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Tempi moderni

IL “CANTICO DELLE CREATURE”

 Introduzione

Francesco d’Assisi, un uomo gravemente malato, quasi completamente cieco, giunto alla fine di una vita intensamente vissuta e donata per Dio e per gli altri, compone il Cantico delle creature (Canticum o Laudes Creaturarum), conosciuto come Cantico di Frate Sole, intorno al 1224 fra San Damiano e il Vescovado di Assisi (le ultime due strofe): un canto di lode del Creato, un inno di gioia e di misericordia.

Con uno sguardo di fede ricolmo di gratitudine, esprimendosi con il primo poema in italiano volgare, contempla le meraviglie del creato e riesce a cogliere la presenza del Creatore che dona significato ad ogni cosa. Le creature, specchio delle perfezioni divine, sono fratelli e sorelle perché opera e dono dello stesso Autore. Un’immagine idilliaca, che però, da sola, non ne rende appieno la profondità. Infatti, il Cantico, per ben comprenderlo, bisogna leggerlo fino in fondo, dove appare uno scenario di una umanità dolente e sofferente nell’anima e nel corpo.

Ecco perché si propone una rilettura del Cantico, alla luce anche di temi antichi presenti nella Sacra Scrittura, per aiutare a comprenderne la ricchezza e i significati quanto mai attuali in una società che ha bisogno di ritrovare l’equilibrio con la “casa comune” e per lasciare ai posteri quanto di bello e di buono il Signore ha donato.

Struttura interna e antropocentrismo

Il Cantico non è frutto di una scrittura istintiva, improvvisata: una lettura attenta dei trentatré versi (tanti quanti gli anni di Cristo) rivela, infatti, simmetrie e parallelismi, fra i quali l’insistita ripetizione anaforica del “Laudato sii, mi signore”.

Inoltre, l’invito alla lode, all’inizio e alla fine del Cantico, crea una voluta struttura circolare, dentro cui Francesco esprime la motivazione della lode. Ben congegnata poi la struttura della lode per la quale l’uomo deve benedire il suo Creatore: essa va dall’alto verso il basso, progressivamente: il sole, “significazione” di Dio, la luna e le stelle, il vento, l’acqua, il fuoco, la terra, infine l’uomo e la morte.

Più o meno consapevolmente, Francesco richiamando il vento (aria), l’acqua, il fuoco, la terra ripropone il quattro elementi eraclitei; dal filosofo greco posti quale archè universale, ma nel Cantico semplici creature che abbelliscono e corroborano l’opera della creazione.

Infine, l’uomo, gli uomini, coloro che “sanno perdonare”, che vivono il comandamento dell’amore, grazie al quale «la morte secunda no’l farrà male». Dunque, Francesco loda il creato quale segno dell’amore del Creatore, giacché la lode del creato è lode a Dio.

Nella lettura del Cantico, va osservato come tutto quanto creato da Dio ha assunto il fine di essere utile a colui che possiede il cuore di Dio: l’uomo. Infatti, dal sole alla madre terra tutti questi elementi si rivelano necessari alla vita dell’uomo che, sebbene citato solo alla fine del Cantico, occupa un ruolo centrale perché è al vertice della creazione ed è l’unica creatura che è dotata di intelletto e può cantare, accanto e meglio di ogni altra creatura, le lodi di Dio per l’incommensurabile opera della creazione. Egli solo può comprenderne la grandiosità, esaltando e magnificando la Maestà divina. Proprio sulla scorta di queste considerazioni, critici individuano nel Cantico una forma di antropocentrismo, per quanto tutti questi elementi naturali, oltre alla loro intrinseca qualità, hanno il fine di servire all’esistenza degli esseri umani.

Non mero ecologismo, ma vero e puro rispetto del creato

Francesco, nel restare ammirato contemplando l’opera del Creatore, sente riecheggiare nel suo cuore le parole del Salmo 19: «I cieli narrano la gloria di Dio e il firmamento annunzia l’opera delle sue mani [...] la notte ne trasmette il messaggio e il giorno ne annuncia la notizia […]».

Egli comprende che la creazione in sé stessa è l’espressione più alta della gloria di Dio e basterebbe da sé a esprimerne la magnificenza. Tuttavia, è l’uomo che, con un uso sapiente e una cura oculata di quanto Dio ha messo a sua disposizione, può dare senso all’opera creatrice, scorgendo in essa l’immensa intelligenza di Dio che ha provvisto le sue creature di tutto ciò di cui hanno bisogno per vivere dignitosamente. Un uso sapiente che mai deve diventare abuso: della terra, dei fiumi, dei mari; delle specie animali e vegetali; di un mondo “ricevuto” e che l’uomo ha il dovere di custodire, tutelare e “restituire” a quanti saranno dopo di lui.

