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Politiche educative

Valutazione, scuola e società: un trio indissolubile

Non si può parlare di valutazione senza capire come essa è inserita nel sistema scuola e come questo è socialmente inteso. Ed è proprio dall'idea di scuola che intendo partire per trattare il tema della valutazione.

La scuola, terreno di scontro

La scuola non è "terreno neutrale". È da sempre oggetto di contesa tra diversi modelli di società. Ciò non deve sorprendere: è l'istituzione preposta alla formazione dei cittadini, e, alla fin fine, determina gli orientamenti prevalenti in una società.

Basti ricordare che, quando nel 1923 venne approvata la riforma Gentile, l'ultima riforma complessiva dell'intero sistema di istruzione, Mussolini la definì «la più fascista delle riforme».

La riforma Gentile non fu, culturalmente parlando, una riforma fascista, bensì una riforma della destra cattolico-liberale di inizio '900, che nasceva da una cultura idealista, potremmo dire crociana. Tant'è vero che nel 1923 Croce si congratulò con lo stesso Gentile per la sua riforma, nella quale ritrovava ampi tratti del suo precedente tentativo del 1920.

Nella riforma Gentile era evidente il tentativo di contrasto al pensiero positivistico, e di fare della scuola uno strumento di selezione e formazione di una classe dirigente, con una cultura prevalentemente classica e meno aperta alle discipline scientifiche.

Elemento cardine della riforma gentiliana era il controllo diretto da parte del ministero di tutta l'azione degli insegnanti, attraverso una struttura gerarchica piramidale. L'obiettivo era controllare il sistema di educazione per fare in modo che rispondesse alla visione che il regime imponeva. Era ovviamente assolutamente preclusa qualsiasi idea di autonomia scolastica. In tale tipo di scuola la valutazione rivestiva essenzialmente un ruolo di verifica del raggiungimento di traguardi e uno strumento di selezione.

Nella visione ideologica della scuola gentiliana va da sé che "tutti i voti fanno media", cosa che non significa che "i voti raccontano un processo di apprendimento lungo un anno", ma significa che ogni eventuale errore rappresenta "una macchia indelebile" sul curriculum dello studente.

Con ciò, ovviamente, non intendo negare i meriti che la riforma Gentile ebbe nel realizzare un sistema scolastico ben organizzato, omogeneo e con, finalmente, il ruolo centrale che gli spettava nel sistema Paese. Tant'è vero che essa, nei suoi aspetti organizzativi, ha potuto ben accogliere le successive istanze emerse nell'Italia Repubblicana in termini di scuola di massa. Era un sistema scolastico solido, ben strutturato, che quando è stato interessato da importanti riforme che ne hanno ridotto gli aspetti ideologici, ha saputo innovarsi e continuare a far bene il proprio lavoro.

Importanti cambiamenti nella scuola, e nell'Italia intera, hanno cominciato a prendere piede negli anni '60 del secolo scorso.

La riforma della scuola media unificata del 1962 indicava come la scuola non dovesse servire per indirizzare e differenziare precocemente i destini degli studenti.

La legge 910 del 1969, che prevedeva l'apertura dell'accesso a tutte le facoltà universitarie, continuò nella demolizione di quella idea di "scuola come strumento di selezione della classe dirigente".

Tale ventata di rinnovamento è continuata per tutta la parte finale del '900 e anche per i primi anni del XXI secolo, con diverse interessanti riforme che hanno interessato gli esami conclusivi dei cicli di studi, l'istruzione professionale, la possibilità di introdurre percorsi sperimentali, l'autonomia scolastica.

Tra tutte queste riforme spicca, per la rilevanza al tema che stiamo trattando, la legge 517 del 1977, che, agli articoli 4 e 9 abbandona i voti numerici a favore di una valutazione descrittiva finale dello studente, desunta da tutti gli elementi rilevati durante l'anno, elementi, è importante specificarlo, relativi ai livelli di maturazione raggiunti nelle singole discipline e globalmente all'interno dello stesso processo di apprendimento. È da sottolineare che la legge 517 introduce la figura dell'insegnante di sostegno e inaugura la stagione della scuola inclusiva.

