Le Nuove Indicazioni 2025 per la Scuola dell’infanzia e Primo ciclo di istruzione contengono un brevissimo cenno, su oltre 150 pagine, al tema della valutazione. A pagina 20 troviamo il Paragrafo Valutazione, che esordisce nel seguente modo, pienamente condivisibile: «La valutazione nella scuola del primo ciclo si configura come un processo educativo complesso, dinamico, collegiale e multidimensionale, che accompagna lo studente nella costruzione della propria identità e nel riconoscimento delle proprie potenzialità».
Vi ritroviamo poi altre affermazioni largamente condivise dalla letteratura scientifica e dagli addetti ai lavori, come:
«Non è un fine ultimo, ma rappresenta uno strumento, innanzitutto di feedback e di orientamento»,
«Essa restituisce un quadro dinamico e processuale del percorso formativo»,
«La documentazione e l'osservazione costituiscono due prerequisiti fondamentali per una valutazione efficace e per la comprensione e il monitoraggio dei processi di apprendimento».
A giudicare dal contenuto riportato sembra non emergere nessuna novità di rilievo né alcuna criticità. Addirittura si fanno due affermazioni che non possono che essere le benvenute:
«Il tutto senza appesantire inutilmente il lavoro degli insegnanti con pratiche burocratiche eccessive, ma attraverso la semplificazione dei processi (in primis nella comunicazione con le famiglie) e il rispetto dell’autonomia progettuale e creativa delle scuole»,
«Gli insegnanti, veri "curriculum makers", sono chiamati a elaborare percorsi didattici e valutativi che non solo rispondono alle Indicazioni nazionali e concorrano alla definizione del profilo educativo in uscita, ma rispettino anche le peculiarità dei contesti locali e le peculiarità degli studenti».
Tutto bene dunque? A mio parere questa ecumenicità nell’enunciazione nasconde un non detto piuttosto significativo: enunciare quello che dovrebbe essere il fine della valutazione, senza però entrare nel merito, ovviamente nel rispetto dell’autonomia scolastica e del docente, è qualcosa che si fa da molti anni. Le affermazioni indicate sono già, riportate, ad esempio, nel Dlgs 62/2017, ovviamente con forma differente.
Eppure la valutazione continua a essere oggetto di contesa politica e conflitto nelle scuole e fra la scuola e le famiglie.
Per cercare di capire il perché, e cosa significa il tema nella politica scolastica, occorre mettere da parte le Indicazioni Nazionali e andare ad esaminare più in dettaglio quei documenti che più da vicino si occupano di normare la valutazione scolastica, e facendo ciò si delinea un quadro del tutto differente.
Le dichiarazioni smentite
L’Ordinanza Ministeriale 3/2025, emanata in ottemperanza dell’articolo 1 della legge 150/2024, dal titolo Valutazione periodica e finale degli apprendimenti nella scuola primaria e valutazione del comportamento nella scuola secondaria di primo grado abroga la precedente 172/2020, che aveva introdotto la valutazione descrittiva nella scuola primaria, quella comunemente conosciuta come “dei quattro livelli di valutazione”, livelli descrittivi che si focalizzano sul processo di apprendimento, oltre che sul raggiungimento di specifici obiettivi di apprendimento,.
In questo articolo vorrei inizialmente evidenziare le differenze, riguardanti l’idea di Scuola, come istituzione costituzionalmente definita, tra le due ordinanze, e successivamente quelli che sono gli impatti sul lavoro del docente nella scuola primaria (e, in generale, per tutti i docenti), alla luce del principio di libertà di insegnamento.
Con la nuova ordinanza vengono introdotti 6 livelli di giudizio, individuati da descrittori che ricordano molto da vicino i voti numerici da 5 a 10, pur essendo espressi sotto forma di “giudizio sintetico”.
A un primo esame, e nelle parole del ministero (si legge nel preambolo all’ordinanza «il passaggio dal giudizio descrittivo al giudizio sintetico semplifica le procedure di valutazione»), potrebbe sembrare che la nuova ordinanza rappresenti una semplificazione delle norme contenute nella precedente e una più dettagliata articolazione dei giudizi, finalizzata a rendere più semplice e diretta la comunicazione con le famiglie.