Nei versi del Cantico, si conosce che l’ordine della creazione è perfetto, non manca di nulla, è un congegno in cui ogni elemento è al suo posto giusto; ha e assolve una sua funzione, è un meccanismo e che si muove secondo leggi certe, per assicurare agli uomini sicurezza di vita e salute.

Per questo motivo va rivelato che, mentre tanti trattati medievali predicavano il contemptus mundi, come forma di maggiore elevazione all’Eterno, Francesco si muove in direzione opposta: parte dal basso, dalle cose create a cui dà valore e potenza evocativa, per andare verso l’alto, per giungere verso l’Altissimo.

Non c’è mero ecologismo in Francesco, ma studio e rispetto della ricchezza del creato, della natura, vera e pura ecologia, che mette al centro l’uomo quale custode e amante delle cose create, di quelle animate come di quelle inanimate: l’anelito di vedere e sentire la carezza di Dio nelle sue creature, di amarle per amare maggiormente il suo Creatore. Per questo, certamente, il primo biografo, Bonaventura da Bagnoregio dice di lui: «Contemplava nelle cose belle il Bellissimo e, seguendo le orme impresse nelle creature, inseguiva dovunque il Diletto» (Legenda maggiore, 9,1, Fonti Francescane 1162).

Confronti e paralleli con la Sacra Scrittura

Diverse le analogie e i richiami alla Sacra Scrittura, come fonte d’ispirazione del Cantico e come specchio con cui guardare dentro il flusso delle immagini e delle parole.

Il retroterra salmico

Nel leggere e gustare lo scorrere dei versi del Cantico, risuonano immagini e parole che richiamano il retroterra salmico dell’Antico Testamento.

Il Salmo 19, infatti, si apre con queste parole: «I cieli narrano la gloria di Dio e il firmamento annunzia l’opera sua. Il giorno al giorno ne annuncia il messaggio; la notte alla notte ne trasmette notizia». Tutto ciò fa da sfondo a quanto dice Francesco nel Cantico: l’esaltazione che il Salmista fa dell’opera creatrice di Dio riecheggia nei primi versi: all’Altissimo vanno le lodi, la gloria e ogni benedizione. Così, come nel Salmo tutta la creazione è l’espressione della gloria di Dio e la rivelazione della sua grandiosa opera creatrice, allo stesso modo Francesco, con la prima strofa del Cantico, esorta a comprende la piccolezza umana («nullo homo ene dignu te mentovare») e a innalzare lodi alla sua infinita, immensa Maestà.

Anche il Salmo 148 fa da retroterra alle parole del Cantico: «Lodate il Signore dai cieli […] lodatelo sole e luna, lodatelo stelle lucenti …acque che state al di sopra dei cieli … fuoco e grandine, neve e nebbia, vento di tempesta […]». Scorrendo il testo del Cantico si può osservare come Francesco riprenda, variando, i diversi elementi naturali che vengono espressamente citati nel Salmo. Tuttavia, mentre il salmista apre la sua preghiera con un invito a lodare Dio, Francesco nella prima strofa, rivolgendosi direttamente al Creatore, lo esalta con una serie di aggettivi, puntualizzando poi cosa si deve a Lui.

Il Salmo, così come nel Cantico, procede con un insistente catena anaforica ma, mentre il salmista invita gli uomini alla lode, è invece Francesco a volere personalmente lodare Dio, facendosi voce dell’intera umanità.

Il salmista, inoltre, con un ritmo incalzante, chiama raccolta tutte le creature per unirsi in un’unica grande lode; Francesco ringrazia il Signore per ogni singola creatura, chiarendone con una serie di aggettivi la loro specificità e utilità. Il Salmo, infine, mette in luce come Dio «diede un ordine stabile e certo»: Francesco non esprime in modo diretto il comando di Dio, ma l’esame della struttura del Cantico fa ben comprendere come tutta l’opera della creazione divina sia il segno palese e inoppugnabile della perfezione divina.

La voce dei Profeti

Tra i profeti dell’Antico Testamento, risulta particolarmente interessante la voce del profeta Daniele. Al capitolo tre del suo libro viene presentato il Cantico dei tre giovani. Questo cantico è molto interessante perché presenta molte analogie con il Cantico di Francesco: «Benedetto sei tu, Signore […] lodatelo ed esaltatelo nei secoli e Benedetto il tuo Santo nome glorioso lodato [...] Acque […] benedite. Sole e luna […] astri del cielo […] piogge e rugiade, venti tutti […] fuoco e calore, gelo e freddo, ghiaccio e nevi, notte e giorni, luce e tenebra, folgore e nuvole, terra tutta benedica il Signore […] Monti e colline, sorgenti […] mari e fiumi. Ringraziate il signore perché è buono […] benedite, cantate e rendete grazie» (Dan 3,51-89).