Possiamo ben dire che essa è il simbolo di un'idea di scuola, e quindi di società, diametralmente opposta a quella codificata nella riforma Gentile.

E non è un caso che, a partire dagli anni 2000, proprio sulla valutazione e sull'inclusione si sono avuti, sulla pelle della scuola e degli studenti, i più feroci scontri ideologici:

  • reintroduzione dei voti numerici alla scuola primaria e secondaria di primo grado (DL 137 del 2008) voluta dal ministro Gelmini,
  • legge 107 del 2015 che continua a mantenere i voti nel primo ciclo ma reintroduce la descrizione del processo di apprendimento;
  • ripristino della valutazione formativa voluta dal ministro Fedeli nel 2017 con il DL 62;
  • reintroduzione dei giudizi descrittivi (DL 22 del 2020 e OM 172 2020) del ministro Azzolina;
  • proposta di ritorno ai voti numerici o giudizi sintetici come si evince dal disegno di legge del ministro Valditara e dalle successive discussioni in queste settimane.

Credo sarebbe ipocrita nascondere questo scontro più o meno latente.

Per giunta, abbandonato ogni centralismo gentiliano nella scuola, e sotto la garanzia della libertà di insegnamento, questo scontro è adesso diffuso non solo a livello di provvedimenti normativi, ma persino nel comportamento dei singoli docenti che, ricordiamolo, hanno la piena libertà metodologica di insegnamento, e quindi sono liberi di raccogliere elementi di valutazione, con l'unico obbligo di documentare tutto ciò che fanno e di riassumerlo in una valutazione finale secondo i dettami di legge e le decisioni prese in sede di collegio dei docenti.

Una comune visione costituzionalmente fondata

Potremmo dire che dal modo in cui un docente intende la valutazione si capisce che idea di scuola abbia, e da questo quale idea di società.

È possibile trovare un minimo comune denominatore sulla valutazione per ripensare la valutazione nella scuola in modo da mantenersi ancorati ai dettami costituzionali (libertà di insegnamento ma anche promozione dell'individuo come previsto dall'articolo 3) senza cadere in posizioni precostituite?

Io credo che questo comune denominatore sia possibile. Provo ad argomentare per punti.

La scuola deve sviluppare la personalità, non selezionare

Il primo punto deriva dalla lettura della nostra Costituzione. Comprendo che la Costituzione della Repubblica dia fastidio a chi ancora, più o meno apertamente, più o meno consapevolmente, vorrebbe una società ispirata a quei modelli classisti, razzisti, elitari, autoritari con cui il popolo italiano ha fatto i conti 80 anni fa. Il primo punto da tenere presente è la funzione di promozione sociale della scuola della Repubblica. Essa deve dare a tutti i cittadini, italiani vecchi e nuovi, la possibilità di sviluppare appieno le proprie potenzialità per poter contribuire, con la propria personalità, il proprio talento, al progresso della nazione. Ciò esclude qualsiasi intervento che intenda la scuola come momento di selezione e di perpetuazione delle diseguaglianze. Non significa affermare che la scuola, per non essere selettiva, debba garantire a tutti il successo formativo, oppure il "sei politico", in altri termini promuovere tutti sempre e comunque. Ciò contrasta fortemente con il dettato Costituzionale: una persona può sviluppare le proprie potenzialità solo in una scuola seria, di qualità, in cui la bussola siano l'arricchimento culturale e lo sviluppo di competenze.

Se la scuola di massa non è scuola qualificata, non è scuola, bensì parcheggio, luogo di svago o di addestramento a mansioni lavorative.

E, ovviamente, chi ne avesse le possibilità economiche, migrerebbe verso scuole private, nelle quali la qualità sarebbe perseguita decisamente meglio. In altre parole, se si squalifica la scuola pubblica, si ripropone una visione classista della scuola.

Quindi il primo punto su cui concordare è: scuola di qualità per tutti, che dia a tutti una opportunità di crescita, e non solo un "pezzo di carta" senza valore.

