A marzo scorso è stato resa pubblica la versione provvisoria, offerta al dibattito, delle Nuove Indicazioni curricolari relativa alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo di istruzione. Vedremo in quale misura si terrà conto di tale dibattito e delle numerose critiche che stanno arrivando al documento. L’impressione è che la commissione concepisca questo passaggio in modo meramente rituale. Infatti, più che ragionare sulle critiche ricevute, i responsabili della commissione stanno cercando di delegittimare gli autori di tali critiche definendoli come “radicali” e come animati da motivazioni puramente politiche di opposizione alla presente compagine governativa. Pertanto, probabilmente, la versione finale non conterrà modifiche sostanziali rispetto a quella attuale. Ma quali sono le direzioni fondamentali delle nuove indicazioni? Mi pare che se ne possano indicare almeno due: l’opzione nazionalista e occidentocentrica sul piano culturale; l’opzione determinista e antiegualitaria su quello pedagogico.
Un’anticipazione della tendenza culturale nazionalista si era avuta col volume di Galli della Loggia e Perla, Insegnare l’Italia (2023). Perla è poi diventata presidente della commissione per le Nuove Indicazioni; mentre Galli della Loggia è stato nominato responsabile delle Indicazioni relative alla storia. In quella sede, tale tendenza trova espressione nel ruolo attribuito all’identità nazionale italiana entro il curricolo. Infatti, questa identità viene presentata come il cemento della coesione nazionale dello Stato, come il frutto della sua storia e della sua tradizione. Inoltre, l’idea di nazione subisce una ipostatizzazione che la rende un dato consolidato e non un processo. In questo modo, l’identità nazionale diviene un fondamento, qualcosa da cui si deve partire, anche sotto il profilo pedagogico. In questo modo si prefigurava l’abbandono di qualsiasi prospettiva interculturale a favore di una monoculturale-identitaria.
Questo volume rappresenta il preliminare culturale per comprendere l’orientamento ideologico delle Nuove Indicazioni, unitamente all’intervista rilasciata lo scorso 15 gennaio 2025 al Giornale dal ministro dell’Istruzione e del merito, on. Giuseppe Valditara. In tale intervista, tra le oltre cose, si leggeva: «Verrà abolita la geostoria nelle superiori e ridata centralità alla narrazione di quel che è accaduto nella nostra penisola dai tempi antichi fino ad oggi». E poco più avanti si spiegava che «l’idea è quella di sviluppare questa disciplina come una grande narrazione, senza caricarla di sovrastrutture ideologiche, privilegiando inoltre la storia d’Italia, dell’Europa, dell’Occidente». In questa maniera, si prefigurava un curricolo dal profilo chiuso ed etnocentrico. Il clamore suscitato da tale intervista[1] non ha però indotto la commissione a correggere il tiro.
Nel documento delle Nuove Indicazioni, la prospettiva etnocentrica e identitaria formulata dal volume di Galli della Loggia e Perla, e ribadita dall’intervista del ministro, vi trova una sostanziale conferma, assumendo la forma di una chiara direzione occidentocentrica. Sono, infatti, presenti varie asserzioni in merito alla superiorità dell’Occidente sulle altre culture. Per esempio, si trova che «La libertà è il valore caratteristico più importante dell’Occidente e della sua civiltà sin dalla sua nascita, avvenuta fra Atene, Roma e Gerusalemme». Si tratta di un’affermazione del tutto ideologica. La libertà è un valore che si è imposto nella modernità dell’Occidente, ma che sia tale fin dalle sue origini è quanto meno discutibile. Si dimentica che Atene e Roma furono società schiavistiche. E, soprattutto, si sorvola sul giogo coloniale che le potenze occidentali hanno imposto a lungo al resto del mondo (Losurdo, 2005).
Ma il culmine viene raggiunto nel capitolo riguardante la Storia, nella cui apertura si dichiara che «Solo l’Occidente conosce la storia», aggiungendo che «Altre culture, altre civiltà hanno conosciuto qualcosa che alla storia vagamente assomiglia […] Ma quell’inizio è ben presto rimasto tale, ripiegando su sé stesso e non dando vita ad alcuno sviluppo». Si tratta di asserzioni difficilmente giustificabili, e che hanno già trovato varie repliche. Gli studi postcoloniali hanno mostrato che posizioni simili cercano di svalutare altre culture, definendole come arretrate, e giustificare così il dominio coloniale o neocoloniale (Hall, 2006). Tutto ciò, porta a limitare la trattazione della storia all’ambito occidentale: alla storia dell’Europa e degli Stati Uniti, con particolare riguardo per la vicenda nazionale italiana, «al fine di far maturare nell’alunno la consapevolezza della propria identità di persona e di cittadino» (secondo la preoccupazione già espressa da Galli della Loggia e Loredana Perla nel volume Insegnare l’Italia, 2023). Ci si può chiedere il motivo di questo accanimento nel celebrare la superiorità culturale dell’Occidente. Probabilmente, tale motivo va individuato nel tentativo di legittimare un quadro di integrazione curvato in senso meramente assimilazionista. Infatti, muovendo dall’assunto dell’inferiorità delle culture extraoccidentali, l’integrazione degli scolari con retroterra migratorio può consistere soltanto nell’assimilare la nostra cultura e nell’assimilarsi ad essa. La complessità della problematica interculturale – una vera e propria sfida per la scuola di un Paese democratico – viene così riassorbita in una formula semplicistica, rassicurante e poco impegnativa. Spetta a loro assimilarsi alla nostra cultura, noi dobbiamo soltanto pensare a preservare la nostra identità nazionale.
