an interventionist sense, of these issues. Don Milani's pedagogy, together with those of Aldo Capitini and Paulo Freire, operated a radical reversal of perspective, restoring cultural dignity to the practices of refusing war and promoting the primacy of conscience over state law. The 2024 guidelines on the teaching of civic education in Italy show in this sense a backwardness that makes the reflection on non-violence topical.

I pericoli di un’involuzione culturale

Il rapporto ASviS 2024[1] ha nuovamente segnalato un ritardo strutturale dell’Italia rispetto a molti degli obiettivi dell’Agenda 2030. Alcuni fra questi, con un’incidenza più marcata rispetto alla media europea, sono stati considerati, stanti gli attuali andamenti, non raggiungibili. Le aree più critiche sono quelle che pertengono alla lotta alla povertà e alle diseguaglianze, e alla salvaguardia degli ecosistemi terrestri. Il rapporto è corredato da un focus sulla “Sostenibilità nelle nuove linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica”, che analizza alcuni aspetti del DM 183 del 7 settembre 2024[2]. Vi si scorgono alcune preoccupazioni: il recente decreto, se comparato alle norme del precedente triennio, espresse nel DM 35/2020[3], presenta un ripiegamento di idea di cittadinanza. La prospettiva europea e globale si contrae nell’esaltazione di un culto individualistico destinato a sciogliersi nella comune appartenenza alla Patria, intesa in senso nazionalistico e identitario. È peraltro significativo che nel testo del decreto si rimandi alla fonte costituzionale dell’articolo 52, per il quale la difesa della Patria, anche attraverso l’istituto del servizio militare, è sacro dovere del cittadino. Al contempo l’esame dell’obiettivo 16, afferente alla pace, alla giustizia e alla solidità delle istituzioni, si apre con gli allarmanti dati sul ridimensionamento del Servizio Civile Universale (-26,8% delle posizioni messe a bando) da molti anni garanzia di formazione per giovani e di coesione territoriale e sociale. Un ulteriore approfondimento riguarda l’incremento delle spese militari a livello globale (+6,8%), europeo (+16%) e italiano (con una previsione non consuntiva per il 2024 di 29,2 miliardi, comunque in aumento rispetto all’anno precedente), con un trend in crescita per quei Paesi aderenti al Patto Atlantico che non hanno ancora raggiunto la prevista quota di spesa del 2% in relazione al PIL. È stata infine rilevata l’assenza, tra le attuali linee guida, di riferimenti all’educazione alla pace. Le angoscianti vicende geopolitiche, per cui a conflitti di sempre più vasta portata corrisponde l’esautoramento delle organizzazioni sovranazionali, si riflettono dunque sulla concezione della scuola e sulla programmazione culturale nei termini di un latente bellicismo. All’interno di questo quadro sono state sollevate riserve anche rispetto al DDL 1660, che comprime il diritto di manifestare negli spazi pubblici. Torna in mente una poesia di Bertolt Brecht:

«I lavoratori gridano per avere il pane / I commercianti gridano per avere i mercati / Il disoccupato ha fatto la fame. Ora / fa la fame chi lavora. / Le mani che erano ferme tornano a muoversi: / torniscono granate» (Brecht, 2014, p. 57).