La valutazione è necessaria

Altro punto su cui penso si potrebbe trovare un accordo è la necessità stessa della valutazione.

Qualsiasi attività umana, a maggior ragione se svolta in una istituzione pubblica, deve essere gestita in modo da non eludere gli obiettivi per i quali esiste. Il tema della valutazione, a tutti i livelli, non può essere evitato.

La scuola è una istituzione pubblica i cui obiettivi sono fissati chiaramente dalla Costituzione. Ne discende che occorre verificare che:

  • le persone che operano nella scuola, con tutta la libertà metodologica e organizzativa, perseguano gli obiettivi costituzionali;
  • ciascuno studente risponda positivamente alle richieste che dalla scuola gli arrivano;
  • la scuola sappia farsi interprete delle specificità dei singoli;
  • il sistema scuola nel complesso sia correttamente finalizzato.

Per questi scopi sono necessari diversi livelli di valutazione:

  • del sistema scuola per verificare che risponda al dettato costituzionale e, in senso lato, alle necessità di una moderna società democratica;
  • degli insegnanti per vedere se il loro operato sia consono alle finalità dell'Istituzione;
  • della gestione dei singoli istituti;
  • degli studenti.

Dobbiamo interrogarci su come deve essere la valutazione per essere coerente con i presupposti da cui deriva.

Cosa valutare? Gli obiettivi della valutazione

È evidente che non si può parlare di valutazione se non si fa riferimento agli obiettivi, e questo fa emergere il nesso fra programmazione e valutazione. La valutazione deve essere progettata nel momento in cui si progetta un percorso.

Per quanto ci riguarda occorre rispondere a due domande: cosa devo valutare dello studente per poter dire che ha raggiunto gli obiettivi posti? E con quale strumento?

Gli obiettivi li pone il legislatore. Il Dlgs 62/2017 definisce obiettivi e finalità della valutazione: «La valutazione ha per oggetto il processo formativo e i risultati di apprendimento delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti delle istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione e formazione, ha finalità formativa ed educativa e concorre al miglioramento degli apprendimenti e al successo formativo degli stessi, documenta lo sviluppo dell'identità personale e promuove la autovalutazione di ciascuno in relazione alle acquisizioni di conoscenze, abilità e competenze».

Gli obiettivi sono possesso di conoscenze, livelli di competenza, capacità di partecipazione, sviluppo della persona. La valutazione non può dipendere esclusivamente dal superamento di una verifica o da una interrogazione, altrimenti rileviamo solo una minima parte di ciò che è necessario per una valutazione corretta.

Volendo completare il quadro va ricordato che gli obiettivi in termini di contenuti e competenze sono stati definiti dal legislatore con le Indicazioni nazionali del 2012.

Per valutare correttamente dobbiamo dotarci di strumenti che possano consentirci di rilevare elementi significativi rispetto a tutti i fattori indagati, e poi di una efficace metodologia di sintesi che porti a una valutazione finale.

Voti, ovvero elementi oggettivi per la valutazione

Siamo al tema dello strumento di rilevazione e alla sua sintesi: "voti", singole misurazioni, "valutazione finale", sintesi dei traguardi raggiunti dallo studente.

Nella scuola molti sono soliti pensare che il voto numerico, espresso in modo maniacale con mezzi voti, quarti, più-più e meno-meno, sia indice di attenta capacità di valutare. E quanto più precisi saranno i voti, tanto più precisa sarà la sintesi effettuata con la media aritmetica. A mio avviso va compreso che il voto non è uno strumento di misura metrica.

Ciò che misuriamo a scuola, ci piaccia o meno, non è paragonabile a una grandezza fisica. Un livello di conoscenza, una competenza, una più o meno marcata attitudine a partecipare, a collaborare in gruppo non è come una misura di peso o altezza che, come tutti sanno, sono grandezze fisiche che rientrano a pieno titolo fra le variabili valide a livello di intervallo se non, in certi casi, di rapporto.