Oltre a questa opzione culturale etnocentrica, occorre sottolineare anche un’opzione pedagogica antiegualitaria e determinista[2].
Nella Premessa del documento, si dichiara che «Finalità principale della scuola è l’acquisizione delle conoscenze e delle abilità fondamentali per sviluppare le competenze culturali di base nella prospettiva dello sviluppo integrale della persona e dei suoi talenti» (c. vo mio). Si aggiunge inoltre che «Il concetto di talento è intrinsecamente legato al potenziale cognitivo di ogni alunno che, se stimolato da un ambiente in grado di valorizzarne le potenzialità, può conseguire esiti positivi anche nelle situazioni di maggiore fragilità» (c.vi miei). Connettere la finalità principale della scuola a un concetto problematico come quello di talento appare del tutto opinabile. In assenza di ulteriori precisazioni, il “potenziale cognitivo” tende con facilità ad essere inteso come innato, come un dono naturale. Come tale, pare necessariamente condizionare i livelli di sviluppo raggiungibili nei vari campi (linguistico, matematico ecc.). Quello che la scuola può fare è così limitato alla valorizzazione di tali potenzialità, così che ognuno possa realizzare il proprio talento potenziale. Pertanto, se queste potenzialità sono scarse, la scuola può fare poco. Non resta che rassegnarsi alla diseguaglianza dei risultati. Sarebbe stato opportuno escludere una concezione puramente genetica del potenziale cognitivo (Lewontin, 1993), attribuendolo a complesse interazioni tra corredi genetici e ambienti di sviluppo (Lewontin, 1998; Hawkins, 1982). In assenza di questo chiarimento, tende fatalmente a prevalere la concezione di senso comune del talento: quella innatista-naturalista. La formulazione attuale diviene così una premessa per rendere accettabile una diseguaglianza degli esiti reali dell’istruzione, presentandola come dovuta a differenze dei potenziali cognitivi innati.
Questa pedagogia naturalistica e deterministica trova il proprio completamento nel concetto di personalizzazione. La personalizzazione viene presentata come una «strategia che governa le scelte educative e didattiche», aggiungendo che in base ad essa si «interpreta l’agire scolastico nei termini di un accompagnamento intenzionale dell’allievo a riconoscer-si capace, al di là delle difficoltà di sviluppare i suoi talenti». In altre parole, essa consiste in una diversificazione degli obiettivi d’apprendimento, e dei relativi percorsi didattici, in maniera conforme al presunto potenziale di ogni scolaro, in modo da realizzare il talento personale ciascuno di loro. Così concepita, la personalizzazione diviene il cardine pedagogico della scuola. Infatti, premesso che la finalità generale della scuola consiste nello sviluppo dei talenti personali, e che la strategia per sviluppare il talento consiste nella personalizzazione, se ne conclude che quest’ultima è la strategia che permette di perseguire la finalità generale della scuola, e dunque rappresenta il suo principio pedagogico fondamentale.
Ma questa costruzione poggia su un terreno debole. Infatti, si danno per comprovati in sede scientifica assunti problematici come quelli di potenziale cognitivo innato e talento personale. A questo proposito, le inclinazioni esibite a scuola potrebbero essere dovute ai condizionamenti degli ambienti sociali di sviluppo. Pertanto, rafforzando queste inclinazioni si corre il pericolo di incrementare le diseguaglianze prodotte da tali ambienti, invece di contenerne l’incidenza sul processo scolastico. Ovviamente, questo non significa che eventuali inclinazioni debbano essere ostacolate. Piuttosto occorre focalizzare una questione diversa: quella di garantire a tutti gli scolari il raggiungimento delle conoscenze e delle competenze fondamentali per poter diventare a pieno titolo cittadini della Repubblica. E la realizzazione di ciò richiede una differente strategia, quella della individualizzazione. L’individualizzazione consiste nella flessibilità dei percorsi didattici in vista del raggiungimento di obiettivi comuni per tutti gli alunni. Tali obiettivi riguardano le conoscenze e le competenze fondamentali, nella direzione della piena emancipazione di tutti i futuri cittadini. Le Indicazioni curricolari dovrebbero sempre assumere come stella cardinale l’art. 3 comma 2 della Costituzione. Pertanto, nella scuola dell’infanzia e nel primo ciclo di istruzione il principio prioritario va visto nell’individualizzazione, non nella personalizzazione. Ciò, beninteso, non impedisce che quest’ultima possa avere un ruolo accessorio (Baldacci, 2005).
