La rivista

Dibattito pedagogico

La lezione di Barbiana

Introduzione

Al giorno d’oggi si discute molto della necessità di individuare proposte innovative e moderni approcci pedagogici per la scuola italiana, ormai in crisi da diversi decenni. Tuttavia il sistema scolastico attuale risente delle conseguenze, nel corso degli anni, di scelte politiche poco confortanti, che ne hanno compromesso l’equilibrio, continuamente sottoposto a condizioni destabilizzanti di precarietà. Tutto questo è controproducente per un'istituzione che dovrebbe essere il fulcro di un paese civile, adeguatamente istruito e formato. D’altronde la scuola odierna si trova di fronte a un bivio: da una parte il mercato, con i suoi meccanismi concorrenziali e dall'altra la democrazia, con il suo progetto d'emancipazione umana. E la scuola non può, come Arlecchino, farsi serva di due padroni. Deve scegliere quale principio seguire, quale strada imboccare (Baldacci, 2019). 

L’istituzione scolastica italiana, perseguendo un’istanza di rinnovamento, potrebbe raccogliere l’eredità trasmessa da figure eccelse degli studi pedagogici, come don Lorenzo Milani, il cui metodo didattico segnala un'opportunità unica per trattare il potenziale trasformativo dell'educazione (Frabboni, Pinto Minerva 2013), connesso alla responsabilità sociale dell'insegnamento in un’ottica multi-inter-trans-culturale dell’operato dei docenti, attualmente sottoposti a fronteggiare un mondo globalizzato all’insegna di mutamenti strutturali.

La riflessione educativa di don Lorenzo Milani

L’articolo 3 della Costituzione italiana, entrata in vigore nel 1948, afferma che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini. La scuola italiana, al contrario, non è stata sempre in grado di adempiere pienamente alla finalità di rimuovere le disparità sociali, profondamente radicate nella società e spesso ha subito ineluttabile il progresso prima e il trionfo poi dell’omologazione di massa. La letteratura, già nell’immediato dopoguerra, denunciò questi mutamenti antropologici (costumi, stili, mentalità), provocati dall’industrializzazione e l’istituzione scolastica divenne, con le sue rigide divisioni interne, la minima rappresentazione di una realtà più complessa.