L’esame Sinottico dei due testi mostra delle affinità nella loro specifica singolarità. Entrambi i testi sono una lode al Creatore, pur seguendo vie strutturali e diverse. Nel cosiddetto Cantico dei tre giovani, questi ultimi fin dai primi sei versetti benedicono, lodano ed esaltano il Signore. Successivamente, per tutto il restante brano, essi invitano tutte le creature del cielo, della terra, del mare a benedire, cantare, esaltare il Signore. Notiamo che il verbo cantare è ripetuto sei volte, il verbo benedire con alcune variazioni morfologiche trentasette volte. Veramente singolare, poi, il contesto da cui scaturiscono queste lodi: una situazione di sofferenza e di supplizio atroce, giacché i giovani si trovano immersi nelle fiamme del fuoco ardente.

Le lodi di Francesco, invece, maturano da un altro contesto storico. Per ben nove volte Francesco ripete il verbo lodare (laudato sii, laudate) dapprima facendosi lui stesso voce delle lodi, poi, a conclusione del Cantico, invitando tutti a una comune lode al Creatore. In entrambi i testi vengono citati diversi elementi della creazione, numerosissimi e più particolareggiati in Daniele, che ne dà un lungo elenco; più condensati nel Cantico delle creature di Francesco. Infatti, il sole, la luna, gli astri, il vento, l’aere, il nubilo, il sereno “et omne tempo”, l’acqua, il fuoco, la madre terra sono in fondo ciascuno, con un proprio fine e utile, quegli elementi fondamentali e necessari per la vita.

Non sfugge, infine, come entrambi i testi iniziano e si concludano benedicendo il Signore e come entrambi, nelle loro distinte conclusioni, lo ringrazino «perché eterno è il suo amore» (Dan 3,90). Questo, dunque, il procedere del poeta Francesco: metabolizzare nel suo spirito la Parola di Dio, rivitalizzarla in forma personalissima ed esprimerla con le sue semplici parole.

 Il “grido” dei Vangeli

Nel Vangelo di Matteo, come introduzione al grande Discorso della Montagna (Mt 5-7), vengono presentate le Beatitudini: doni di Dio e frutto dell’amore del Padre verso i credenti. Tra questi ultimi ci sono i “perseguitati a causa della giustizia” ai quali è annunciata “una grande ricompensa nei cieli” (Mt 5,11-12). Francesco ne riprende, con la sua innocente semplicità, il testo e lo adatta allo stile del Cantico, dandone una rilettura nuova e sempre attuale anche ai nostri giorni: «Laudato sii, mii Signore, per quelli che perdonano per lo tuo amore, et sostengo infirmitate et tribulatione. Beati quelli che l’sosteranno in pace, ca da Te, Altissimo, sirano incoronati».

Questi versi del Cantico richiamano, con evidente chiarezza, i versetti di Matteo sulle Beatitudini. Non è da escludere che Francesco avesse dinanzi ai suoi occhi l’immagine del Christus patiens, l’Agnus dei, che prende su di sé i peccati del mondo, si carica del pesante legno di croce, continua ad amare e perdonare, e accoglie l’esperienza della morte per ricevere la corona della risurrezione.

Così, per gli uomini, «quando vi insulteranno, vi perseguiteranno, e mentendo diranno contro di voi ogni sorta di male a causa mia…», – «et sostengo infirmitate et tribolatione», questi saranno beati, perché tutto hanno accolto «a causa mia per lo tuo amore» –, così da ricevere la vostra «ricompensa nei cieli» –  «da Te altissimo, sirano incoronati».

Come si può osservare, i due testi presentano un perfetto parallelismo. Francesco offre una visione profondamente cristiana della sofferenza, richiamando il “grido” dei Vangeli, quale prova di fedeltà a Dio, obbediente ai precetti evangelici dell’amore e del perdono, fiducia certa e assoluta nella vita eterna, promessa dal Signore per coloro che sapranno seguirlo sulla via della Croce.

Sono parole che oggi possiamo leggere guardando i tanti perseguitati del mondo, perseguitati a causa di guerra, di violenza, perseguitati perché non accettati nella loro condizione umana, perseguitate perché donne, giovani, ragazzi, bambini orfani e abbandonati, perseguitati perché in fuga da guerre e violenza... Perseguitati perché non hanno il lavoro, una casa, un reddito personale. Perseguitati perché non hanno la capacità o la possibilità di accedere alle cure sanitarie. Perseguitati perché vivono in una condizione di sfruttamento morale, etico sessuale. Perseguitati perché non sono in condizione di poter esprimere la loro parola, di poter dire i propri pensieri. Perseguitati perché resi muti da regole religiose o da imposizioni frutto di società dittatoriali e tiranniche che inficiano la loro stessa vita. Sono parole che riecheggiano anche oggi e che danno il senso di come sia la Sacra scrittura, sia il Cantico di Francesco hanno in qualche modo presente anche nel loro tempo questa condizione pur dandone letture con diverse sfumature.

