La rivista

Voci dalla scuola

NARRAZIONE IDENTITARIA O RICERCA E RAGIONAMENTO CRITICO?

La pubblicazione ufficiale delle Nuove Indicazioni da parte del MIM è stata salutata da un coro di voci sconcertate, e anche indignate, dal mondo della scuola, dalle associazioni, dall’università: perché di fatto è stato negato un confronto reale, perché l’impostazione è regressiva, antiscientifica, vietamente identitaria, perché il carattere prevalente è minuziosamente prescrittivo, incongruente con ciò che dovrebbero essere le “indicazioni”. Se poi si esaminano le pagine dedicate alla storia, questi caratteri sono ancora più vistosi e il giudizio negativo non può che essere confermato.

Un confronto: 2025 versus 2012

Il DM 254 del 2012 in poco più di quattro dense pagine illustrava il senso dell’insegnamento della storia («che contribuisce a formare la coscienza storica dei cittadini e li motiva al senso di responsabilità nei confronto del patrimonio e dei beni comuni»), e ne indicava i metodi (i libri, le attività laboratoriali, i media). Ricordava che la storia è un campo scientifico di studio a cui bisogna accostare gli alunni con percorsi adatti alle diverse età, ribadiva che «ricerca storica e ragionamento critico rafforzano […] la possibilità di confronto e dialogo intorno alla complessità del passato» (p. 41). Invitava ad aggiornare i contenuti, a costruire un intreccio delle varie dimensioni («mondiale, europea, italiana e locale»), a far acquisire la conoscenza «dei diversi e profondi legami, dei conflitti e degli scambi» tra le popolazioni del Mediterraneo e quelle di altre regioni del mondo. A ciò seguiva una sintetica ripartizione delle conoscenze storiche nei vari anni del primo ciclo, con l’indicazione di alcuni snodi periodizzanti (p. 42) e le pagine successive (pp. 43-45) elencavano i traguardi delle competenze e gli obiettivi di apprendimento al termine della primaria e della secondaria di primo grado.

Chi esamina invece il documento del 2025 è colpito subito dall’estensione della sezione dedicata alla storia che è più che raddoppiata (pp. 68-76): un preambolo (Perché si studia la storia e finalità dell’insegnamento) che si dilunga per tre pagine; quattro pagine dedicate a competenze, obiettivi e conoscenze per la primaria e per la secondaria di primo grado; tre box dedicati rispettivamente a un esempio di moduli interdisciplinari (La mia città, il mio paese, il mio quartiere: esplorare il passato e il presente del territorio), a suggerimenti metodologico-didattici, a possibili «ibridazioni tecnologiche».

Il prolisso preambolo è aperto da un’affermazione perentoria, diventata ormai famosa: «Solo l’Occidente conosce la storia», corroborata da una citazione da Marc Bloch. Ci si potrebbe subito chiedere a quale Occidente si riferisca la commissione: Europa e Stati Uniti? O anche Canada, America latina, Australia, Nuova Zelanda? E poi come dimenticare gli storici musulmani e cinesi e che «la storia dell’idea di Occidente è storia di imperi e di conquista»[1]? Gli antropologi[2] poi ci ricordano che ogni popolazione, ogni società ha riflettuto sul proprio passato, si è autodefinita con etnonimi e in rapporto ai popoli vicini, e non ha atteso di entrare in contatto con l’Occidente, o di esserne conquistata, per «prendere coscienza di sé», come invece suggerisce questo documento. Ciò che in realtà può essere considerato specifico dell’Europa è la storiografia scientifica, elaborata a partire dall’Illuminismo. 

Peraltro è più volte sottolineata una concezione “etica” della storia: non quindi disciplina scientifica che mira alla conoscenza e comprensione del passato, ma «l’arena per eccellenza dove post factum si affrontano il bene e il male […] una sorta d’inappellabile tribunale dell’umanità», perché «si è sempre accompagnata anche a un giudizio morale su quanto era oggetto del suo racconto […] ha rappresentato una pagina decisiva del modo come si è costruita non solo la nostra comprensione del mondo ma la stessa nostra consapevolezza del bene e del male». Bastava inoltrarsi a leggere l’Apologia della storia per trovare una netta affermazione di Marc Bloch su un «diabolico nemico della storia genuina: la mania del giudizio».[3]

Un altro elemento che ha suscitato sconcerto tra chi si occupa di didattica della storia è l’insistita presentazione del «modello narrativo» come carattere «fin dall’inizio» della nostra cultura, e l’altrettanto insistita prescrizione della «dimensione narrativa» dell’insegnamento / apprendimento della storia. In questo modo si impoverisce quella che è stata definita “la cassetta degli attrezzi” dell’insegnante: sì a manuale e lezione frontale (affabulatoria ed emotiva), no a un possibile approccio al metodo storiografico, a un ragionamento sui fatti e sui documenti. In questo modo si nega che un discorso complesso – come quello storico, se pur graduato in base all’età degli allievi – sia un inevitabile intreccio di narrazioni, descrizioni e argomentazioni.