Tuttavia, quando si fanno considerazioni sul sistema scolastico italiano contemporaneo, non si parla mai abbastanza del lascito culturale, sociale e pedagogico della Scuola di Barbiana, un’istituzione educativa alternativa situata in un piccolo villaggio toscano negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento; la scuola fu fondata e gestita da don Lorenzo Milani, figura affascinante e rivoluzionaria, il quale, opponendosi al sistema educativo tradizionale (rigido e di impianto classista ottocentesco), si dedicò alla formazione di giovani provenienti da famiglie contadine, relegate ai margini della comunità. Egli entrò in seminario il 9 novembre 1943 e fu nominato sacrestano, nonostante l'opposizione nei confronti della scelta religiosa della sua famiglia, proveniente dall’ala ricca e colta della borghesia fiorentina delle professioni. Lavorò a fianco del parroco Don Daniele Pugi come cappellano dal 1947 al dicembre 1954 a S. Donato di Calenzano (FI)[1], ove fondò una scuola popolare serale rivolta a chi non possedeva il diploma di quinta elementare, maturando già la consapevolezza della propria difficile posizione a causa di rapporti controversi con le altre diocesi; non è un caso che, ancora oggi, i suoi scritti e le risposte date alle sfide pastorali e pedagogiche del suo tempo suscitino un coinvolgimento emotivo immediato, portando a una piena adesione o a un netto dissenso. La scuola, intesa come la possibilità di un riscatto di classe derivato da un’elevazione culturale, ebbe molta risonanza: «La Scuola Popolare, col suo non costar nulla è invece una testimonianza vivente che al mondo i valori più grandi si raggiungono col minimo di mezzi» (Melloni, 2017, p.157). Sin dai primi mesi del suo operato come cappellano fu tangibile l'approccio missionario del suo progetto che sentiva la necessità di istituire una scuola serale presso la canonica, aperta a tutti i giovani che avessero estrazioni popolari, senza distinzioni politiche, stimolando le classi meno abbienti a svincolarsi da un sistema sociale, politico e scolastico che privilegiava le classi dominanti e rilegava chi non ne faceva parte, anche culturalmente, in una posizione di subalternità. Il sacerdote era convinto che fosse essenziale garantire a tutti la possibilità di padroneggiare il linguaggio e comprendere i significati delle parole per opporsi a tali logiche gerarchiche: «Nasce così la Scuola Popolare di S. Donato, un’esperienza educativa straordinaria che presenta già i prodromi della successiva e più nota Scuola di Barbiana. L’obiettivo della scuola popolare era quello di dare la parola ai poveri, non parlare ai poveri o dei poveri, ma fornire loro gli strumenti necessari per far sentire la propria voce e per esprimere il proprio pensiero. La scuola diviene una possibilità di condivisione della condizione del povero per instaurare processi di cambiamento, di emancipazione, in vista di una società più giusta» (Sani, Simeone, 2011, p.188). Dunque la parabola educativa di don Lorenzo Milani, prima di raggiungere il suo punto apicale a Barbiana, si plasma necessariamente nel corso della sua esperienza a S. Donato di Calenzano. Il 23 novembre 1954 don Lorenzo fu nominato priore della chiesa di Sant’Andrea a Barbiana, una piccola parrocchia a 470 m. nella montagna del Mugello, che raggiunge il 7 dicembre. Nonostante la zona fosse caratterizzata da una povertà estrema, con strade malridotte e avverse condizioni di vita ed egli stesso avesse compreso la vera natura di quel provvedimento, che di fatto era un esilio, accettò obbediente l’assegnazione e si impegnò con determinazione nel suo ruolo, perseverando nella rivoluzione educativa che aveva appena avviato (Melloni, 2017). Riscontrando le medesime problematiche con la povertà, decise di affrontarle con un progetto pedagogico di più ampia portata, istituendo la “Scuola di Barbiana” nel 1956. Fu una comunità più che una scuola e vigevano regole differenti da tutte le altre istituzioni, in quanto l’obiettivo principale era offrire un’educazione individualizzata ai giovani locali, la maggior parte dei quali figli di contadini e operai. Sebbene la scuola si sciolse nell'ottobre del 1968 (un anno dopo la scomparsa di don Lorenzo), le nuove metodologie sperimentate si diffusero ampiamente e celermente. Nella sua ottica doveva essere abolita l’impossibilità di discutere alla pari con chi era più istruito, poiché il problema dei poveri era dovuto a questa stretta correlazione tra il loro basso livello di istruzione e il saldo divario che li separava dalle restanti classi sociali. Nella sua “pluriclasse”, che accoglieva alunni provenienti dalle più disparate circostanze, si adottava un approccio personalizzato, che valorizzasse le potenzialità di ciascuno, tenendo conto delle dissimili velocità e modalità di apprendimento. Il discente non era considerato un generico fanciullo cui bisognava insegnare a leggere e a scrivere, trasmettendo e inculcando passivamente un sapere preconfezionato, ma il figlio dell’operaio o del contadino, che viveva un mondo completamente diverso da quello presupposto dalla scuola tradizionale, come aveva già teorizzato la celebre educatrice Maria Montessori. Contrariamente, la cultura dominante interpretava la povertà dilagante, in particolar modo nelle periferie italiane, con il falso pregiudizio che i poveri lo erano stati da sempre, per tale ragione non c’era necessità che si sentissero offesi, né che fosse realizzata un’alternativa per la loro umile condizione. Il testo base che con la sua dirompente prospettiva esemplifica lucidamente la strategia formativa messa a punto a Barbiana è Lettera a una professoressa, un testo iconico nel dibattito culturale, che contribuì sensibilmente a sollevare questioni cruciali riguardanti il ruolo dell’insegnante e la riforma dell’istruzione in Italia; fu distribuito nelle librerie un mese prima della morte di Milani, recando la firma della Scuola di Barbiana. Era stato stampato a Firenze presso Libreria Editrice Fiorentina nel 1967.

