Attualità

20 settembre 2021

L'estate dei roghi: il caso Calabria

L’estate 2021 è ormai archiviata. Insieme a vaccini e green pass il grande argomento che ha interessato quotidiani e notiziari italiani è la condizione dei nostri boschi e delle nostre campagne, alla luce dei numerosissimi incendi che, tra giugno e settembre, hanno devastato da nord a sud il paese.

Da un’analisi pubblicata da Coldiretti lo scorso 17 agosto sembra che il numero di incendi sia aumentato nell’estate 2021 del 256%, con un costo di circa un miliardo di euro tra opere di spegnimento e gestione del problema.

La Calabria risulta una delle regioni più colpite da questo dramma. Dai dati pubblicati dal Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco dal 15 giugno al 25 agosto sono 8.119 gli interventi effettuati all’interno della regione (di cui 6.523 dal 15 giugno al 14 agosto), con picchi significativi tra il 22 e il 25 agosto (311 incendi), tra il 15 e il 16 agosto (120 incendi), tra l’11 e il 12 agosto (100 incendi) e, andando a ritroso, il 6 dello stesso mese, giorno in cui hanno perso la vita due persone a causa di un incendio sul massiccio dell'Aspromonte, in località San Lorenzo. Per fare luce sul problema e capire meglio la complessità e molteplicità del fenomeno degli incendi in Calabria, abbiamo intervistato Giuseppe Cilione, vigile del fuoco del comando di Reggio Calabria e coordinatore regionale del comparto per la Fp Cgil. Giuseppe ci fornisce subito qualche dato, specificando che «l’entità del danno degli incendi degli ultimi mesi è incalcolabile». 14.000 ettari di superficie bruciata, di cui 7.000 ettari di aree boscate, solo nella provincia di Reggio Calabria. I danni sono incalcolabili perché quello che è accaduto negli ultimi mesi ha causato uno sconvolgimento del territorio di cui ancora non abbiamo reale contezza. Chiaramente l’emergenza ha già dei numeri, in termini di danni materiali diretti. Nel paese di Cardeto, ad esempio, paese di cui è originario Giuseppe Cilione, il fuoco ha distrutto parte delle condotte di distribuzione dell’acqua, diversi pali della luce, numerosi terreni agricoli. Ma i danni indotti, quelli non quantificabili, sono i più preoccupanti: intere pinete andate a fuoco, piante ed alberi montani, alcuni centenari, distrutti, intere vallate prive di vegetazione che potrebbero franare con le prime piogge, creando ulteriori danni, fenomeni erosivi del territorio e altre modificazioni invisibili di cui non possiamo per il momento avere un quadro preciso, ci mostrano una situazione complessiva devastante.

«Gli incendi che hanno interessato i boschi della Calabria negli ultimi mesi sono tutti di natura dolosa», precisa Giuseppe Cilione. Tuttavia, anche se l’innesco è sempre doloso, altri fattori intervengono nella propagazione dell’incendio, favorendo le fiamme anche in aree boscate come il cuore dell’Aspromonte. Le altissime temperature registrate nella prima metà di agosto, quasi costanti tra il giorno e la notte, e una fortissima alta pressione, hanno agevolato la propagazione degli incendi alimentando le fiamme e creando «un effetto di ‘espirazione’, come se qualcuno soffiasse sul fuoco». La natura dolosa, che è ormai una costante negli incendi boschivi in Calabria, sembra che quest’anno sia sfuggita di mano, proprio a causa di questi fattori. Le motivazioni del dolo sono semplici ipotesi. Una tesi sostiene che i pastori appiccherebbero il fuoco per avere dei pascoli freschi per le loro mandrie; un’altra ipotizza una vera e propria industria del fuoco, funzionale alla creazione di posti di lavoro e di contratti a tempo determinato; una terza tesi utilizza il concetto di industria del fuoco in riferimento alle operazioni di recupero e rimboschimento, attività che potrebbero giustificare utilizzo di fondi pubblici, con il favoreggiamento di aziende boschive che si occupano di bonifica del territorio e di operazioni idrogeologiche.