La pagina dedicata alle Finalità dell’insegnamento si concentra sulla «dimensione nazionale italiana» e di nuovo sulla centralità della «dimensione narrativa» dell’insegnamento. 

Molti storici hanno fatto notare che optare per la centralità dell’Italia, con lo scopo di costruire l’identità «di persona e di cittadino» e di integrare «i giovani provenienti da altre culture», significa da un lato tornare al modello ottocentesco della “biografia della nazione” per la nazionalizzazione delle masse (senza rendersi conto della complessità della costruzione dell’identità individuale), dall’altra ignorare tutte le ricerche che evidenziano come un’assimilazione forzata non generi che ripulsa e senso di esclusione e la formazione di identità contrapposte e in conflitto.

La dimensione narrativa viene poi contrapposta «all’obiettivo, del tutto irrealistico, di formare ragazzi (o perfino bambini!) capaci di leggere e interpretare le fonti». Ma poi (forse a opera di un’altra mano), l’analisi dei documenti storici viene ripetutamente ricordata: nelle competenze attese e negli obiettivi specifici di apprendimento al termine sia della classe quinta della primaria, sia della classe terza della secondaria di primo grado. Resta il dubbio su quale sia l’intendimento prevalente: lavoro sui documenti oppure no?

Contenuti prescrittivi: Indicazioni o programmi?

Un’analisi anche frettolosa dei contenuti, minuziosamente elencati classe per classe, fa balzare agli occhi la sciatteria dell’esposizione, la mancanza di un criterio di rilevanza e quindi le lacune di snodi essenziali, e i veri e propri errori storiografici.

A sei-sette anni si pongono le basi della cultura occidentale con la Bibbia e i poemi epici; a sette-otto anni un tema assai impegnativo, «l’Italia come sistema ecologico ed ecostorico complesso», è affiancato da racconti del Risorgimento (mescolando figure storiche come i Mille e invenzioni letterarie come La piccola vedetta lombarda): la storia come favola patriottica per un imprinting identitario. In terza si preferisce la «comparsa dell’uomo sulla terra» alla dizione corretta (processo di ominazione), quasi un eco del tentativo dei famigerati programmi Moratti di mettere al bando l’evoluzionismo. Per la classe quarta si prevedono un’improbabile «unificazione del mondo mediterraneo sotto Alessandro Magno», numerosi temi su Roma e l’apprezzabile introduzione di un argomento di storia sociale («la famiglia romana»), peccato che poi questa attenzione scompaia negli anni successivi. Negli argomenti per la quinta il cristianesimo è presentato come «rivoluzione» e «religione universalista», mentre per l’islam si parla solo di «espansione». Da notare che l’ambito temporale della primaria secondo le Indicazioni del 2012 si concludeva invece con la tarda antichità.

Tra i contenuti del primo anno della secondaria di primo grado compare un’interpretazione a dir poco avventurosa: i Longobardi «come primo processo di unità politica italiana»; si propone un nesso assai discutibile tra le repubbliche marinare e le crociate; nessun cenno alle nuove tecnologie (la carta, l’orologio meccanico...) e alla crisi del XIV secolo. Agli allievi della classe seconda si propongono la Rivoluzione americana e quella francese come «due concezioni diverse di libertà» (si è trattato solo di quello?) e «il colonialismo e l’imperialismo europei» (e stranamente qui l’Italia non è in primo piano, eppure il colonialismo italiano ha avuto notevoli specificità), ma ci si è dimenticati dell’età napoleonica, dell’indipendenza dei paesi dell’America latina, delle migrazioni di massa di fine Ottocento. E numerose sono anche le lacune nei contenuti per la terza: basti ricordare che non si parla della crisi del 1929, che dopo la Resistenza non si fa cenno né alla Liberazione, né alla Costituente, né al referendum istituzionale, e che l’Africa e l’India non vengono citate quando si parla di decolonizzazione.

