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LA CONTRATTAZIONE, LE RSU E LA PARTECIPAZIONE DEMOCRATICA NEL LAVORO PUBBLICO

Un po' di storia

La vicenda delle RSU si intreccia strettamente, da un lato, con il tema della democrazia e della partecipazione nella scuola e nei diversi settori della conoscenza e, dall’altro, con l’evoluzione del sistema della contrattazione collettiva nel lavoro pubblico.

Lo stretto collegamento tra questi temi emerge anche soltanto osservando alcune date: le RSU nascono nel pubblico impiego con l’accordo quadro del 7 agosto 1998. L’autonomia scolastica esordisce con la legge n. 59 del 15 marzo 1997. Il primo contratto collettivo nazionale del comparto scuola dopo la riforma viene firmato il 26 maggio 1999.

In realtà il punto di svolta fondamentale per quanto riguarda il comparto della scuola fu l’avvento dell’autonomia scolastica, perché l’autonomia di per sé richiede tra le molte precondizioni per il suo funzionamento un elevato livello di partecipazione democratica. Nel momento in cui si trasferivano poteri alle scuole era evidente che la precondizione per il successo dell’operazione risiedeva in larga misura nella capacità di suscitare il massimo grado possibile di collaborazione e di sforzo comune tra tutte le componenti di quella che oggi definiamo comunità educante.

D’altro canto l’autonomia scolastica, con il trasferimento di poteri sull’organizzazione del lavoro a livello decentrato, proponeva un altro tema, oltre agli aspetti più legati alla governance, alla professionalità docente e alla didattica, quello cioè dei docenti e del personale scolastico come lavoratori dipendenti, titolari di diritti e di doveri discendenti da un’organizzazione del lavoro non più regolata e gestita soltanto a livello centrale, ma che cominciava a differenziarsi collocandosi almeno in parte al livello delle istituzioni scolastiche. È dunque qui, nello snodo cruciale che si vide nascere sul finire del secolo scorso, da un lato, la figura del dirigente e, dall’altro, quella delle rappresentanze sindacali unitarie elettive, e che nacque l’attuale sistema di contrattazione collettiva e di relazioni sindacali ai vari livelli, uno dei quali, quello d’istituto, rappresentò una delle novità principali della stagione dell’autonomia.

La ragione fondativa della nascita del nuovo sistema di relazioni sindacali nella scuola, e in particolare di quelle d’istituto era appunto quella di rendere il più possibile consensuali e appropriate le scelte nel luogo stesso in cui esse vengono assunte, nella convinzione che ampliare il consenso verso le decisioni da prendere, renderle trasparenti, cercare di prevenire, attenuare, curare gli inevitabili conflitti potesse dare un contributo importante alla qualità del lavoro nelle scuole, all’innovazione e quindi alla qualità dell’istruzione. Per questo i temi che furono definiti fin dall’inizio per la contrattazione d’istituto si indirizzarono principalmente verso due ambiti tra loro connessi: da un lato, alcune delle principali scelte organizzative che impattano sulle condizioni di lavoro e di vita e, dall’altro sulla distribuzione delle risorse che vengono attribuite alle istituzioni scolastiche e hanno ricadute sul personale. Lo si può vedere rileggendo l’elenco delle materie che furono oggetto di contrattazione nei primi contratti successivi all’autonomia, e che, in quanto materie che identificano impegni non solo condivisi ma giuridicamente esigibili, costituirono, e tuttora costituiscono, il cuore delle relazioni sindacali e dell’impegno delle RSU.

Si veniva costruendo così un sistema di condivisione ampio, ma anche attento a convivere con le competenze dei diversi soggetti che compongono il sistema di governo delle istituzioni scolastiche ponendosi in una posizione di sostegno e di accompagnamento. Ciò che emergeva in quegli anni era insomma la convinzione che creare condizioni di benessere organizzativo attraverso il dialogo e il confronto all’interno dell’organizzazione scolastica potesse essere d’aiuto anche per concentrarsi meglio e migliorare gli aspetti più direttamente attinenti alla sfera professionale. In definitiva, si cercava di creare un sistema di regole come quello che esiste in tutto il pubblico impiego e nel lavoro privato, modulato però sulle caratteristiche peculiari del lavoro nella scuola. Il meccanismo non era certamente perfetto, e anzi era tutto da costruire: esso avrebbe avuto bisogno di tempo e di buona volontà per essere osservato, accompagnato e anche gradualmente implementato. Si trattava di un meccanismo che aveva tra i suoi protagonisti con un ruolo certamente molto importante proprio le RSU.

