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21 febbraio 2022

Ripresa e Resilienza?

Ripresa e Resilienza. I due termini ci sono ormai diventati familiari.

Il loro uso/abuso ne ha un po’ alterato la percezione ma, se correttamente associati, possono rappresentare un interessante strumento per “navigare” tra le notizie e i gli stimoli che ci provengono dall’articolato mondo della ricerca e dell’innovazione. Ci ricordava Daniela Palma in un articolo pubblicato recentemente come i problemi vengano da lontano e come fosse necessario ritornare a investire stabilmente su molti fronti e con una logica di lungo periodo. E, nel fare questo, portava una testimonianza “di peso”, quella di Giorgio Parisi. Ritorneremo poi su questa missione di coscienza critica che il Premio Nobel ha assunto sulle sue spalle e che lo ha portato a tenere alta la bandiera di questo obiettivo nei più diversi contesti e a fronte di argomenti ben diversi tra di loro.

Ma, per restare al titolo di questo intervento, un recente volume omonimo di Raffaele Brancati (Donzelli, 2022), porta la riflessione sui cambiamenti registrati in Italia dalle politiche industriali in materia di ricerca e innovazione. La tesi sostenuta nel testo, e supportata con i dati relativi ad indagini dirette rivolte, su una scala ormai ventennale, all’universo delle imprese, vede, da una parte, una conferma della rilevanza delle risorse (mai così nominalmente abbondanti e concentrate come nel caso del PNRR) a cui però non corrisponde una adeguata messa a punto dei meccanismi implementativi, schiacciati su approcci consolidati e su soggetti “noti”. La scommessa che viene proposta nel volume è quella di intervenire, anche sperimentalmente, su quelle imprese che esprimono una volontà di innovare, e di ricorrere alla ricerca, ma nel fare questo trovano difficoltà, ed arretramenti causa Covid, a cui faticano a reagire. Da qui una proposta di operare sull’area grigia che oggi tutti auspicano (il trasferimento, l’interazione, il partenariato, gli ecosistemi…) ma in forma più originale. Cogliere i problemi, individuare insieme le soluzioni, offrire servizi personalizzati e personalizzabili, moltiplicando i casi e basandosi su strumenti e livelli di conoscenza reciproca che ne ottimizzino le relazioni. E nel fare questo, riassegnare i compiti, e adeguare i relativi strumenti, a soggetti che, sotto una regia che li aiuti, siano realmente in grado di cogliere le esigenze e costruire le soluzioni.

Tutti argomenti che nella settimana che si chiude hanno trovato autorevoli sponsor in due iniziative che si sono susseguite: la presentazione al CNR della Relazione sulla ricerca e l’Innovazione e, il giorno successivo, la visita del Presidente Draghi ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso.

Difficile riassumere in poche righe l’insieme degli argomenti e delle considerazioni contenute nelle duecento pagine della Relazione sullo stato della ricerca, presentata al CNR il 15 febbraio e giunta, nella sua nuova versione alla terza edizione. Per inciso quella precedente era stata realizzata giusto l’anno precedente la pandemia.

La relazione nel suo insieme conferma un panorama noto: lieve crescita della spesa in ricerca e del personale addetto, anche grazie alla componente imprese in entrambi i casi, un limitato miglioramento sul fronte brevettuale (che rimane molto in ritardo nel confronto internazionale) e una buona performance in termini di pubblicazioni. La relazione ha anche letto con attenzione l’intero PNRR individuando e quantificando la ricerca contenuta in altri capitoli del Piano oltre a quella esplicitamente collocata nella missione 4.2. Ma è sugli approfondimenti quali il dottorato di ricerca (poco numeroso e poco valorizzato in Italia) e la presenza femminile in aree STEM (che fatica a realizzarsi e ad offrire prospettive di lavoro anche per i noti divari salariali) che si è concentrato il dibattito e si sono avuti gli interventi della Presidente Carrozza e della Ministra Messa. La prima ha ribadito la necessità di non limitare il contributo aggiuntivo alla fase straordinaria che stiamo attraversando per consentire una programmazione di lungo periodo in grado di bilanciare, nel caso del CNR, la funzione scientifica con quella di Agenzia. La seconda ha colto l’occasione per sottolineare come le vecchie logiche di separatezza (tra pubblico e privato, tra ricerca libera e ricerca finalizzata, tra ricerca e innovazione, ecc. ecc.) vadano superate nel quadro delle opportunità fornite dal PNRR e che in questa logica si muovono i bandi ministeriali che anziché promuovere nuove istituzioni, vogliono favorire il coordinamento e la razionalizzazione, attraverso la cooperazione, di quelle esistenti.

La visita di Draghi, accompagnato da Giorgio Parisi, è stata invece l’occasione per un confronto su diversi altri aspetti. Da una parte Parisi ha ripreso il tema della centralità del “capitale umano” nella scienza, oggi penalizzato sulla gran parte dei fronti e sottoposto, anche per queste ragioni, a un drenaggio costante verso l’estero che impoverisce il paese e le sue prospettive. Le stesse risorse, nella loro - relativa - attuale abbondanza, vanno correttamente impiegate, evitando sia cordate egemonizzate a cui diventa difficile opporsi, sia dispersioni e rivoli di finanziamenti non inseribili in una logica di crescita e sviluppo. A questo proposito ha citato il prossimo bando ministeriale sui partenariati, che andrà a completare i tre usciti alla fine dello scorso anno, per il quale ha auspicato una sorta di antitrust. Ma anche per Parisi emerge la necessità di avere oggi risposte credibili su cosa succederà al termine del finanziamento straordinario, in quanto la regolarità delle fonti di finanziamento è cruciale per la ricerca. E per riuscire ad essere credibili nell’attrazione di cervelli da fuori.

Draghi non si è sottratto alle sollecitazioni, sostenendo che la ricerca è al centro della crescita e, sciorinando i dati contenuti nelle prospettive del PNRR, ha confermato quindi la volontà di “volersi occupare della scienza come la scienza si è occupata di noi” nel difficile periodo che stiamo ancora vivendo.

La considerazione finale ci riporta quindi al significato dei due termini che abbiamo ricordato.

La capacità resiliente del sistema ricerca italiano ha già avuto modo di esprimersi nel lungo periodo prepandemico ma questo non ha ottimizzato l’individuazione e l’utilizzo delle potenzialità ai fini del contributo fornito alla indispensabile ripresa del paese.

Serve ora una politica in grado di sostenere in maniera armonica le diverse componenti del sistema, ognuna indispensabile alle altre, con una priorità oggettiva sulle risorse umane uscite fortemente penalizzate da tagli e pensionamenti.

L'autore

Alberto Silvani