Agli insegnanti non era richiesto di adottare strategie relazionali specifiche o possedere una preparazione psicologica particolare, piuttosto di mantenere una coerenza morale nell'importante responsabilità di garantire il diritto di imparare a ciascuno dei loro alunni, sollecitandone l’inventiva; pertanto elemento preponderante era l'enfasi sulle capacità di studenti e studentesse, patrocinando le diversità nel contesto socio-culturale come risorse da valorizzare, all’insegna di una pedagogia più inclusiva, in cui ognuno avesse l'opportunità di emanciparsi socialmente, linguisticamente e culturalmente, indipendentemente dal proprio status sociale. La scuola tentò di agevolare le esigenze individuali di tutti gli alunni, stimolati a supportarsi vicendevolmente, promuovendo un clima di collaborazione e reciproco rispetto; educazione personalizzata e solidarietà divennero quindi i cardini della Scuola di Barbiana, che incoraggiò altresì lo sviluppo di un senso di responsabilità civica, l’adesione alla pace e alla non violenza.

L’eredità culturale e socio-pedagogica della Scuola di Barbiana

Don Milani non esortò a ricercare in Barbiana un modello esemplare da imitare pedissequamente, quanto piuttosto una sollecitazione per edificare qualcosa di nuovo: «Esportare il segreto della Barbiana del Mugello, che sta tutto negli obiettivi, e ripeterne il metodo, che è tutto di impegno e di coerenza, nelle tante Barbiane del mondo, è l’unica possibilità/speranza che ci resta» (Pecorini, 1997, p.150). La sua pedagogia, valorizzando l'autonomia degli individui, si distinse per la sua natura anticonvenzionale, poiché si impegnò a esplorare nuove prospettive, svelando le diverse sfaccettature della realtà, mirando a stimolare nei giovani la volontà di superare barriere spesso insormontabili della divisione classista e fronteggiando le sfide attraverso un sapiente uso critico delle parole. Don Milani così come Paulo Freire, pur partendo da una realtà dissimile (l’Italia centrale l’uno, il Brasile l’altro) si prodigò anche esternamente al contesto scolastico, a stretto contatto con gli ultimi; egli volle garantire ai suoi discenti il diritto all’assoluta verità e conoscenza, affinché diventassero uomini e donne liberi, dotati di tutti gli strumenti per concretizzare le proprie aspirazioni e per difendere i propri diritti. Il metodo di Barbiana, dunque, era un approccio didattico non rigidamente impostato sui libri, ma edificato partendo dalla realtà circostante e declinando l’educazione come pratica di libertà. A ciò si aggiunse notevolmente la riconsiderazione del ruolo del docente, il cui mestiere non era una mera professione. L’insegnamento venne concepito come una vocazione, veicolante un modello nuovo in cui il docente sapeva essere anche un educatore, tutto ciò in un contesto sociale che è ancora oggi in continua evoluzione: «Col quarto Novecento si entra definitivamente nella cosiddetta “società di massa”, i cui membri non contano in quanto persone, dotate di una più o meno spiccata individualità, ma in quanto unità numeriche, senza nome e senza volto» (Langella, 2021, p. 544). Già dagli ultimi decenni del XX secolo molti pedagogisti, sulla scia dei messaggi innovativi propugnati dalla Scuola di Barbiana, maturarono la consapevolezza di ribaltare la logica secondo cui fossero gli alunni a doversi adeguare all’istituzione scolastica; contrariamente era la scuola a doversi ristrutturare in funzione delle esigenze di ogni alunno, riconosciuto soggetto attivo e protagonista. Fu per l’appunto la prosecuzione della messa sotto accusa della scuola, quale sistema di riproduzione sociale e culturale dell’ideologia dominante, ad accentuare l’analisi su codesti processi. In tal senso il Novecento è stato definito il “secolo della scuola” per la progressiva diminuzione dell’analfabetismo (molto diffuso ancora nelle aree dell’Italia meridionale) e la simultanea crescita dei livelli di scolarizzazione; parallelamente però la cultura e la letteratura cominciarono a essere influenzate dal trionfo del mercato e di mezzi comunicativi più potenti e pervasivi collettivamente come la televisione, che, attraverso l’omologazione, ridussero l’individuo, espropriato dalla sua identità, a puro consumatore. Tuttavia, è bene precisare, d'altronde, che l’avvento della televisione dagli anni Cinquanta rese realmente l’italiano una lingua nazionale, sostituendosi gradualmente ai dialetti, poiché né la scuola né la stampa furono in grado di compiere tanto, in un Paese dove l’evasione scolastica era elevata, mentre ristretto era il pubblico dei lettori.