Il capitalismo compassionevole e i suoi corifei

L’Enciclica Rerum Novarum di Papa Leone XIII, sintesi culturale delle tensioni politiche che attraversavano l’Italia a cavallo tra Ottocento e Novecento, aveva risolto la lotta di classe in un solidarismo fondato sulla carità (Sabbatucci, Vidotto, 2019). La Chiesa tentava così di sottrarre terreno politico al neonato socialismo partitico e alle organizzazioni operaie, forte di una radicata presenza territoriale centrata sul mutuo soccorso, ma non certo animata da propositi rivoluzionari. L’avanzata dell’industrializzazione di tipo capitalistico era stata accettata: occorreva mitigarne le derive attraverso la formula della “giusta mercede”, la dignità salariale presupposto della pace sociale. Tuttavia l’ecumenismo ecclesiastico mostrava tutta la sua opacità nel connubio con l’imperialismo: il conflitto era stato trasposto e disciolto dal piano interno a quello della conquista e civilizzazione dei popoli africani, che appianava le diseguaglianze con la retorica del bene comune da perseguire, la pulsione regressiva dei fasti di epoca romana (Del Boca, 2012). «La grande Proletaria si è mossa», aveva tuonato Giovanni Pascoli, intendendo in tal modo svincolare l’Italia dal destino subalterno che costringeva grandi masse all’emigrazione. In Libia potevano finalmente morire insieme popolo, nobiltà e borghesia, «l’artigiano e il campagnolo vicino al conte, al marchese, al duca». Le connessioni, nel senso di una riconciliazione, tra solidarismo agapico, scienza e nazionalismo, nodali nella riflessione filosofica di inizio Novecento, hanno avuto proprio in Pascoli un interprete privilegiato (Gentili, 2016).

Tra apocalisse e carità, tra rivoluzione e ambigua fraternità, la scelta pascoliana cade sulle seconde. L’esegesi praticata da Pascoli rispetto all’agape paolina ha risentito della vicinanza del modernismo filtrato dal barnabita Giovanni Semeria. I Poemata christiana di Pascoli sono attraversati da questi influssi: la poesia Agape è il più chiaro tentativo di congiunzione tra carità e prospettiva apocalittica. Le tenebre sono dissolte imbracciando le armi della luce: è la ripresa dell’«induamur arma lucis» della Lettera di San Paolo ai Romani 13,12. Semeria aveva in effetti tentato di dirimere la contrapposizione tra scienza e carità della Prima Lettera ai Corinzi 13, 3-13 avvalendosi di un criterio storico per il quale la scientia paolina era in realtà configurabile come sophia, non certo come razionalismo moderno: quest’ultimo poteva finalmente rientrare nell’alveo della verità cristiana. La Chiesa era di fronte a una decisiva apertura filosofica alle istanze del nuovo secolo; tuttavia il concetto di agape subisce nella retorica interventista di Semeria un’ulteriore curvatura: individuo e Patria giungono a fondersi. La morte in una giusta guerra avviene nella carità di Dio. Le riflessioni di Semeria permeano la prosa pascoliana del 1905 La Messa d’oro, che lo stesso barnabita aveva commissionato in occasione dei festeggiamenti per i cinquant’anni di sacerdozio di padre Geremia Bonomelli, vescovo modernista propalatore di un caritatevole colonialismo. In questo testo, all’ambigua agape si affianca l’ananke, anche questa in un’interpretazione forzata: se nel passo della Prima Lettera ai Corinzi 9,16 essa è la necessità apostolica di annunciare il Vangelo, in Pascoli diviene già imperativo morale applicato al proselitismo bellicista. Di nuovo, l’esistenza del singolo si fonde nel supremo destino collettivo, Dasein che diviene Schicksal, una mistica che è pulsione di morte.

