Politiche educative

10 maggio 2023

Svegliamoci! il 13 maggio in piazza a Milano per una nuova stagione di lavoro e di diritti

Cari colleghi, questo è un appello per il futuro nostro, dei nostri studenti, del nostro Paese.

Veniamo da anni disastrosi per le politiche scolastiche, molti di noi, soprattutto i più anziani, quelli come me che sono ormai prossimi alla pensione, hanno visto stravolgere la Scuola a cui hanno dedicato la vita. Anni disastrosi anche per il lavoro in generale, e per tutto ciò che faceva parte dell’Italia in cui siamo cresciuti: sanità, pensioni, fisco, giustizia sociale.

Il nostro modo di lavorare è cambiato negli ultimi 25 anni. Abbiamo dovuto adeguarci a tanti importanti cambiamenti della società, e questo è sicuramente un bene.

Ma abbiamo anche visto la scuola trasformata da luogo di ingegno e creatività in tempio della più stupida ed inutile di burocrazia. Alla richiesta di risorse per migliorare il nostro lavoro ci è stato risposto invadendo le aule di tablet e lavagne multimediali: strumenti sicuramente utili in astratto ma non accompagnati da interventi (aule, edifici, uffici) che avrebbero potuto consentire di fare scuola in un modo diverso.

Alla esigenza di riqualificare la nostra professione, valorizzando l’impegno e la professionalità, si è risposto con l’introduzione della competizione fra colleghi, costringendoci a sprecare tempo in stupidi progetti pomeridiani per raggranellare qualche euro e incrementare lo stipendio, magari a discapito del tempo che doveva essere dedicato a preparare bene le lezioni. Oppure costringendoci a partecipare a finti corsi di formazione dove agenzie create appositamente ci raccontavano ogni volta improbabili soluzioni miracolose per insegnare bene e garantire il successo formativo, a prescindere da cosa insegnassimo e chi fossero i nostri studenti.

Abbiamo veramente toccato il fondo, e molti di noi vorrebbero gettare la spugna e attendere rassegnati la pensione.

Ma non è il momento di arrendersi! E’ il momento di pensare al futuro.

Il nostro futuro

Innanzitutto, egoisticamente, voglio pensare al futuro di noi ormai prossimi alla pensione: crediamo veramente che in un paese allo sbando, dove si tagliano i fondi alla sanità per spenderli in armamenti, riusciremo a vivere bene e a goderci una vecchiaia serena?

Come potremo vivere sicuri, se crolla il sistema di tutele e di servizi che faticosamente i nostri genitori hanno saputo costruire dalla fine della guerra in avanti?

Se mancherà quella cultura della solidarietà nazionale, fra generazioni, fra regioni, fra ceti sociali, questo paese diventerà una giungla, e a pagarla cara saremo noi per primi.

Il futuro dei nostri giovani colleghi

Poi voglio pensare al futuro dei nostri colleghi più giovani, quelli entrati da poco nella scuola. Forse è vero che alcuni di loro insegnano perché non hanno trovato altro lavoro da fare, in questo paese che ormai offre solo lavori precari, con i voucher, i contratti a termine e le agenzie interinali.

Ma sicuramente ce ne sono altrettanti, se non di più, che dopo la laurea hanno scelto di insegnare perché amano questo Paese, perché sono cresciuti in un scuola che ha aperto loro orizzonti di civiltà. Molti di loro, in passato, sono stati nostri stessi alunni, e gli abbiamo insegnato a credere in un mondo migliore e impegnarsi per realizzarlo. E adesso che sono nostri colleghi li abbandoniamo a loro stessi, senza preoccuparci che il loro futuro è ancora più incerto e nebuloso del nostro. Collaborare con i colleghi più giovani mi ha sempre aiutato a recepire le istanze del cambiamento, ho imparato tanto da loro, e ho saputo trasmettere, con umiltà, la mia esperienza. In qualsiasi lavoro i colleghi vecchi e i giovani sanno collaborare ed essere uniti per difendere i propri diritti e il posto in cui lavorano.

Nella scuola questo non succede.

