Costruire una scuola che meriti rispetto o esigere rispetto tout court?
Sono trascorsi 12 anni dalla pubblicazione delle Indicazioni Nazionali vigenti.
Noi credevamo di ritrovare, nel nuovo testo, nuove riflessioni per capire la complessità della nostra società e l’indicazione di nuovi strumenti per costruire una scuola efficace. Non abbiamo trovato niente di tutto questo, anzi, la scuola che ci viene prospettata è una scuola che somiglia un po’ a quella dell’Ottocento.
Noi credevamo di sentir parlare ancora di cittadinanza, di cittadinanza attiva che la scuola contribuisce a promuovere, di diritto alla parola e di lingua come esercizio di cittadinanza, di attitudini importanti che la scuola dovrebbe favorire e far sperimentare, come la cooperazione e la solidarietà. Abbiamo trovato, invece, indicazioni sui talenti individuali (innati, si presume, citati ben 11 volte) da coltivare.
Credevamo di sentir parlare in modo competente ed efficace di ambiente di apprendimento, di inclusione, di costruzione della conoscenza. Abbiamo trovato invece l’esaltazione del Maestro (con la maiuscola) che insegna, che è “magis”, che deve essere oggetto di “reverentia”.
Credevamo, soprattutto, di sentir parlare di una scuola che accoglie i bisogni e che rispetta e garantisce i diritti delle bambine e dei bambini a esprimersi e a comunicare. Invece la scuola viene definita semplicemente “sede principale per la trasmissione di conoscenze legittimate in senso storico-culturale”. TRASMISSIONE è una parola in cui non ci riconosciamo, crediamo nella costruzione della cultura, non nella trasmissione di informazioni.
Ma, d’altra parte, anche la parola cultura è scomparsa, si parla della scuola come istituzione culturale, solo per dire che rischia di non essere considerata come dovrebbe (non di come dovrebbe porsi e agire per essere considerata positivamente), poiché il rispetto le è dovuto a priori e chi le manca di rispetto va perseguito. «Dileggiare una scuola, sporcarne le pareti, distruggerne gli arredi, offendere un insegnante, non sono solo azioni eticamente riprovevoli, da condannare e stigmatizzare anche con la richiesta di risponderne da parte delle famiglie, ma sono i segni preoccupanti di un cedimento valoriale del rispetto e della fiducia dovuti all’istituzione culturale più importante del nostro Paese».
Credevamo che fosse compito degli adulti prima di tutto predisporre spazi e ambienti decorosi, curati, addirittura belli, dove accogliere bambini/e e ragazzi/e che vi trascorrono molte ore della loro vita. Tanto più che è provato che ambienti curati, gradevoli e “belli” promuovono atteggiamenti di rispetto e di cura.
Docente professionista o docente un po’ Dante e un po’ San Francesco?
Credevamo di vedere delineata l’immagine del docente come professionista che costruisce la sua competenza e la consolida in un percorso di autoformazione continua e in modo collegiale. Ci viene detto, invece, che essendo i docenti persone «che hanno scelto di spendere la propria vita […] al servizio delle nuove generazioni» sono comunque «magis». Inoltre che ogni Maestro d’Italia dev’essere un po’ Dante e un po’ San Francesco, un po’ Michelangelo, un po’ Montessori (in realtà solo quest’ultima era una maestra, anche se con la “m” minuscola perché donna). «Nessuno dei grandi maestri della storia, da Dante a San Francesco, da Michelangelo a Montessori, ha mai insegnato nulla se non attraverso la propria viva testimonianza. E gli studenti amano l’eccellenza per quel sentimento naturale di allegria contagiosa che suscita la vista del bello, del vero, del giusto in-carne-ed-ossa. E per il desiderio di emularli». Facciamo fatica a immaginare i nostri alunni e le nostre alunne che muoiono dal desiderio di emulare quei maestri e maestre.
Credevamo di sentir parlare del gruppo-classe come di una comunità cooperativa di ricerca nella quale l’insegnante stimola, coordina, suggerisce e valorizza il lavoro degli alunni e delle alunne per motivare ognuno/a alla partecipazione e alla costruzione di un sapere condiviso.
Individui talentuosi o cittadini e cittadine?