Don Milani contro i cappellani militari

La figura del cappellano militare, eliminata nel 1878, era stata reintrodotta in prossimità dell’entrata in guerra dell’Italia nel 1915. Elementi di rilievo della Chiesa quali Giovanni Semeria, Geremia Bonomelli, Agostino Gemelli furono interpreti di questo ruolo di marcata fede interventista. Dopo una seconda soppressione nel 1922, la funzione fu ripresa e regolata dai Patti Lateranensi del 1929; l’Ordinariato militare per l’Italia svolse il suo ufficio durante la seconda guerra mondiale, pagando un notevole tributo di sangue. Dopo il conflitto, l’organizzazione fu assimilata dalla legislazione repubblicana. L’11 febbraio del 1965, anniversario del Concordato, si svolse una riunione dei cappellani militari in congedo della regione Toscana. L’ordine del giorno che scaturì alla conclusione dei lavori tributava un omaggio a tutti i caduti per la Patria, senza distinzioni di divisa. Non è certo il caso, in questa sede, di discutere delle forme con cui il revisionismo storico si è sovente ammantato di pietas. Alcune parti del documento erano state ben più esplicite nel dileggio delle pratiche pacifiste, qualificando come «insulto alla patria e ai suoi caduti» l’obiezione di coscienza. Essa sarebbe «estranea al comandamento cristiano dell’amore ed espressione di viltà». Il testo del votato ordine del giorno era apparso sul quotidiano “La Nazione” il 12 febbraio 1965. Nelle pagine della Lettera ai giudici, che don Milani aveva scritto il 18 ottobre dello stesso anno e aveva presentato nel processo a suo carico per apologia di reato, il priore di Barbiana aveva raccontato di come questo ritaglio di giornale fosse arrivato, in ritardo di una settimana, presso la scuola del remoto borgo fiorentino e di come avesse innescato la pratica pedagogica di un apprendimento collettivo che aveva avuto quale frutto la Lettera ai cappellani militari, dalla cui pubblicazione era scaturita la denuncia di alcuni ex combattenti. Lontano da ogni velleità specialistica, lo studio era stato condotto su testi di scuola media; coprendo l’arco temporale dei cento anni precedenti, aveva facilmente rilevato quanto la maggior parte dei conflitti non fosse stata una forma di difesa da atti palesemente aggressivi. Alcuni episodi cardine della storia italiana, che hanno contribuito alla costruzione dell’orgoglio nazionale, erano stati smascherati quale pura agiografia. La retorica tardo risorgimentale intorno alla terza guerra di indipendenza si concretava nell’omissione, sui manuali scolastici, delle proposte austriache in merito alla cessione del Veneto in caso di non ostilità da parte del Regno d'Italia. Un’inutile carneficina poteva essere evitata. Si trattava dei medesimi libri che glorificavano le imprese imperialistiche di Libia ed Etiopia, celandone la pochezza politica e il disprezzo per i trattati internazionali sull’impiego di armi improprie. Don Milani rammenta i moti di Milano del 1898, quando la protesta dei lavoratori contro la loro condizione di sfruttamento e contro l’aumento del prezzo del pane fu repressa nel sangue dai “cannoni di Bava Beccaris”. Passa a contropelo le narrazioni tonitruanti sulla vittoria nel primo conflitto mondiale, ricordando che «Giolitti aveva la certezza di poter ottenere gratis quello che poi fu ottenuto con 600.000 morti» (2023, p. 41); riporta a galla l’ignavia, il vuoto politico e le reticenze che consentirono la marcia su Roma del 1922, una delle poche occasioni in cui l’esercito doveva essere mobilitato e il cui indugio costò vent’anni di dittatura. Rimarca che non esistono “guerre giuste”, ma se mai ve ne fosse stata una, questa sarebbe la guerra partigiana, che non è stata offesa di altri Paesi e in cui civili che avevano obiettato si erano fatti soldati per combattere militari di professione che avevano obbedito. Don Milani agiva nella stretta osservanza dei precetti cristiani che, attraverso la dichiarazione Dignitatis Humanae, proprio alla fine del 1965 avevano ribadito la dottrina del primato della coscienza sulla legge dello Stato. Occorreva svincolare la violenza dal nome di Dio: il sacerdote e il maestro avevano trovato un terreno di incontro nella scelta di promuovere la coscienza critica in una scuola di montagna frequentata da ragazzi “timidi e disprezzati” (2023, p. 6). In loro si potevano scorgere i “segni dei tempi” (ivi, p. 11); con una chiara eco della Prima Lettera ai Corinzi 13,12, dovere dell'insegnante è quello di «indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso» (ibid.).  