In effetti, come spesso accaduto in precedenti tentativi di intervenire sulla valutazione, l'Ordinanza 172/2020 non sempre, e non dappertutto, è stata recepita nella sua sostanza.
In molti casi, in modo analogo a quanto, ad esempio, avviene per l’utilizzo delle griglie di valutazione delle prove dell’esame di stato al termine della secondaria di secondo grado, ci si è limitati a tradurre una valutazione effettuata secondo i tradizionali metodi numerici (non descrittivi ma meramente ordinali su una scala di valori che sembra indelebilmente scritta nel DNA dei docenti), utilizzando, meccanicamente, i quattro livelli di valutazione proposti dall’OM 172/2020.
Tuttavia, per la sua portata innovativa (è sufficiente leggere la presentazione delle linee guida per rendersi conto del significato di tale innovazione) l’operazione di traduzione nei quattro livelli dell’OM 172/2020, utilizzando come punto di partenza una valutazione complessiva con voti espressi “da 5 a 10”, non è risultata affatto agevole, generando in una parte del corpo docente resistenze e gattopardesche forme di adattamento.
È vero: l’OM 172/2020 richiedeva uno sforzo di adeguamento metodologico per giungere a una valutazione realmente formativa, che “spiegasse” al bambino e alle famiglie quali risultati avesse raggiunto, quali fossero i suoi punti deboli, quali strategie di miglioramento mettere in atto, e tutto ciò analiticamente illustrato rispetto ai diversi obiettivi disciplinari individuati dai docenti in modo collegiale. Tuttavia ciò, oltre che rientrare per legge, e da molti anni, nei doveri di ciascun insegnante, come chiaramente enunciato dal primo comma dell'articolo 1 del Dlgs 62/2017 tuttora vigente, può anche essere affrontato in modo efficiente ricorrendo a una valutazione continua, facente parte del processo di insegnamento stesso.
Compito dell’insegnante, quando si parla di valutazione, è raccogliere “costantemente” tutti i significativi elementi di documentazione che concorrano a fornire un quadro completo dell’attività dei propri studenti non solo nei momenti sommativi di verifica periodica, ma anche, e soprattutto, nella vita in classe, durante i lavori individuali o di gruppo, le discussioni, gli interventi o le domande durante le lezioni, o le risposte agli stimoli che il docente fornisce durante le lezioni.
Chiaramente, questo modo di “osservare la classe e sé stessi mentre si lavora” richiede metodo e anche l’abbandono di lezioni meramente trasmissive a favore di un metodo di insegnamento più interattivo e laboratoriale, ovviamente non riducendo questo termine al solo uso dei PC nell’aula di informatica o alla passiva visione di un docente che presenta un esperimento alla classe.
La valutazione, un'arma a doppio taglio
Io, che insegno nella scuola secondaria superiore, inizialmente negli istituti tecnici e negli ultimi anni in un liceo Scienze Applicate, adotto questo approccio da anni, e, se pure inizialmente ho avuto difficoltà a mettere a punto un metodo di lavoro che rappresentasse un valido compromesso tra efficienza ed efficacia, posso dire di aver raggiunto buoni risultati. Personalmente adotto una valutazione in itinere continua e basata proprio su quattro livelli molto molto simili a quelli che poi ho riscontrato nella OM 172/2020.
È bene sottolineare che il cambio di paradigma rappresentato dalla valutazione descrittiva rispetto alla tradizionale valutazione sommativa non è semplicemente una questione di metodo, ma è profondamente a connesso con l’idea di Scuola che si ha in mente.
Se il compito della Scuola è facilitare lo sviluppo di ogni studente, affinché sia in grado autonomamente di costruirsi un proprio progetto di vita, allora la gran parte della responsabilità del raggiungimento di tale risultato ricade sulle azioni che la scuola stessa mette in atto, osservando, intervenendo, spiegando e motivando, suscitando la curiosità e l’interesse.