Quali bisogni vengono riconosciuti ai bambini e alle bambine? «Bisogni di sicurezza, di essere amati, di formarsi un’immagine stabile e positiva di sé, di vivere in un ambiente sereno, di imparare con gioia». Non viene considerato il bisogno di esprimersi, di cooperare con gli altri, di partecipare, di contare. Si dice che «finalità principale della scuola è l’acquisizione delle conoscenze e delle abilità fondamentali per sviluppare le competenze culturali di base nella prospettiva dello sviluppo integrale della persona e dei suoi talenti».
Credevamo che la scuola dovesse contribuire a formare cittadini e cittadine capaci di lavorare per il bene comune, di costruire insieme una società migliore e più giusta. Lo sguardo, invece, è sull’individuo che fa il suo percorso in solitaria e che «in virtù delle ‘regole’ (regole di comportamento, ma anche regole tratte dai contenuti e dai metodi delle stesse discipline, come, per esempio, le regole di grammatica) […] interiorizza il senso del limite e un’etica del rispetto».
Il valore pedagogico di apprendere attraverso l’interazione con gli altri, nell’aiuto reciproco, nel progettare insieme (concordando compiti, incarichi, tempi…) viene completamente ignorato.
Educazione linguistica o trasmissione della lingua?
Sull’educazione linguistica, compito fondamentale di una scuola che voglia essere inclusiva e formare cittadine e cittadini attivi/e noi credevamo di sentir parlare, in questo documento fondamentale, di diritto alla parola, di diritto all’ascolto, di diritto all’espressione. Di sentir dire che a scuola ogni bambina, ogni bambino arriva con il grande potenziale della sua lingua, la lingua in cui è vissuto/a fin dalla nascita, con cui è stato/a in contatto con le persone importanti della sua vita, la lingua che usa per i suoi bisogni, la lingua con cui può esprimersi e narrarsi. Credevamo di sentir dire che ha diritto a essere ascoltato/a perché l’ascolto è la prima forma di accoglienza, che ognuno/a ha diritto di poter usare, all’inizio, anche la sua lingua per “essere” nel gruppo. Credevamo di sentir dire che partendo da qui si intrecciano le strade che fanno sì che si costruisca pian piano anche la lingua comune che permette di stare insieme in modo più pieno e che allarga l’orizzonte.
Invece si parla ancora di “trasmettere”, non di accompagnare chi impara, mentre la lingua da “trasmettere” si suppone immutabile. Si tratta di «valorizzare questo patrimonio, trasmettendo nelle forme riconosciute come legittime dalla comunità colta, comunicando il valore e il significato dello strumento linguistico e la necessità della correttezza». La scuola trasmette e comunica il valore di ciò che trasmette: ecco che si accenna al comunicare, ma in tutt’altro senso rispetto a quello che riteniamo importante. In questo quadro «gli alunni di origine straniera devono comunque acquisire la conoscenza della lingua italiana: è assolutamente evidente che l’integrazione passa in primo luogo dal poter parlare italiano, e dal piacere di farlo». L’integrazione è intesa come assimilazione.
Non si parla del grande potenziale di arricchimento che ha la presenza nelle nostre classi di bambine/i portatrici/ori di altre lingue e culture capace di ampliare conoscenze e aprirci al mondo stimolando importanti momenti di comparazione fra lingue diverse nella fonetica, nel lessico, nella struttura morfosintattica, nei presupposti culturali che ne stanno alla base.
Noi credevamo che, a distanza di 12 anni dalle Indicazioni precedenti e di fronte a un’evoluzione della società che l’ha resa più complessa e multiculturale, avremmo trovato ribadita l’importanza di lavorare per l’educazione linguistica «a partire dalle competenze linguistiche e comunicative che gli allievi hanno già maturato nell’idioma nativo” in una “prospettiva plurilinguistica e multiculturale». Ma di tutti questi giusti richiami contenuti nelle Indicazioni precedenti, non c’è più traccia.
Scrittori o scrivani? Per comunicare con la scrittura bastano il corsivo, la calligrafia e la correttezza ortografica?