La pedagogia della non violenza

Tutta la produzione milaniana di questo periodo contiene in sé un ribaltamento del più retrivo nazionalismo: «Non discuterò qui l’idea di Patria in sé. Non mi piacciono queste divisioni. Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto» (ivi, p.36). Siamo nel novero delle tecniche collettive di nonviolenza indicate da Aldo Capitini (1967): gli appartenenti a una comunità soggiacciono a una legge morale che è educazione psicologica dell’individuo che si estende agli altri. Nella tradizione cristiana l’esempio più noto è quello dell’ordine francescano, la cui regola proibisce il possesso di armi e impone la pace con i nemici. Lo sciopero, che nella sua etimologia di “ex operare”, il deliberato sottrarsi al lavoro, presta il fianco talvolta alla sofistica accusa di oziosa inerzia, è vagliato da Capitini in tutte le sue fogge, che comprendono anche lo “sciopero a rovescio”: un lavoro volontario e non retribuito per invocare l’applicazione dell'articolo 4 della Costituzione. Basti citare in proposito l’impresa di Danilo Dolci con i disoccupati di Partinico nel 1956[4]. Capitini menziona espressamente la vicenda di don Milani in merito all’obiezione di coscienza: coloro che la praticavano erano profeti in prigione che attendevano di essere ascoltati. Non poteva esservi in loro viltà se, in ragione della più nobile spinta della coscienza, accettavano incarichi di pari o superiore pericolosità rispetto a quelli di una lotta distruttrice. Pietro Pinna, nel memoriale presentato al processo di Torino del 1949, rilevava il carattere sotterraneo del risentimento generato dall’aver subito la violenza e chiese di essere mandato a cercare le mine inesplose. Era l’impegno materiale e simbolico a rimuovere la pulsione di morte e a ritrovarsi nella “persuasione”, l’aderenza alla vita come verità immediata che si oppone, alla maniera di Michelstaedter, agli artifici di una volontà di potenza che, mentre si proietta nel futuro, si eclissa dal presente. Il rifiuto della violenza presuppone l’uscita dalla paura: il Satyagraha gandhiano è la disponibilità a saper morire opposta al saper uccidere. La nonviolenza si instaura nella cooperazione: è una pratica pedagogica che libera la scuola e le istituzioni da ogni autoritarismo, e nel suo permanente sforzo di verifica rigetta il pericolo intravisto anche da Paulo Freire (2022), quello di una leadership che proponendosi come rivoluzionaria lascia invece inalterati i rapporti di sopraffazione. La vocazione interculturale, articolata sul piano della dialettica oppressi/oppressori, che aveva informato tutta la pedagogia freiriana, si dispiega limpidamente. Ecco il metodo attraverso il quale l’oppresso può ricacciare da ogni andito della coscienza l’indesiderato eppur presente ospite, l’oppressore che riperpetua la paura attraverso la violenza fino a causare la nevrosi finale: la vittima è dalla parte del proprio carnefice, nell’abbandono autodistruttivo. L’evoluzione del fenomeno bellico analizzata attraverso il terribile computo delle vittime civili, sottrae ogni argomento ai fautori delle “guerre giuste” e delle “armi intelligenti”. I ragazzi di Barbiana studiavano i dati di Max Born: se nella prima guerra mondiale i morti tra i civili rappresentavano il 5% del totale, mentre quelle tra le fila degli eserciti il restante 95%, nel secondo conflitto mondiale i dati sono in sostanziale pareggio (48%-52%); per la guerra di Corea, in rapporto ai civili, «si può ormai sostenere che i militari muoiono incidentalmente» (ivi, p. 28). La contemporanea tecnica applicata alla guerra, con la sua pretesa di espellere chirurgicamente il male incistato nel corpo sovrano della civiltà produce, nella complessa elaborazione di un ragionamento morale, una divaricazione in quello che la filosofa della scienza Patricia Churchland (2002) chiama consorzio percettivo e cognitivo-emozionale. Erik R. Kandel (2012), nei suoi studi sul controllo top-down dell’informazione cognitiva emozionale, cita in proposito Joshua Greene: questi, indagando i meccanismi del processo decisionale morale, era giunto a dimostrare l’interessamento di aree diverse del sistema neurale a seconda del dilemma morale proposto. L’uomo si dimostra più disponibile a uccidere se può farlo a distanza: il drone comandato da remoto è la scienza utilitarista del “bene maggiore”, che nell’intervallo spaziale annulla ogni residuo emotivo.