L’esortazione dell’Apocalisse

Il libro dell’Apocalisse, scritto sotto l’influenza della scuola giovannea, presenta al capitolo ventuno la sorte di quanti hanno vissuto in modo malvagio nella vita, compiendo azioni cattive verso il prossimo e verso Dio: «[…] la loro sorte è nello stagno di fuoco, quello che brucia con fuoco e zolfo. È questa la morte seconda» (Ap 21,8). Francesco, nel Cantico, scrive: «Beati quelli ke troverà ne le tue sanctissime voluntati. Ka la morte secunda no’l farrà male» (vv. 30-31).

La comparazione dei due testi evidenzia un elemento comune: il giudizio finale, la condanna eterna, la morte seconda, cioè la morte del corpo per l’eternità che non potrà risorgere a vita nuova nel giudizio universale. Francesco riprende la medesima espressione dell’Apocalisse, ma struttura il suo pensiero in forma diametralmente opposta. L’Apocalisse fornisce un elenco di maggiori vizi umani personificandoli. Per loro, infatti, la sorte sarà orrenda: lo stagno, il fuoco, lo zolfo, in altri termini, la perdizione eterna, la morte del corpo definita “la morte seconda”.

Francesco, al contrario, capovolge la situazione. Non guarda alla condizione di peccato, quanto piuttosto a coloro che hanno scelto di vivere secondo la volontà di Dio, unica via sicura per accedere al paradiso. E questa è una visione positiva che sembra quasi un’esortazione, un consiglio a voler orientare la propria vita secondo la volontà divina. Operando bene in ogni cosa, operando il bene nei confronti del prossimo, operando con amore: in questo modo sarà come un’assicurazione che il proprio corpo non sarà toccato dalla morte seconda, ma godrà della beatitudine senza fine.

Condividere la “casa comune”

Papa Francesco, di felice memoria, oltre ad avere scelto come suo nome proprio quello del poverello d’Assisi, dando una specifica direzione al suo pontificato, ha promulgato una Lettera Enciclica destinata al mondo a partire proprio dall’incipit del Cantico (Laudato si’), con la quale ha riportato al centro dell’interesse dei popoli e delle nazioni il grande tema dell’ecologia, del rispetto del creato in tutte le sue diversificate creature.

In tal modo, il Cantico di Francesco, può risuonare ancora oggi come un inno di gioia e come un grido di sofferenza di un mondo bello per la sua creazione, ma lacerato per la poca cura e il poco rispetto che gli si attribuisce. Un manifesto contro ogni idolatria contemporanea, che si esprime con la logica del possesso, dell’avere del denaro, del consumo e del dominio.

Pertanto, cantare le bellezze del creato significa tutelarne la natura, difenderne le esigenze, cercare condizioni favorevoli perché nulla sia deturpato, violentato, estinto: abitare il mondo e non possederlo! Per ogni uomo, questo non è solo un dovere, un obbligo, un impegno morale: è soprattutto un atto di ringraziamento, un godimento dell’anima, un riconoscersi parte della stessa creazione con la quale si condivide la stessa casa comune. 

Per una bibliografia

ACCROCCA FELICE, Francesco e il Cantico, Edizioni Paoline, Milano 2005;

BOFF LEONARDO, Francesco d’Assisi. Un’alternativa umana e cristiana, Assisi, Cittadella, 1982;

CAROLI ERNESTO, Il Cantico delle creature. Introduzione, testo critico e commento, Milano Vita e Pensiero 2009;

LECLERC ELOI, Le Cantique des créatures ou les symboles de l’union, Fayard, Paris 1976;

MESSA PIETRO, Il perdono secondo frate Francesco, in Testimoni, Novembre 2024, anno 47 (78), 12-13;

PAOLAZZI CARLO, Lettura degli “Scritti” di Francesco d’Assisi, Biblioteca Francescana, Collana Tau, Milano 2005; ID., Lode a Dio e Cantico di frate sole, in Antonianum, 94 (2019), 769-786; ID., Laudato si’ mi’ Signore. Il Cantico delle creature: introduzione e commento spirituale, Edizioni Porziuncola, Assisi 2024;

POZZI GIOVANNI, Il Cantico di Frate Sole di San Francesco in Letteratura Italiana Einaudi. Le Opere, vol. I, a cura di Alberto Asor Rosa, Einaudi, Torino 1992.

L'autore

Giuseppe Costa

Professore Ordinario di Sacra Scrittura presso la Pontificia Università Salesiana, Istituto Teologico “S. Tommaso” in Messina