Un’altra questione fondamentale del problema incendi riguarda la carenza di mezzi adeguati alla gestione di questa emergenza. «I mezzi sono fondamentali perché il fattore principale per l'estinzione di un incendio è la tempestività, e si può essere tempestivi solo con un’allerta tempestiva e quindi con un controllo ben organizzato di importanti parti del territorio». Per permetterci di comprendere meglio il problema Giuseppe Cilione porta ad esempio l’incendio scoppiato il 6 agosto nei territori di Bagaladi e San Lorenzo, che si è propagato nell’arco di 7-8 giorni di fiamme continue, arrivando fino alla Diga del Menta. Questo incendio, lo stesso in cui due persone sono morte nel tentativo di evitare che le fiamme arrivassero ai loro uliveti, non è stato mai spento ed è emblema di un approccio che risulta nel complesso insufficiente. Sia a causa della propagazione delle fiamme verso zone boschive impervie e inaccessibili, sia a causa della carenza di mezzi aerei in un periodo particolarmente intenso di emergenze anche in altre regioni d’Italia, si è operato trascurando le fiamme. È chiaro che, se le risorse sono limitate, la priorità va sempre data agli incendi di interfaccia, ovvero quelli prossimi a aree urbane, con un alto rischio per le abitazioni e le attività agricole. Tuttavia, una adeguata gestione del problema dovrebbe, anche preventivamente, dotarsi di risorse e mezzi che evitino il propagarsi di un incendio per giorni. Il rischio è che, con la fine dell’estate e dell’emergenza, il problema passi in secondo piano, non venga presa alcuna precauzione e ci si ritrovi il prossimo anno al punto di partenza. 

«Non esiste un iter preciso e definito di prevenzione degli incendi, considerato come insieme di norme o disposizioni da seguire». Le risorse, prosegue Giuseppe Cilione, andrebbero impiegate come avveniva una volta, quando gli operai forestali lavoravano in montagna occupandosi della pulizia dei boschi e della realizzazione e del mantenimento delle fasce tagliafuoco, delle strade di penetrazione delle aree boscate funzionali ai controlli.

Le politiche attuate qualche decennio fa dall’Ente Parco dell’Aspromonte sono un esempio virtuoso di gestione dello spazio boschivo e di diretto coinvolgimento delle comunità locali, da cui bisognerebbe attingere guardando al futuro delle montagne non solo calabresi.

Negli anni che vanno dal 2001 al 2007, infatti, l’allora Pres. dell’Ente Parco dell’Aspromonte Tonino Perna, professore emerito di Sociologia economica all’Università di Messina e attuale vicesindaco di Reggio Calabria, attraverso un bando pubblico affidò i 40.000 ettari del territorio del Parco, preventivamente divisi in settori, ad associazioni ed enti locali del terzo settore, con il mandato ad intervenire nello spegnimento di possibili incendi. Fu il cosiddetto ‘Modello Aspromonte’: attraverso un meccanismo remunerativo venivano premiati i gestori dei settori del parco i cui ettari bruciati non superassero l’1% della superficie di riferimento. Questo modello, tutto incentrato sulla responsabilità sociale e territoriale in contrapposizione ad un approccio che favorisce il business delle società private, oltre a ridurre del 90% gli incendi con un costo complessivo di gran lunga inferiore a quello adoperato per lo spegnimento, ebbe un impatto ambientale minimo, in quanto garantì che ogni incendio venisse spento sul nascere. Se una dimensione di abbandono è la cosa che emerge quando si parla di incendi in Calabria, con un conseguente senso di «impotenza e frustrazione» in chi, come Giuseppe Cilione, opera quotidianamente sul campo, un approccio che stimola un interesse reale della collettività affinché il territorio non bruci è l’unico possibile per affrontare un problema che è, prima di tutto, una mancanza di consapevolezza sull’importanza delle aree boschive per l’ecosistema.

L'autore

Martina Polimeni