Il problema dell’abbandono precoce degli studi è più attuale che mai, anzi, il nuovo Millennio, pur recando con sé un’ondata di innovazioni, ha incrementato questo dato; ragion per cui molti studiosi hanno avviato un dibattito sul funzionamento interno del sistema scolastico. A seguito di un’analisi, supportata da dati statistici e sociologici, si evidenzia come tale fenomeno, noto in inglese come "drop out"[2], sia estremamente presente nella situazione odierna italiana: nel 2020 la quota di giovani che hanno abbandonato gli studi precocemente è pari al 13,1%, per un totale di circa 543 mila individui[3]. La dispersione scolastica è fortemente condizionata dalle caratteristiche socio-economiche della famiglia di origine, poiché incidenze elevate di abbandoni precoci si riscontrano dove il livello d’istruzione e professionale dei genitori è mediocre.

Un’ulteriore problematica che affligge il sistema scolastico è l’accentuato divario territoriale nei livelli di istruzione. La popolazione residente nel Mezzogiorno è meno istruita rispetto a quella del Centro e del Nord: il 38,5% degli adulti ha il diploma di scuola secondaria superiore, mentre nel Nord e nel Centro circa il 45% è diplomato. Da diversi anni, dunque, uno degli obiettivi principali dell'UE, così come del Governo italiano nel settore dell'istruzione, consiste nel diminuire questo tasso di abbandono scolastico precoce, che comporta una serie di conseguenze nella vita dei giovani e nell'ambito sociale complessivo.

In Italia purtroppo esistono ancora oggi molte “Barbiane”, trascuratezza e declino riguardano soprattutto le scuole di periferia. Tale degrado può derivare da molteplici fattori, tra cui scarsità di risorse economiche, mancanza di manutenzione, problemi strutturali o sociali all'interno di determinate aree. In tali situazioni molti istituti scolastici presentano strutture fisiche in condizioni precarie, carenza di risorse didattiche adeguate, determinando così negativamente l'apprendimento degli studenti e la qualità generale dell'istruzione offerta e contaminando, di conseguenza, questioni sociali più ampie, come la disgregazione della comunità. Una prima soluzione consisterebbe nell’attuazione di politiche per potenziare le infrastrutture scolastiche tramite sussidi finanziari. Questo stato di emarginazione si traduce in un isolamento sociale, infatti un cospicuo numero di giovani, non sentendosi integrati nella cultura tradizionale, sperimenta un profondo senso di disagio e alienazione, il che li può indurre a intraprendere percorsi rischiosi di criminalità. Attualmente, alla luce dei vari provvedimenti legislativi in vigore, è cruciale dedicarsi a fomentare un dibattito aperto e accurato che non inibisca la circolazione di idee e illustrazioni di soluzioni concrete, ma favorisca positivamente un’evoluzione, individuando il ruolo che docenti, famiglie, dirigenti scolastici ed enti locali svolgono nella formazione delle nuove generazioni (il presente e il futuro della società), dal momento che: «La scuola rappresenta l’unica agenzia, nella complessità della società contemporanea, che accompagna i ragazzi dall’infanzia alla maggiore età. È nella scuola, infatti, che si formano le nostre idee di fondo sull’umanità, sulla storia, sulla natura, sull’ambiente, sull’universo, sulla società, sulla mente, sui problemi planetari, sul sapere stesso. Ed è nella scuola che si pone il problema dell’organizzazione delle molteplici informazioni e conoscenze che ogni giorno provengono dalle fonti più disparate» (Crescenza, 2017, p.174).