La conquista della scrittura, la cui responsabilità da sempre è attribuita alla scuola, è un altro diritto fondamentale. La scrittura apre a nuovi universi espressivi, consente di entrare in comunicazione anche con chi è lontano, di condividere pensieri e parole anche con chi è assente, consente di creare oggetti che permangono nel tempo, che portano bellezza e fanno nascere emozioni e pensieri. Le Indicazioni ci invitano ad accontentarci di una visione più ristretta che consiste nell’«acquisire gli strumenti necessari per l’‘alfabetizzazione funzionale’, tappa necessaria, come si riconosce da secoli, nel percorso di apprendimento del ‘leggere, scrivere e far di conto’. Si deve trasmettere all’allievo, prima ancora delle regole, e assieme ad esse, il sentimento dell’importanza della correttezza linguistica e formale in contesti diversi»; la scrittura «va curata con particolare attenzione, a partire dall’apprendimento del corsivo e della calligrafia».
Si considera con attenzione la scrittura nel suo aspetto di riproduzione tecnica di segni, mentre la scrittura personale, creativa, è nominata en passant: «La naturale creatività è un’attitudine da difendere e coltivare, ma è bene che, quando un testo diventa ‘pubblico’, cioè quando viene condiviso con l’insegnante e i compagni, aderisca a certe elementari norme formali (grafia comprensibile, chiara strutturazione del testo, rispetto dei margini eccetera), delle quali è bene appropriarsi sin dai primi anni dell’istruzione».
Grazie per avercelo detto. Ci sembra evidente che, sulle scritture pensate e costruite per comunicare e condividere contenuti importanti con dei destinatari precisi, gli insegnanti facciano un prezioso lavoro di messa a punto per accompagnare con cura chi ha, come tutti/e, molte cose da dire ma non ha subito pronti i “talenti” per scrivere bello e corretto.
Credevamo si sottolineasse, invece, l’idea che la scuola ha la grande opportunità di far comprendere le reali funzioni della scrittura e di farne sperimentare l’uso in situazioni reali di comunicazione (come succede ad esempio con la corrispondenza, il giornale scolastico, i diari, le recensioni di libri…) Credevamo di veder ribadito il fatto che le scritture autentiche sono la materia viva su cui lavorare insieme e affinare la competenza.
È apprezzabile il fatto che venga citato il testo libero («Saper scrivere in maniera corretta testi ‘liberi’…») ma non ne viene esplicitata la finalità di strumento di espressione-condivisione del pensiero, dei sentimenti e delle emozioni di chi scrive. Questa pratica importante viene considerata, ancora una volta, semplicemente un espediente per raggiungere la correttezza formale, obiettivo su cui si insiste per tutte le attività di scrittura.
Credevamo, inoltre, che la lingua scritta non dovesse servire soltanto a riprodurre in modo formalmente corretto il mondo esterno («descrivere una situazione, un carattere, un oggetto, un luogo in maniera appropriata; saper riassumere un testo producendo un elaborato corretto ortograficamente e curato nella veste grafica») ma dovesse essere prima di tutto lo strumento principale per esprimere il mondo interiore fatto di pensieri, emozioni e immagini interne e di cui, proprio la scrittura, se sviluppata in maniera consapevole, come indicato dagli studi di Bereiter e Scardamalia, permette l’emersione.
Si enfatizza più volte l’importanza dell’ortografia, che si vuole «acquisita in modo sicuro e naturale nei primi anni di scuola, senza cedere a eccessi di spontaneismo per giustificare errori e usi impropri, poi difficili da eliminare». Ma non si impara a scrivere scrivendo? In particolare, le ricerche sulle prime scritture spontanee (a partire da E. Ferreiro e A.Teberosky) hanno rivelato gli interessanti percorsi di ricerca che fanno i bambini/e nell’esplorare in prima persona, da subito, il “sistema” della lingua scritta. E hanno mostrato come attraverso il confronto tra la propria scrittura spontanea e la scrittura convenzionale il bambino/a sia messo in condizione di evolvere nella sua elaborazione concettuale sul funzionamento del codice scritto anche attraverso gli inciampi, i conflitti cognitivi e gli “errori” che diventano preziose occasioni di riflessione e di crescita.