Nel Box 2, dedicato ai suggerimenti metodologici, si ripetono cose già dette: la dimensione narrativa e il «coinvolgimento anche emotivo e sentimentale», usando episodi come quelli di Muzio Scevola e di Menenio Agrippa, l’importanza della memorizzazione di fatti e di date. Ed è singolare che l’unico accenno in tutto il documento a un’ipotesi di lavoro collettivo (di gruppo?) preveda come consegna proprio «la memorizzazione di date, fatti, personaggi». È una storia a una dimensione, puramente evenemenziale, che non si cura della lunga durata, delle società, del popolamento, dell’ambiente, del clima… 

Il parere degli storici

I giudizi delle associazioni di storia e di didattica della storia sono unanimi: le Indicazioni per la storia sono inemendabili e irricevibili.

Per la Società italiana di Didattica della Storia «l’esecutivo intende cancellare dal curricolo la storia, intesa come ricostruzione scientifica del passato, e sostituirla con un racconto che la storiografia conosce come “biografia della nazione” e che annovera da tempo fra le tradizioni inventate. […] Non c’è traccia del grande patrimonio di strumenti che la ricerca didattica internazionale oggi mette a servizio dei docenti. Lezione e manuale sono gli unici attrezzi del mestiere che la Commissione conosce».[4] Per Clio ’92 «alcuni aspetti fondamentali della parte “Storia” […] risultano non solo estremamente discutibili su un piano epistemologico-storiografico e pedagogico-didattico, ma anche in totale discordanza sia con la parte “Geografia”, sia con alcuni fondamentali orientamenti della Premessa culturale generale delle Nuove Indicazioni».[5]

Anche l’Istituto Nazionale Ferruccio Parri, la rete degli Istituti storici della Resistenza e dell’età contemporanea, denuncia l’arretramento «verso un modello nozionistico e trasmissivo» e «la presenza di distorsioni storiografiche che semplificano e falsano la comprensione del passato. […] Marc Bloch e Lucien Febvre, tra i fondatori della storiografia moderna, insegnavano già nel secolo scorso che la comprensione storica richiede di guardare oltre l’elenco di eventi e personaggi, integrando prospettive sociali, economiche e culturali».[6] 

Qualche osservazione conclusiva

La Commissione Perla ha dichiarato di voler rispondere a una “emergenza culturale”, le cui origini vengono attribuite alle Indicazioni del 2012, ma per quanto riguarda in specifico la storia si tratta di un clamoroso errore di analisi e di prospettiva. Infatti non è stata fatta nessuna verifica puntuale sulla loro effettiva applicazione e varie indagini mostrano come la grande maggioranza dei docenti resti ancorata al manuale e alla lezione frontale. Non ci si è chiesti invece quanto incidano sull’ “analfabetismo storico” la progressiva riduzione del monte ore e proprio il metodo della pura trasmissione.

È esperienza di ogni insegnante avvertito – ed è esperienza ormai quindicennale anche della Commissione per la didattica della storia di Proteo Bergamo – che le acquisizioni derivate da pura ricezione sono estremamente labili: ingoiate magari svogliatamente, rigurgitate per le verifiche orali e scritte, resettate immediatamente dopo. Solo lavorare in prima persona su documenti, ma anche sul manuale, solo misurarsi con la restituzione delle proprie conclusioni permette acquisizioni più consapevoli e durature.

Ma di fronte alle critiche i membri della commissione reagiscono non con ragionamenti puntuali ma con attribuzioni paradossali, imputando agli ‘oppositori’ il rifiuto di ogni contenuto, l’enciclopedismo, la pretesa di condurre i bambini a sofisticate interpretazioni storiografiche.

 

[1]  Alessandro Vanoli, Ministro Valditara: cos’è questo Occidente?, “Doppiozero”, 19 marzo 2025, https://www.doppiozero.com/ministro-valditara-cose-questo-occidente

[2]  Adriano Favole, Marco Aime, Stefano Allovio, La storia siamo noi?, “Territori educativi”, 18 marzo 2025, https://comune-info.net/scuole-aperte/la-storia-siamo-noi/

[3] Marc Bloch, Apologia della storia o mestiere di storico, Torino, Einaudi, 1969, p. 45

L'autore

Maria Laura Cornelli

Docente

L'autore

Daniela Rosa

Docente.