È necessario pertanto adoperarsi nell’attuazione della “pedagogia della parola”[4] di stampo milaniano, perché il modo con cui usiamo le parole e il linguaggio influenza profondamente la nostra comprensione del mondo e le relazioni sociali. «Fornire l’uguaglianza delle opportunità educative significa riequilibrare divari e svantaggi di ordine cognitivo e socio-affettivo di partenza, dando di più a chi potenzialmente o socialmente ha avuto di meno, cercando di accorciare le differenze in termini di possibilità, affinché non si trasformino in vere e proprie diseguaglianze» (Crescenza, 2021, p.96). Si dovrebbe, quindi, ripartire dalle basi, consci chiaramente delle problematiche odierne, e applicare concretamente ciò che richiede anche la Costituzione. A tal proposito, auspicando che la scuola venga considerata come tema fondamentale dalla classe dirigente politica, è importante richiamare l’articolo 34: «La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso».

Conclusioni

Nelle discussioni contemporanee sull'istruzione, avendo preso consapevolezza di quanto la cooperazione tra scuola, famiglie e ambiente circostante sia fondamentale per garantire un apprendimento e una formazione considerevoli nei singoli individui, la diffusione delle innovative proposte didattiche della Scuola di Barbiana in varie realtà educative, sia nel ventesimo secolo che nel nuovo millennio, testimonia l’ampiezza della sua portata e l’irriducibilità della figura del suo promotore, molte volte declassato dagli studi pedagogici, sociali e storici.

Non casualmente, attraverso un'analisi minuziosa dei principi cardine di questa scuola e dell'evoluzione del suo impatto nel corso del tempo, la ricerca ha confermato l’autorevolezza e la solerzia della sua eredità: Don Lorenzo Milani con tutto il suo bagaglio culturale ha lasciato certamente un'impronta indelebile nel campo dell'educazione, progettando un modello pedagogico sfidante le convenzioni tradizionali e sostenente l'uguaglianza. Attualmente è necessario prodigarsi al fine di condurre avanti il suo spirito di equità e di coinvolgimento comunitario nell'istruzione, mediante azioni concrete e continue che onorino incessantemente il suo lavoro pionieristico, esortandoci a riflettere sulle sfide della contemporaneità, perseguendo un'azione più inclusiva e partecipativa per le generazioni presenti e future.

Bibliografia

  • Baldacci M. (2019). La scuola al bivio. Mercato o democrazia? Milano: FrancoAngeli.
  • Balducci E. (1995).  L’insegnamento di don Lorenzo Milani. Roma-Bari: Laterza.
  • Crescenza G. (A cura di), (2021). Sostenibilità formative. Analisi, riflessioni, proposte pedagogiche ed educative. Roma: Edizioni Conoscenza.
  • Frabboni F., Pinto Minerva F. (2013). Manuale di pedagogia e didattica. Roma-Bari: Laterza.
  • Langella G. (2021). La modernità letteraria. Manuale di letteratura italiana moderna e contemporanea. Milano: Pearson.
  • Lastrucci E., Digilio R. (2020). Don Milani e noi. L’eredità e le sfide di oggi. Roma: Armando.
  • Melloni A. (2017). Don Lorenzo Milani tutte le opere. Milano: Mondadori.
  • Pecorini G. (1997). Don Milani! Chi era costui? Milano: Baldini &Castoldi.
  • Sani R., Simeone D. (2011). Don Lorenzo Milani e la Scuola della Parola. Analisi storica e prospettive pedagogiche. Macerata: EUM.
  • Scuola di Barbiana (1967). Lettera a una professoressa. Firenze: Libreria Editrice Fiorentina.
  • Volpicella A. M., Crescenza G. (A cura di), (2017). Una bussola per la scuola. Nuove strategie pedagogiche e didattiche per gli studenti di oggi. Roma: Edizioni Conoscenza.

[1] Nella Scuola Popolare di San Donato pose le fondamenta della sua attività didattica; l'esperienza pastorale andò poi a costituire il libro Esperienze Pastorali (1958), in cui esegue un’analisi sociologica dell’Italia degli anni Cinquanta.

[2] Drop out: studente che ha lasciato la scuola prima di completare il corso di studi e per estensione “emarginato”.

[3] Dati ISTAT: livello di istruzione e partecipazione alla formazione dell’anno 2020.

[4]"Pedagogia della parola" si riferisce a un approccio educativo con particolare enfasi sull'importanza e sull'uso delle parole nel processo di insegnamento e apprendimento.

L'autore

Lorenzo Carola

Università La Sapienza di Roma

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