Ovviamente nessun risultato di rilievo può essere raggiunto se non vi è da parte dello studente e della sua famiglia la volontà di collaborare con la scuola, ma è la scuola a dover dirigere il percorso formativo e mettere in atto le strategie opportune.
Se il compito della Scuola è assegnare etichette agli studenti in base a quanto essi siano in grado di riportare al docente di ciò che egli ha insegnato, a prescindere dalle attitudini dimostrate o dall’impegno profuso, se, in poche parole, il compito della Scuola è solo effettuare una selezione per indirizzare le scelte di vita dello studente, in base a percorsi socialmente stabiliti, allora essa perde ruolo come strumento di emancipazione e diventa solo un luogo dove vengono riprodotte, semmai amplificate, differenze socialmente già presenti.
Quando in sede di scrutinio mi confronto con colleghi che, davanti al caso di uno studente straniero e di condizioni sociali disagiate, mi vengono a dire «questo non ha le capacità di fare il liceo, meglio che vada al professionale» o che davanti agli scarsi risultati del “bravo ragazzo proveniente da famiglia per bene e conosciuta in paese” mi vengono a dire «mandiamolo avanti, vedrete che la famiglia sarà in grado di aiutarlo e farlo recuperare» vedo in tutta la sua evidenza il fallimento della missione della Scuola.
Certamente è molto semplice concentrare il proprio lavoro di insegnante nel separare il grano dalla crusca, ma probabilmente il nostro ruolo dovrebbe essere quello di migliorare i raccolti e non solo di esaminare quello che la terra ha spontaneamente prodotto.
Ecco quindi che la nuova OM 3/2025 rappresenta una precisa scelta politica.
Lo si vede soprattutto nelle premesse normative all’ordinanza stessa, dove recita:
Ritenuto di non poter accogliere le seguenti richieste formulate dal CSPI:
Si tratta di una premessa importante, che nega la funzione formativa della valutazione, in quanto appiattisce la funzione della valutazione alla chiarezza della collocazione dello studente lungo una scala valoriale. Detto in altri termini, secondo il Ministero, l’obiettivo della valutazione è “fare una graduatoria”.
In secondo luogo la scelta di abolire la valutazione per obiettivi di apprendimento significativi nega la funzione esplicativa, formativa, della valutazione: la scuola non è più tenuta a dire allo studente e alla famiglia “cosa non va, in quale ambito”, ma solo che “complessivamente lo studente ha ottenuto un determinato punteggio nella scala valoriale”
L’articolo 2 dell’OM richiama quasi in modo letterale l’articolo 1 del Dlgs 62/17, salvo il riferimento alle Indicazioni Nazionali, che lo attualizza. La cosa non può che farci piacere, ma che senso ha richiamare tale articolo, che resta comunque pienamente in vigore, partendo da premesse che ne negano la sostanza?
L’articolo 3, nel comma 2 chiarisce che i giudizi sintetici da riportare nel documento di valutazione per ciascuna disciplina sono in ordine decrescente:
a) ottimo
b) distinto
c) buono
d) discreto
e) sufficiente
f) non sufficiente.
Se si confrontano i giudizi sintetici con i quattro livelli previsti dalla 172/2020 la differenza è evidente.
Come si vede nell’OM 3/2025 mancano espressamente i “voti numerici”, ma, in sostanza, essi ritornano travestiti da etichette che, anche nell’immaginario degli italiani, hanno una chiara e precisa rispondenza ai voti, e pertanto sarà facile “calcolare una media aritmetica fra etichette”.
Tutto molto distante da un quadro che, come voleva la 172/2020, descrive il raggiungimento di traguardi di apprendimento e di competenze, analiticamente distinto per obiettivi.