Questo aspetto è cruciale: la statistica ci insegna che la "media aritmetica" è una misura di tendenza utilizzabile direttamente solo per grandezze valide a livello di intervallo o di rapporto. Grandezze di intervallo sono quelle per le quali si può dire che nella scala di misura la distanza (l'intervallo) fra un valore e un altro adiacente siano sempre costanti. Con queste, e disponendo di uno strumento adeguato, si possono fare rilevazioni riassumibili poi con una media aritmetica. Quelle di rapporto presuppongono addirittura che la scala di misura abbia uno zero riconosciuto come tale e quindi si possa parlare di "rapporto" fra le grandezze.

Nel caso della valutazione degli apprendimenti le cose stanno in modo molto diverso: i fenomeni che ci riproponiamo di osservare e misurare sono variabili di tipo ordinale. Possiamo affermare che uno studente sia più o meno competente di un altro, ma non di quanto. Possiamo affermare che uno studente sia più o meno partecipativo di un altro, ma non di quanto. Possiamo affermare che uno studente conosca l'informatica più di un altro, ma non di quanto.

Sono variabili di tipo ordinale. E, volendo effettuare una sintesi meccanica, senza una vera riflessione sullo studente e sul suo percorso, potremmo al più utilizzare la mediana, non certo la media.

La valutazione deve fondarsi su rilevanze oggettive

Occorre uno strumento di rilevazione che consenta di osservare livelli, rispetto agli obiettivi che ci si pone. Questo deve essere fatto in modi differenti, a seconda che si stia valutando una competenza o la conoscenza di un certo argomento.

È compito dei docenti, nell'ambito della loro libertà di insegnamento, e, possibilmente, in modo collegiale, definire il modo in cui rilevare e documentare i dati oggettivi su cui basare la valutazione.

Se si dispone di un agile strumento di rilevazione di livelli raggiunti, magari suddivisi per le competenze da osservare e i contenuti disciplinari, si può avere un quadro più facilmente riassumibile in una valutazione descrittiva.

Le rilevazioni possono essere facilmente raccolte senza troppe complicazioni, grazie al fatto che è possibile, con i registri elettronici in uso nelle scuole, inserire velocemente rilevazioni costituite da un livello e una sintetica descrizione di ciò che si è valutato, sia esso un argomento piuttosto che una competenza osservata.

La valutazione non è un sovraccarico del lavoro del docente

Su questo aspetto ci sono stati molti fraintendimenti, dovuti forse anche ad ambiguità del legislatore. La riforma del 2020 che introduceva la valutazione descrittiva nella scuola primaria non imponeva di scrivere lunghe e astruse relazioni su obiettivi, competenze e contenuti per ogni singola rilevazione. Tale lavoro doveva essere svolto al termine, come necessario momento finale dell'anno scolastico, ma le singole rilevazioni dovevano essere organizzate dai singoli docenti in modo efficace ed efficiente.

Le linee guida allegate all'ordinanza (OM 172) del 4 dicembre 2020 sono chiare, a partire dall'esplicito riferimento alle Indicazioni nazionali per il curricolo del 2012:

Agli insegnanti competono la responsabilità della valutazione e la cura della documentazione, nonché la scelta dei relativi strumenti, nel quadro dei criteri deliberati dagli organi collegiali.

Quello che ai docenti è richiesto dalla OM è che, sulla base degli obiettivi, si programmino attività didattiche e si rilevi il raggiungimento degli obiettivi, graduati su quattro livelli, facilmente discriminabili fra loro. Praticamente più semplice di ciò che sarebbe già obbligatorio fare con i voti numerici.

Questo fraintendimento ha generato nella scuola primaria una confusione e un rigetto delle prescrizioni dell'OM 172, e su questo ha buon gioco chi vorrebbe regredire ai voti numerici dicendo che "sono più semplici e chiari". Ma non è la strada giusta. Se scegliere la via più facile per mettere i voti fosse sempre la scelta corretta, allora potremmo valutare gli studenti misurando loro il peso e l'altezza, che sono sicuramente grandezze metriche facili da rilevare.