Un'offensiva antisindacale

Non è inutile ricordare che a pochissima distanza dall’esordio di questo sistema e ben prima che esso dispiegasse completamente la sua attività, verso la metà del primo decennio di questo secolo arrivò un’ondata massiccia di aspre polemiche contro il sistema di relazioni sindacali nella scuola. Le accuse, generiche e piuttosto qualunquiste, non andavano per lo più alla radice dei problemi che pure si erano manifestati nell’intento di migliorare l’esperienza. Le accuse erano quelle di far perdere tempo, di impedire il funzionamento dell’istruzione, di alimentare una sorta di superpotere sindacale all’interno degli istituti scolastici. Questa polemica, che pure coglieva alcuni rischi insiti nel sistema, li amplificava strumentalmente perché nascondeva in realtà altri scopi. Da un lato la polemica contro le relazioni sindacali era un capitolo di una più generale offensiva antisindacale. Vi era poi anche un’altra motivazione, l’idea cioè che la scuola dovesse adagiarsi su un modello pseudo aziendale basato sull’autoritarismo paternalista e verticistico, quasi che il dirigente dovesse essere una sorta di sovrano pre-costituzionale, sciolto dai vincoli (e dai vantaggi) della dialettica con i soggetti rappresentativi. Si trattò insomma di una polemica strumentale e ideologica, lontana da una realtà nella quale non si era verificata affatto quella “calata dei barbari” che veniva propinata all’opinione pubblica. Alcune serie ricerche che si svolsero in quegli anni rivelavano all’opposto che in molte scuole si stava allora gradualmente affermando la consapevolezza che, sia pure in un orizzonte certo contraddittorio e non privo di problemi, l’avvento della contrattazione d’istituto e delle RSU era utile per aiutare a gestire il delicatissimo passaggio verso la scuola dell’autonomia, aumentando la trasparenza, gestendo le inevitabili difficoltà attraverso la definizione di regole, in definitiva collaborando e sostenendo il dirigente scolastico e gli organi collegiali nella gestione degli infiniti problemi che emergevano in quella fase.

Occorre ricordare anche che la polemica condotta contro le relazioni sindacali nell’ambiente scolastico si andò a innestare in una più generale offensiva contro le relazioni sindacali in tutto il pubblico impiego.

Nel 2009 arrivò infatti, con il D.lgs 150, una contro-riforma del lavoro pubblico che, mentre rovesciava il rapporto tra legge e contratto a favore dell’intervento legislativo depotenziava di fatto la contrattazione integrativa, cercando di ridurla a poco più di una distribuzione delle risorse che arrivano a livello decentrato. E poco dopo lo stesso sistema contrattuale pubblico veniva congelato per dieci anni.

Ricordare, sia pure per sommi capi, queste vicende non significa ovviamente procedere con lo sguardo rivolto all’indietro. Chi assume il compito di rappresentanza nelle istituzioni scolastiche è bene che sappia e che ricordi quale è la storia delle RSU, inserita in quella della presenza sindacale, della rappresentanza del lavoro e della contrattazione nei luoghi di lavoro, e la temperie nella quale storicamente si è svolto il ruolo delle rappresentanze unitarie elettive, l’importanza strategica che questo istituto ha avuto e continua ad avere nel coniugare democrazia ed efficacia del compito formativo in un contesto spesso molto contrastato, l’impegno e le responsabilità che vi sono stati, e tuttora vi sono, connessi.