Ho sentito negli anni affermazioni come “i giovani facessero la gavetta come l’ho fatta io”, oppure “io voglio un orario di lavoro migliore perché sono nella scuola da più anni”, o addirittura ho visto insegnanti trattare con sufficienza, se non addirittura irridere, giovani colleghi che ponevano riflessioni in merito alla necessità di rivedere il modo di rapportarsi con gli studenti.

E comunque sempre ciascuno per sé, senza nessuna collaborazione con gli altri, chiusi nella propria aula, nel proprio programma da svolgere, con il proprio orticello da difendere. Pronti a puntare il dito sul giovane collega che magari commetteva qualche errore per inesperienza dimenticando quanto abbiamo dovuto migliorare noi stessi.

Ebbene, non dimentichiamoci che questi colleghi sono il futuro della Scuola, e se non sapremo stare al loro fianco essi non avranno la forza per difenderla, e se non sapremo trasmettere concetti come autonomia, libertà di insegnamento, e tutti gli altri valori che hanno reso forte negli anni la scuola italiana, questi andranno persi per sempre.

Il futuro dei nostri studenti

E poi voglio pensare al futuro dei nostri studenti, futuri cittadini del nostro Paese. Ma non ci rendiamo conto che i nostri ragazzi potrebbero non avere un futuro? A cosa serve insegnare Italiano, Matematica, Storia, Informatica, se insieme a questo non gli insegniamo la cosa più importante, e cioè che la cultura serve per costruire il futuro e non per avere dei bei voti?

Dobbiamo insegnargli che il futuro non è già stato scritto, il futuro sono loro, insieme a noi, e che con impegno, battendosi per i diritti e per un futuro solidale, di pace, di civiltà, potremo vivere tutti in un mondo migliore.

Noi invece non li ascoltiamo, sappiamo solo parlare per ore, fare qualche dimostrazione alla lavagna e dare voti, e se appena i nostri studenti protestano li reprimiamo duramente.

Altro che insegnargli a lottare civilmente per i propri diritti!

Ma se non capiamo che i nostri studenti sono il futuro, se non ci rendiamo conto che noi abbiamo nelle mani il loro futuro, che sarà anche il nostro, ci piaccia o no, che futuro ci aspetta? Che futuro ci aspettiamo da giovani a cui insegniamo a competere contro il compagno di banco per avere il voto più alto? Che futuro ci aspetta se insegniamo ai nostri ragazzi che quello che conta è solo il risultato, e non l’impegno, la partecipazione, la fatica fatta per raggiungere il risultato?

Noi siamo solo capaci, da ipocriti benpensanti, di giudicare con sdegno i ragazzi che imbrattano i monumenti, fra l’altro senza arrecare danno, ma non cerchiamo di capire il drammatico e disperato messaggio che ci mandano.

Il futuro del Paese

E questo mi porta a parlare del futuro del Paese: che futuro ci aspetta se gli italiani hanno smesso di difendere i valori di questo Paese?

E il futuro passa, inevitabilmente, dal lavoro, che è ciò che costruisce il futuro dei popoli.

E la difesa del lavoro passa anche attraverso un impegno civile, sociale, sindacale, politico. A ciascuno di noi tocca fa qualcosa, e non voltarsi dall’altra parte.

In questi giorni vedo il mondo del lavoro, che torna a protestare in piazza, civilmente, per chiedere un futuro più dignitoso, agli anziani come ai giovani.

Sabato 13 maggio a Milano c’è una manifestazione per ribadire tutto ciò. Non vi costerà nulla partecipare, non perderete una giornata di lavoro, ma almeno avrete provato a far sentire la vostra voce, e, guardandovi intorno forse ritroverete quelle motivazioni a fare qualcosa con tantissimi altri che sono come voi. Sicuramente il giorno dopo il mondo non cambierà magicamente in meglio, ma se ci nascondiamo dietro un compiacente pessimismo per giustificare la nostra inazione, poi un giorno non potremo lamentarci di chi non ha fatto niente…

Leggi Per una nuova stagione del Lavoro e dei diritti. Documento unitario CGIL, CISL e UIL

Sabato 6 Maggio, a Bologna, i lavoratori delle regioni del centro Italia si sono fatti sentire, adesso tocca a noi del Nord: vi aspetto tutti sabato mattina, 13 Maggio a Milano, all’Arco della Pace.