Politiche educative

03 maggio 2022

Riflessioni sulla pedagogia della scienza

L'intervento di Beppe Bagni su questa rivista online pone interrogativi e questioni di enorme rilievo, sul senso della scienza e soprattutto sulla pedagogia della scienza. Provo a fornire qualche analisi e tentare qualche risposta, nella speranza che questi interventi diano vita a una molteplicità di ulteriori interventi.

Con la moltiplicazione delle fonti d'informazione divenute accessibili a quasi tutti nel mondo, si pone l'interrogativo sull'accesso, sulla comprensione, sull'analisi e l'uso di ogni informazione. Studenti, giovani, bambini di oggi hanno un vero e proprio vantaggio rispetto alle generazioni che li hanno preceduti: una profusione di fonti il cui accesso è enormemente diversificato. In realtà, se ci si riflette, la cosiddetta “società dell'informazione” nasce con la stampa e la industrializzazione dell'editoria. Da più secoli, lo sviluppo prosegue, trasforma la relazione che ciascuno ha con l'informazione, il sapere, le conoscenze. Nello stesso tempo, il posto occupato da scienza e tecnica nel XX secolo in particolare interpella l'educazione, l'insegnamento e più genericamente la formazione dello spirito di cittadinanza. Ora, le scienze e le tecniche si sono diffuse sempre di più e si sono rese sempre più disponibili in modo diretto e senza filtro. Ecco perché formare gli studenti alle scienze, a tutte le scienze, è divenuto essenziale. Non solo se si pensa alle produzioni scientifiche ma anche ai processi che li hanno avverati.

Il lavoro educativo consiste nell'osservare, interrogare, sperimentare. Dall'analisi di un testo letterario all'osservazione di un territorio in geografia o all'analisi dei documenti storici: tutto ciò può essere riportato alla metodologia scientifica. Anzi, è opportuno farlo, rompendo quella ideologia ormai obsoleta e banale che ci vuole impegnati nelle cosiddette due culture, quella umanistica e quella scientifica. Di fatto, anche quando si fa letteratura, o storia o geografia si mette all'opera un corpus (un insieme di dati) da esplorare, una metodologia per raccoglierli e per trattarli in base ad un'argomentazione rigorosa che renda conto di quanto osservato.  Si può dunque pensare che questo lavoro, talvolta un tantino formale, s'inscrive nella formazione professionale degli insegnanti. Ma è sufficiente? Probabilmente no, le metodologie della ricerca e degli oggetti della ricerca sono talmente variegati che è difficile conoscerle tutte. E tuttavia, occorre almeno averne consapevolezza, non è altro che una buona metodologia universale della ricerca.

Ricercatori e filosofi della scienza mostrano costantemente la necessità di una comprensione delle ricerche per evitare che non vengano deviate nel discorso pubblico e mediatico o che siano disconnesse con la realtà. Gaston Bachelard, Karl Popper, Jean Rostand, Claude Bernard, Dominique Lecourt e Bruno Latour sono tra gli autori che più di altri hanno approfondito la questione delle scienze, delle loro metodologie e dei risultati. Si potrebbe perfino evocare il Positivismo di Comte e più generalmente il tentativo di un razionalismo scientifico incarnato dal movimento scientista che ha fortemente segnato il XX secolo e di cui l'ideologia soggiacente sarà fortemente criticata da pensatori come Husserl, Heidegger, Foucault o lo stesso Wittgenstein. E infine da Edgar Morin, per il quale il cammino dei saperi è complesso e molteplice e non sfugge ai dibattiti, alle rivalità, alle opposizioni e talvolta alle violenze della società alle quali appartengono. La crisi sanitaria, come spesso ricorda Morin, è un formidabile oggetto di studio in questo dominio della comprensione delle scienze. Ridurre l'insieme delle ricerche a quelle presentate in alcune discipline non fa che obliare la metodologia scientifica, la sua ricchezza, la sua complessità. Ecco perché è opportuno che i giovani comprendano i limiti della scienza, quelli ad esempio segnalati da Edmund Husserl ne La crisi delle scienze europee, che risale al 1936, ma ancora fortemente attuale, per misurarne interesse e importanza. Purtroppo, nel corso della pandemia l'uso mediatico e degli spazi mediatici ha offerto un paesaggio talmente carico di informazioni che è complicato per uno studente, come per gli insegnanti, misurare la pertinenza e il valore delle informazioni, in particolare sul piano delle procedure soggiacenti. Ecco perché si è sviluppato una sorta di movimento del “punto di vista”, che ha eliminato ogni rigore argomentativo alla scienza e agli scienziati, al punto che chiunque poteva esprimersi (soprattutto sui social media) su questo o quel particolare oggetto di ricerca, o virus, o vaccino. La pandemia illustra in modo significativo la necessità di un approccio scientifico in cui la metodologia richiede di essere approfondita e talvolta criticata. Perché è lì che giace la credibilità della ricerca scientifica. Ogni ricercatore sa che il lavoro di ogni sua ipotesi è messo alla prova durissima della sua capacità di effettuare una ricerca “credibile”. Torniamo alla didattica.