Concludendo, l’opzione etnocentrica e quella antiegualitaria disegnano una certa concezione di scuola. La ratio di tale concezione non pare però quella di un progetto di uno sviluppo civile e democratico del nostro Paese. Piuttosto, la bozza delle Nuove Indicazioni sembra un parto della paura e dello smarrimento. Il mondo attraversa una fase di grandi e drammatici cambiamenti: dalle incertezze economiche prodotte dalla competizione economica globalizzata; alle guerre e ai conflitti che ne sono l’altra faccia; allo tsunami demografico dei Paesi poveri e dell’Africa in particolare (si calcola che la popolazione africana raddoppierà di qui al 2050 raggiungendo i due miliardi di persone, senza che l’agricoltura possa raggiungere incrementi adeguati) (Attali, 2025); alle nuove ondate migratorie che ne seguiranno; alla rivoluzione tecnologica e culturale legata all’intelligenza artificiale e al suo impatto sul mondo del lavoro; alla crisi ecologica e climatica; e altro ancora. Di fronte a questi enormi e complessi cambiamenti, che creano ansie, timori e incertezze, Perla e Galli della Loggia propongono una soluzione curricolare regressiva: si rifugiano nel primato della nazione e dell’Occidente, nel culto del talento e del merito (che premierà i bravi alunni). Indicano il rimedio nel tornare a far leggere Cuore e a raccontare aneddoti come quello di Muzio Scevola. Occorre essere dei radicali per restarne perplessi?
Riferimenti bibliografici essenziali
Anderson B. (2009), Comunità immaginate, Laterza, Roma-Bari.
Attali J. (2025), Conoscenza o barbarie. Storia e futuro dell’educazione, Fazi editore, Roma.
Baldacci M. (2005), Personalizzazione o individualizzazione? Erickson, Trento.
Bauman Z. (2003), La società individualizzata, Il Mulino, Bologna.
Ferrajoli L. (2016), La democrazia costituzionale, Il Mulino, Bologna.
Frabboni F. (2002), Il curricolo, Laterza, Roma-Bari.
Galli della Loggia E., Perla L. (2023), Insegnare l’Italia, Scholè, Brescia.
Gardner H. (1987), Formae mentis, Feltrinelli, Milano.
Hall S. (2006), Il soggetto e la differenza. Per un’archeologia degli studi culturali e postcoloniali, Meltemi, Roma.
Hawkins D. (1982), Scienza ed etica dell’uguaglianza, Loescher, Torino.
Hobswam E.J., Ranger T. (a cura di) (1987), L’invenzione della tradizione, Il Mulino, Bologna.
Lewontin R.C. (1993), Biologia come ideologia, Boringhieri, Torino.
Leowntin R. C. (1998), Gene, organismo e ambiente, Laterza, Roma-Bari.
Losurdo D. (2005), Controstoria del liberalismo, Laterza, Roma-Bari.
Mosse G. (2009), La nazionalizzazione delle masse, Il Mulino, Bologna.
Pinto Minerva F. (2002), L’intercultura, Laterza, Roma-Bari.
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Said W.E. (2003), Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente, Feltrinelli, Milano.
Sorba C. (2023), Nazione, in Banti, Fiorino, Sorba (a cura di), Lessico della storia culturale, Laterza, Roma-Bari.
Taylor C. (2002), La politica del riconoscimento, in Habermas J, Taylor C., Multiculturalismo, Feltrinelli, Milano.
[1] Proteo ha pubblicato sul suo sito (www.proteofaresapere.it) un documento critico (formulato dal sottoscritto insieme ad Antonio Brusa) sui contenuti di tale intervista, raccogliendo l’adesione di oltre cento docenti universitari e più di cinquecento insegnanti.
[2] A tal proposito si consiglia la lettura dell’articolo di Dario Missaglia I principi ideologici delle Nuove Indicazioni in riferimento a un’intervista alla professoressa Loredana Perla in cui si delinea la volontà di instillare nella scuola, con le nuove indicazioni, una ideologia della conservazione, del ritorno a un passato chiuso nel recinto dei patrii confini, estraneo “all’ideologia universale cosmopolita”
https://www.proteofaresapere.it/news/notizie/principi-pedagogici-nuove-indicazioni(1)
Professore di pedagogia generale all'Università di Urbino e presidente nazionale di Proteo Fare Sapere