La ripresa delle relazioni sindacali

A partire dalla ripresa delle relazioni contrattuali dopo il decennio del “grande freddo” tra il 2010 e il 2018, i sindacati hanno dovuto accingersi al compito di ricostruire, in pratica, un sistema di relazioni sindacali quasi demolito dagli interventi legislativi del primo decennio del secolo ma anche dall’ulteriore intervento fortemente limitativo, sia pure in forma più indiretta, prodotto dalla legge 107 del 2015, la cosiddetta “buona scuola”. Per chi osservi l’attuale sistema delle relazioni sindacali, come disciplinato ad esempio dal contratto in vigore, appare evidente che l’opera di ricostruzione, seppure resa difficile dai molti ostacoli posti dalle leggi e da una politica quasi mai “amica” della scuola ha aperto, o in taluni casi riaperto, spazi spesso piuttosto ampi per l’intervento delle RSU. Basti leggere, a questo proposito, le materie che sono riservate alla contrattazione a livello di istituzione scolastica per rendersi conto di come la contrattazione d’istituto non si limiti in realtà a una mera contabilità/distribuzione di risorse che, pur importante, ne farebbe in un certo senso l’“ultima ruota del carro” del sistema di governo dell’istruzione pubblica, ma possa invece contribuire di fatto, insieme alle altre componenti della comunità educante, alla definizione di alcune scelte strategiche per il funzionamento delle istituzioni scolastiche. Si pensi per esempio a materie come «i criteri per l’attribuzione di compensi accessori al personale docente, educativo, e Ata, inclusa la quota delle risorse relative ai percorsi per le competenze trasversali e l'orientamento e di tutte le risorse relative ai progetti nazionali e comunitari eventualmente destinate alla remunerazione del personale», ovvero ai «criteri generali per la determinazione di compensi finalizzati alla valorizzazione del personale, ivi compresi quelli riconosciuti al personale dall’art. 1, co. 249 della legge 160 del 2019», o, infine, ai «criteri di utilizzo delle risorse finanziarie e la determinazione della misura dei compensi di cui al decreto Mim n. 63 del 5 aprile 2023». È evidente che la contrattazione di materie come queste, oltre a contrastare la possibilità che le risorse vengano destinate e attribuite in maniera discrezionale e poco trasparente consente, di fatto, di avere voce su temi delicatissimi come il Pcto, la valorizzazione del personale, l’attivazione e l’impiego di figure introdotte di recente tra molte e giustificate perplessità, come il tutor e l’orientatore. E va anche sottolineata l’importanza dell’informazione successiva riguardante l’impiego delle risorse del fondo per il miglioramento dell’offerta formativa. È poi importante ricordare che sono oggetto di contrattazione anche materie che hanno un diretto impatto sulle condizioni di lavoro come l’utilizzo delle strumentazioni tecnologiche e i riflessi delle innovazioni e dei processi di informatizzazione sulla qualità del lavoro e sulla professionalità.

Un’importanza altrettanto, se non perfino più rilevante, hanno le materie oggetto di confronto, dall’articolazione dell’orario di lavoro ai criteri per l’assegnazione alle sedi di servizio, dalla fruizione dei permessi per l’aggiornamento ai criteri per il conferimento degli incarichi al personale Ata, alle materie, relativamente nuove, del lavoro agile e del lavoro a distanza. Non v’è dubbio che su questa strada i contratti dovranno proseguire. La distinzione tra materie inerenti al rapporto di lavoro e materie riguardanti l’organizzazione è stata irrigidita dalle parti pubbliche dentro confini contraddittori con le esigenze stesse di buon funzionamento delle pubbliche amministrazioni.

Anche da questa sommaria enumerazione si può insomma cogliere l’importanza delle questioni che, nonostante i colpi più volte subìti, sono oggetto delle relazioni sindacali d’istituto. Si tratta di materie sulle quali insistono competenze diverse, che vanno a incidere su aspetti anche molto delicati, e occorre quindi, per affrontarle in maniera equilibrata e coerente con l’ambiente scolastico, un’attenta conoscenza dei problemi e una notevole capacità di “regia” da parte di tutte le parti in causa rispetto agli equilibri complessivi del sistema di governo degli istituti. Ma occorre, anche e forse soprattutto, un’intensa opera d’informazione e di formazione, un training specifico, che comprende la conoscenza della storia dei rapporti di lavoro in generale e nella scuola in particolare, del quadro generale delle norme e delle prassi che regolano e orientano i rapporti sindacali e del lavoro, delle tecniche e degli stili negoziali. È altrettanto importante lo stile negoziale, perché è quell’elemento che costruisce la dote di fiducia che è indispensabile che intercorra tra gli interlocutori, pur portatori di interessi differenti.