Nella classe, l'insegnante dovrà sempre più sovente decostruire le conoscenze degli allievi a partire dalle diverse informazioni presenti su ogni supporto. Questa attività di decostruzione presuppone molto più delle conoscenze specialistiche dell'insegnante. La realtà è che solo un terzo delle informazioni viene acquisito a scuola, dal momento che le nuove generazioni hanno accesso a fonti alternative. Ci sarebbe bisogno di un ripensamento delle metodologie didattiche attualmente in uso, perché l'attività preziosa di mettere in dubbio, interrogare, dibattere, interpellare informazioni che si assumono da fonti alternative richiede tempo, e gli insegnanti sono spesso a corto di tempo. Il punto è che nelle nuove generazioni si sta creando una sorta di opposizione tra saperi trasmessi e saperi costruiti, e ciò costituisce un enorme problema filosofico e pedagogico. Come risolverlo è il destino della riflessione della pedagogia e della filosofia dell'educazione dei prossimi anni. Il rischio è di educare le nuove generazioni alla frattura cognitiva, alimentata dalle fratture digitali. Sviluppare un'autentica cultura scientifica aperta è uno degli obiettivi più importanti della formazione degli insegnanti, e dunque degli studenti.

Chiudo con un passo (perdonerete la lunghezza) estratto da un libro di Gaston Bachelard, filosofo e pensatore francese purtroppo dimenticato, La formazione dello spirito scientifico, Raffaello Cortina, Milano 1996. Si tratta di una vera e propria risposta alla sfida che pone la pedagogia della conoscenza scientifica.

“È impossibile quindi fare d'un colpo tabula rasa delle conoscenze usuali. Di fronte al reale, ciò che si crede di sapere chiaramente offusca ciò che si dovrebbe sapere. Quando si presenta alla cultura scientifica, lo spirito non è mai giovane. È anzi molto vecchio, perché ha l'età dei suoi pregiudizi. Accedere alla scienza significa ringiovanire spiritualmente, accettare un mutamento brusco che deve contraddire un passato. La scienza, nel suo bisogno di compimento come nel suo principio, si oppone in modo assoluto all'opinione. E se, su un punto particolare, le accade di legittimare l'opinione, è per ragioni diverse da quelle che la fondano; di modo che, in linea di principio, l'opinione ha sempre torto. L'opinione pensa male; anzi, non pensa; traduce dei bisogni in conoscenze. Designando gli oggetti in base alla loro utilità, essa si impedisce di conoscerli. Non si può fondare nulla sull'opinione: bisogna prima di tutto distruggerla. Essa è il primo ostacolo da superare. Non sarebbe sufficiente, per esempio, rettificarla su alcuni punti particolari, mantenendo una conoscenza volgare provvisoria, come una specie di morale provvisoria. Lo spirito scientifico ci vieta di avere opinioni su questioni che non comprendiamo e che non siamo in grado di formulare con chiarezza. Bisogna innanzitutto saper porre i problemi. E per quanto se ne dica, nella vita scientifica i problemi non si pongono da soli. È precisamente questo senso del problema a contraddistinguere il vero spirito scientifico. Per uno spirito scientifico, ogni conoscenza è una risposta a una domanda. Se non c'è stata domanda, non ci potrà essere conoscenza scientifica. Nulla va da sé. Nulla è dato. Tutto è costruito. Ma anche una conoscenza acquisita in seguito a uno sforzo scientifico può declinare. La domanda franca e astratta si logora; la risposta concreta resta. E allora l'attività spirituale si inverte e si blocca. Un ostacolo epistemologico si incrosta sulla conoscenza inindagata. Abitudini mentali che furono utili e salutari possono alla lunga intralciare la ricerca”.

L'autore

Pino Salerno