Conclusioni

Di fronte alle derive del neoliberismo populista, alla rapida mutazione degli assetti sociali e alle preoccupazioni derivanti dal rapporto con le nuove tecnologie, la professionalità docente si trova impaniata in una crisi identitaria che impone un riassetto degli orizzonti culturali (Crescenza, 2024). Don Milani, Paulo Freire, Aldo Capitini hanno tentato di ricucire il logorato rapporto tra etica e conoscenza, proponendo «pedagogie dell'educazione morale esplicita» (Lupi, 2021, p. 145): l’uomo in quanto soggetto sociale e politico svela l’inganno linguistico delle strutture di potere e «si educa alla morale nello stesso momento in cui si istruisce” (ivi, p. 147). L’esercizio della cittadinanza, della sovranità dell’individuo su sé stesso, si sostanzia nella continua sorveglianza sulle leggi che regolano il consesso civile. Nel suo opporsi a quanto l’osservazione critica reputa iniquo, la disobbedienza conferma il bisogno della legge morale quale regolatore della collettività. L’anelito alla pace è il durevole lavorio del soggetto in relazione alla comunità. Il problema della mancanza di formazione continua per gli insegnanti, che li relega in una solitudine pedagogica che talvolta eccede in statica autarchia culturale, può trovare una possibile via d’uscita anche attraverso il ripensamento di un civismo che escluda dalla vicenda umana lo scenario bellico, erigendolo a fondamento incoercibile della scuola.

Bibliografia

  • Brecht B. (2014). Poesie politiche. Torino: Einaudi.
  • Capitini A. (2024). Le tecniche della nonviolenza.  Lecce: Manni.
  • Churchland, P.S. (2002). Brain-Wise: Studies in Neurophysiology. Cambridge (Mass.): The MIT Press
  • Crescenza G. (2024). Professionalità docente. Competenze, risorse e qualità: maiora semper premunt. In Bocci F., Crescenza G., Mariani A. (A cura di), Leggere don Lorenzo Milani. Parole chiave, materiali e proposte per comprendere l’eredità culturale della scuola di Barbiana. Lecce: Pensa MultiMedia.
  • Del Boca A. (2012). Gli italiani in Libia. Milano: Mondadori.
  • Freire P. (2022). Pedagogia degli oppressi. Torino: Edizioni Gruppo Abele.
  • Gentili S. (2016). Novecento scritturale. La letteratura italiana e la Bibbia. Roma: Carocci.
  • Kandel E.R. (2012). L’età dell’inconscio. Arte, mente e cervello dalla Grande Vienna ai nostri giorni. Milano: Raffaello Cortina.
  • Lupi, A. (2021). Due pedagogie dell’educazione morale esplicita. Freire e don Milani. Pedagogia più didattica1, 145-158.
  • Milani L. (2023). L’obbedienza non è più una virtù. Milano: Chiarelettere.
  • Pascoli G. (2013). Poesie e prose scelte, progetto editoriale, introduzione e commento di Cesare Garboli, 2 voll., Milano: Mondadori.
  • Sabbatucci G., Vidotto V. (2019). Il mondo contemporaneo. Bari-Roma: Laterza.

L'autore

Federico Ventilii

Università La Sapienza di Roma