Credevamo di trovare rinforzata l’idea di un approccio esplorativo e costruttivo della lingua scritta da parte dei piccoli apprendisti scrittori e scrittrici, un approccio capace di motivare bambini/e e farli entrare fin da subito nel complesso universo della scrittura sperimentandone le diverse dimensioni. Troviamo invece un salto nel passato verso una scuola che punta a dare rigide regole del come si debba scrivere soffocando qualsiasi dimensione del piacere di esprimersi e di scoprire come farlo insieme ai compagni/e e all’insegnante.
Crediamo che nessun insegnante pensi banalmente di dover “giustificare” gli errori invece di farne preziose occasioni per riflettere insieme in classe sul funzionamento del nostro sistema di scrittura e per scoprirne le regole.
Una bambina di 7 anni, E., ci racconta:
«Per me scrivere è bello perché mentre scrivo escono le mie emozioni, a me scrivere serve perché mi rilassa la testa. A me scrivere piace perché racconto agli altri quello che ho fatto, a me la scrittura rilassa il corpo. La scrittura serve per imparare le parole, le frasi e dopo le storie fantastiche» (testo condiviso da Elisa Amato, insegnante elementare MCE).
I bambini sanno bene che la scrittura è molto di più che corsivo, correttezza ortografica e riassunti.
Promuovere la riflessione sulla lingua o “presentare” la grammatica?
Dicono queste Nuove Indicazioni che “sarà conosciuta la grammatica per classi di parole, presentata dall’insegnante.”
Noi credevamo che la capacità di riflettere sulla lingua non fosse legata alla “presentazione” dell’insegnante ma si sviluppasse attraverso attività di osservazione, confronto, esplorazione, capaci di stimolare i bambini/e stessi a formulare giudizi, a trovare regole e criteri sul funzionamento della lingua a partire dalla loro competenza di parlanti e quindi dalla grammatica implicita cui fanno riferimento nel comunicare.
«Quanto alle finalità dell’insegnamento utile e intelligente della grammatica, va tenuto presente che esso sarà tale quanto più ci si ricorderà che avere una buona competenza linguistica non vuol dire solo rispettare le strutture e le regole di funzionamento del sistema, ma anche riuscire a valorizzare con scelte consapevoli e appropriate le possibilità espressive che la lingua ci mette a disposizione». Ritorna qui l’ipotesi, ormai ritenuta falsa, che la conoscenza della grammatica abbia effetti positivi sulla capacità di usare la lingua. «Si deve trasmettere all’allievo, prima ancora delle regole, e assieme ad esse, il sentimento dell’importanza della correttezza linguistica e formale in contesti diversi, Questa attenzione alla buona comunicazione si trasforma in maniera spontanea in un positivo autocontrollo che perdura per tutta la vita».
Grammatica come autocontrollo? Pensavamo che la riflessione linguistica servisse a ragionare appunto sul funzionamento del nostro sistema linguistico per coglierne strutture, ricorsività, significati, forme. In poche parole, fosse il campo nel quale esercitare lo studio della funzione metalinguistica del linguaggio verbale, l’unico capace di riflettere su sé stesso.
Per imparare a dialogare basta … essere educati?
Si afferma che gli alunni/e devono «saper partecipare a una conversazione in maniera educata». Noi credevamo che l’interloquire in modo educato fosse attinente a un comportamento da perseguire sempre, non solo in “italiano” e che il problema dell’educazione alla comunicazione orale e al dialogo meritasse una maggiore attenzione in queste Indicazioni. A partire dal sottolineare l’importanza della conversazione che fa emergere interrogativi sui quali riflettere insieme e occasioni per esprimere idee, domande, punti di vista.
Si cresce solo leggendo letteratura “intelligente”?
Si afferma che «leggere testi che contengono idee intelligenti aiuta chi li legge a diventare intelligente a sua volta […] vale a dire che la letteratura – e solo la letteratura – è sia un modo per conoscersi […] sia un modo per imparare a stare nel mondo con consapevolezza, cioè per stabilire relazioni significative, di collaborazione, rispetto, fraternità, con coloro che ci circondano».
Noi credevamo che i testi (difficilmente classificabili in “testi che contengono idee intelligenti” e “non intelligenti”) potessero essere ricchi, appassionati, interessanti e che leggerli non avesse l’effetto di “modellare” il nostro pensiero, ma ci mettesse nelle condizioni di confrontarci con mondi diversi, con il mondo della possibilità, come diceva Bruner.