Non è un tempo ordinario. Tra grande impegno professionale e disillusioni

Quello delle rappresentanze sindacali unitarie che si vanno a rinnovare nelle prossime settimane rimane, insomma, un compito assai importante anche soltanto guardando alle materie che il contratto affida loro nell’attività negoziale e naturalmente in quella gestione continua dei problemi che la contrattazione stessa, e non solo, li chiama ad affrontare.

È del tutto evidente, peraltro, che i compiti che saranno chiamati a gestire non si inseriscono in un tempo “ordinario”, per dir così, perché non è ordinario il tempo che la scuola sta attraversando, in un contesto generale che solo con un volonteroso sforzo di understatement si può definire soltanto preoccupante. Non è questa la sede, e certamente non è neppure necessario elencare qui i tanti aspetti di vera e propria regressione che i provvedimenti dell’attuale Governo – che peraltro radicalizzano e rendono manifeste tendenze già da tempo presenti nel nostro sistema – introducono, o programmano di introdurre nella scuola italiana. La tendenza al neocentralismo burocratico, il progetto di una revisione per decreto di fondamentali aspetti dell’assetto dell’istruzione (organi collegiali compresi), l’adozione di un sistema di valutazione dei dirigenti che li collocherebbe in balia dei vertici ministeriali, l’ipotesi di una riduzione generalizzata della durata dei percorsi di studio della scuola di secondo grado, una stagione contrattuale che è iniziata con grave ritardo e che prevedibilmente non sarà facile. Lo stesso sistema contrattuale pubblico appare oggi sotto stress non solo per le continue intrusioni legislative ma per le crescenti difficoltà a far funzionare regole ed equilibri che pure hanno consentito per un lungo periodo lo svolgimento equilibrato dei rapporti tra le parti sociali. Sono, questi, soltanto alcuni dei numerosissimi aspetti e “segnali” che non inducono certo all’ottimismo sul futuro della scuola italiana. Contrastare questa deriva è certamente necessario, ed è un compito che spetta ai sindacati, e non solo: si tratta di un compito reso più complicato dalla necessità non solo di fronteggiare un certo “senso comune” che si è fatto strada nell’opinione pubblica, ma di farlo attraverso proposte in grado di misurarsi con gli intensi cambiamenti della scuola e del contesto circostante e di farlo con un “pensiero lungo” capace, per quanto possibile, di sottrarsi alle tentazioni delle tattiche di breve periodo.

Tutto ciò avviene in una fase certamente non facile anche da un altro punto di vista. Può darsi che sia un’impressione soltanto di chi scrive, ma quello che sembra di vedere oggi nel mondo della scuola è un clima di grande impegno personale e professionale da parte della maggioranza di chi vi lavora ma anche di estesa e profonda stanchezza e disillusione rispetto alle possibilità di un cambiamento reale. Forse sono troppe le premesse e le promesse non mantenute, troppe le giravolte di riforme e controriforme, e questo incide non solo sulla credibilità di coloro che ne portano la responsabilità diretta ma, che sia giusto o no, incide anche sulla credibilità dei soggetti che in questi anni si sono maggiormente impegnati per opporsi a questa deriva. E questo pesa forse anche sulle “vocazioni”, cioè sulla disponibilità a svolgere un ruolo, quello del rappresentante del personale, che è molto importante, che può essere molto gratificante, ma che non è più circonfuso da quell’aura “eroica” ed entusiasmante di qualche anno, o forse di qualche decennio fa.

Sono tutte queste le ragioni per cui il ruolo delle RSU va ora incoraggiato e sostenuto anche al di là del fondamentale compito negoziale. Le rappresentanze sindacali unitarie (e mi sia consentito di sottolineare l’aggettivo unitarie) hanno nei fatti un compito fondamentale, quello di contribuire a tenere vivo nella scuola un clima democratico e partecipativo che è, non solo da oggi, ben più che a rischio.

 

L'autore

Mario Ricciardi

Docente Alma Mater Università di Bologna