No, non si può giustificare la scelta di uno strumento sbagliato appellandosi alla sua semplicità.

Va ribadito che una valutazione basata su quattro livelli di raggiungimento di obiettivi e competenze è molto più semplice di quella con dieci gradi con progressione uniforme, come i voti. Detto in altri termini, far bene le cose è decisamente più semplice scegliendo la strada giusta, cioè valutare su quattro livelli di raggiungimento degli obiettivi, piuttosto che fare la cosa sbagliata, cioè cercare di utilizzare misure metriche su dieci livelli (si rimanda a tal proposito alle linee guida dell’ordinanza ministeriale e in particolare alla slide sui Livelli di apprendimento & Dimensioni la cui chiarezza è esemplare).

La valutazione è un momento di sintesi e riflessione

Alla fine dell'anno è necessario partire dalle rilevazioni oggettive e sintetizzare il percorso.

Questa sintesi però, che è cosa diversa dai momenti di rilevazione, richiede che da parte del docente ci sia uno sforzo di rivedere attentamente la storia dello studente durante l'anno, per giungere a una sintesi che sia effettivamente il risultato della riflessione, caso per caso, di un intero anno di elementi raccolti. Tale operazione non può essere affidata a un algoritmo che faccia una improbabile media fra numeri senza significato.

Ma non dovrebbe essere un problema insormontabile: tutte le rilevazioni possono venire in qualsiasi momento estratte dal registro elettronico, ottenendo una scheda completa di ciò che è stato rilevato sullo studente. Al docente spetta il compito di leggere quella "storia" e descriverla, traendo le conclusioni circa i traguardi di apprendimento raggiunti e la possibilità o meno di affrontare la classe successiva. E questo, lo ribadisco, è compito del docente non certo del software dei registri elettronici.

La valutazione deve essere formativa

Uno degli assunti su cui non dovrebbero esserci tentennamenti è la necessità che la valutazione sia formativa, aiuti cioè lo studente a crescere.

Va da sé che la valutazione descrittiva finale, pur essendo decisamente più chiara ed esplicativa di un numero da 1 a 10, giunge troppo tardi per aiutare a crescere.

Ecco allora che dobbiamo porci una domanda: quando deve intervenire la valutazione per potersi dire "formativa".

A parer mio ogni momento di interazione con lo studente è di per sé un momento in cui si può raccogliere un elemento di valutazione e contemporaneamente suggerire riflessioni sugli errori. Davanti a una risposta, un esercizio svolto, un modo di lavorare in laboratorio, un atteggiamento nel lavoro in classe, l'intervento del docente deve essere non solo volto a raccogliere un "voto", cioè un livello da segnare sul registro (sempre che si tratti di un evento significativo, altrimenti cadiamo nella rincorsa isterica al voto) ma anche a spiegare cosa eventualmente non va e perché! La spiegazione del docente aiuta lo studente a capire i propri errori. E, se diventa momento di discussione in classe, può essere occasione di crescita collettiva. È questo il senso formativo della valutazione, e ogni bravo docente sa benissimo di cosa sto parlando.

La scuola, democratica e inclusiva

Le considerazioni esposte sottendono una visione della scuola democratica e inclusiva. Questo è antitetico alla visione della destra, che cerca di far passare in modo occulto, celandolo dietro un uso strumentale di parole come merito, chiarezza, serietà, l'intento di riportare la scuola indietro di cent'anni.

Ma non è assolutamente una visione di parte politica. Le considerazioni fatte sono decisamente in linea con la dottrina della Chiesa sul ruolo dell'istruzione per l'emancipazione dell'essere umano, così come con i principi delle democrazie liberali che vedono nello sviluppo delle potenzialità dei singoli un beneficio per le società intere, e con le idee socialiste che individuano lo sviluppo dell'essere umano come strumento per perseguire una società più giusta.

Possono essere considerazioni da cui partire per pensare, dopo cento anni, e sulla base di tante positive esperienze condotte nella seconda metà del 900, quando la scuola italiana era considerata un'eccellenza nel mondo, a una nuova stagione per la scuola della Costituzione.

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