Insieme al contenuto dei testi, dovremmo imparare a comprendere noi stessi passando attraverso la moltiplicazione di narrazioni che il confronto con diversi testi permette, ma non dobbiamo dimenticare come apporti preziosi in questo senso sono dati anche dalla narrazione orale e dall’ascolto dei racconti che possono nascere all’interno del gruppo classe.
Noi credevamo che obiettivo della scuola fosse anche leggere opere letterarie di vario tipo complesse e coinvolgenti, che gli scrittori e le scrittrici non potessero essere modelli di pensiero, ma, eventualmente, stimoli perché dal confronto con i loro pensieri emerga quello personale di ogni studente, condiviso poi con il gruppo che incontra una storia.
Concordiamo sul fatto che la letteratura sia un modo importante per conoscersi e conoscere gli altri ma non che sia l’unico; pensiamo che ci si possa conoscere prima di tutto stando insieme, lavorando insieme, instaurando relazioni significative, imparando ad ascoltare gli altri e le altre nelle loro differenze e nelle somiglianze con noi stessi e le nostre storie.
Registro alto e registro basso
Le indicazioni invitano a “saper distinguere tra il registro linguistico alto e quello basso e familiare…”.
In un percorso di educazione linguistica costruttivo e di senso vengono esplorati molteplici registri linguistici utilizzati in riferimento a diversi canali, contesti, destinatari, scopi … Limitare tutto ai soli due registri alto e basso ci sembra quanto meno riduttivo.
Credevamo anche che in un mondo nel quale i social media hanno preso un posto importante nella vita dei giovani la riflessione critica sui diversi usi della lingua e la sua efficacia comunicativa fosse centrale.
Rispetto al lessico, poi, si chiede di «Conoscere le principali relazioni fra significati delle parole (sinonimia, opposizione, inclusione); conoscere l’organizzazione del lessico in famiglie lessicali».
Credevamo che le parole fossero lo strumento principale per comunicare ed elaborare il proprio pensiero e che allargare il proprio vocabolario personale servisse per poter capire e dire di più e meglio. Conoscere non è lo scopo principale dell’acquisizione del lessico, le parole servono a essere usate.
Indicazioni per dove?
Credevamo che le Indicazioni fossero rivolte ai docenti per orientarli al meglio nel pensare e costruire i percorsi didattici, ma ci siamo trovate, a volte, davanti a proposte contraddittorie e confusive.
Ad esempio: negli obiettivi specifici di apprendimento alla fine della classe terza della secondaria di primo grado leggiamo: «Ordinare le conoscenze. Saper confrontare informazioni ricavabili da più fonti, selezionando quelle ritenute più significative; riformulare in modo sintetico le informazioni selezionate e riorganizzarle in modo personale (liste di argomenti, riassunti, schemi, mappe, tabelle)». Eppure, nella sezione dedicata alla storia viene specificato: Anziché «mirare all’obiettivo, del tutto irrealistico, di formare ragazzi (o perfino bambini!) capaci di leggere e interpretare le fonti, per poi valutarle criticamente magari alla luce delle diverse interpretazioni storiografiche, è consigliabile percorrere una via diversa».
Ci troviamo davanti a proposizioni opposte tra loro. D’altra parte, sappiamo che molte e molti insegnanti della scuola primaria e della secondaria di primo grado hanno potuto ben osservare da tempo che bambini/e e ragazzi/e sono decisamente in grado di confortarsi con i documenti storici e con tipologie diverse di fonti se guidati e se messi nelle condizioni di poter elaborare riflessioni personali e pertinenti.
Ma l’azione confusiva delle Indicazioni non è finita, proseguendo la lettura degli obiettivi specifici dell’apprendimento della classe terza della secondaria di primo grado, in relazione alle conoscenze, leggiamo: «Non andrà trascurata l’oralità. L’allievo saprà ascoltare testi prodotti da altri, anche trasmessi dai media, riconoscendone scopo, argomento, informazioni principali e punto di vista dell’emittente».
Noi abbiamo sempre creduto e saputo che saper ascoltare e saper riconoscere fossero abilità da sviluppare non conoscenze da costruire.
Com’ è possibile costruire un’offerta formativa e un curricolo di Istituto coerente se le premesse sono poco chiare e contraddittorie?