Per non parlare poi di un altro tema, altrettanto critico, che emerge chiaramente dall’ordinanza, e cioè il tentativo di risolvere il tema del grave disagio sociale, che nella scuola si manifesta con seri problemi disciplinari, da parte di studenti che vivono spesso situazioni familiari complesse, o crescono in realtà urbane degradate, semplicemente inasprendo gli strumenti repressivi (si leggano in tal senso le parti relative al voto di condotta) invece che cercando di valorizzare il ruolo della scuola come luogo di recupero e motivazione. Tutte cose queste per le quali occorrerebbe investire molte risorse, tasto che, evidentemente, non può essere toccato in un clima generale di riduzione del welfare.
Anche se tutto ciò può essere inteso come “limitato” alla sola scuola primaria, in realtà ha un portato più ampio: la scuola primaria è stata, tra i diversi ordini scolastici, la prima ad aver tentato una innovazione sostanziale in direzione di quanto auspicato dall’articolo 1 del Dlgs 62/2017, e aver voluto bloccare tale tentativo è un segnale evidente anche nei confronti degli altri ordini di scuola.
La forza dei principi costituzionali
Se questo è il risultato del confronto va detto che non tutto è perduto.
Innanzitutto siamo ancora in una Repubblica regolata dalla Costituzione e quindi l’articolo 33 resta intatto nel suo significato, e la stessa OM 3/2025 non può che prenderne atto.
Ritroviamo conferma di quanto detto in diversi passaggi dell’OM:
Come si vede la nuova Ordinanza lascia spazi di continuità con la precedente, e non poteva essere altrimenti, consentendo ancora una valutazione formativa ed educativa, centrata sui processi di apprendimento e sullo sviluppo dell'identità personale degli alunni, con un forte invito a stimolare l’autovalutazione.
Tutto ciò però adesso resta in capo alla responsabilità delle singole istituzioni scolastiche e, nel caso queste non se ne facciano carico, addirittura in capo al singolo docente, il quale ha sempre la possibilità di adottare una valutazione in itinere conforme a una idea di scuola differente da quanto emerge, in modo implicito, dal nuovo orientamento ministeriale.
Anche nella nuova ordinanza vengono ribaditi concetti importanti, come la collegialità nella scelta di obiettivi e modalità di lavoro, il riferimento al Piano triennale dell’offerta formativa, alla valutazione come parte inscindibile della progettazione dell’attività didattica.
Occorrerà però che, proprio a livello di singoli istituti, si cerchi di mantenere l’attenzione, tramite gli obiettivi fissati, le griglie elaborate, e ogni altro strumento progettato collegialmente, sugli obiettivi di apprendimento e sugli elementi legati al processo di apprendimento, piuttosto che sulle singole materie.
Questa attenzione è importante proprio alla luce dei continui richiami alle singole discipline contenuti nell’OM 3/2025.
Ciò non significa invocare l’abbandono delle discipline a favore di non meglio precisate competenze, ma inquadrare, correttamente, gli obiettivi di apprendimento delle singole discipline in un progetto organico volto a sviluppare nello studente competenze che siano fondate sugli apprendimenti e ne diano un senso.
In questo quadro la possibilità, non esclusa dall'ordinanza, di integrare il documento di valutazione con schede analitiche che descrivano adeguatamente il profilo dello studente, evidenziando i traguardi raggiunti e quelli da raggiungere, le competenze manifestate e quelle su cui occorre ancora lavorare, consente sicuramente ai collegi docenti, e, mal che vada, ai singoli docenti, di continuare ad operare per una valutazione formativa.
In conclusione l’emanazione dell’OM 3/2025 non fa che ribadire ancora una volta, soprattutto se inquadrata storicamente, da almeno 30 anni a questa parte, insieme agli altri interventi del legislatore in tema di valutazione, come questo tema sia tutt’altro che secondario nella Scuola e nel ruolo che essa riveste nella nostra Repubblica. È pertanto compito di ogni insegnante che si rifaccia, con coerenza, al profilo costituzionale della Scuola, adoperarsi per affermare sempre il principio per cui la scuola serve a dare a tutti una uguale possibilità di realizzazione di sé, al fine dell'autorealizzazione della persona e della possibilità di migliorare il contributo che essa potrà in seguito restituire alla società.