Premessa
“La guerra della memoria” è il titolo di un libro di Filippo Focardi, che offre una sintesi attenta e puntuale dell’elaborazione e della narrazione della Resistenza da parte di tutte le forze politiche, dal dopoguerra ad oggi[1]. Il titolo che ho scelto per questo articolo vuole, per contrasto, evidenziare il dato di fondo: in tutto il 2024 la destra ha scelto di rinunciare a un confronto aperto sul tema della Resistenza, decidendo deliberatamente il silenzio e una comunicazione sottotono. Siamo entrati cioè nella fase di guerra alla memoria, alla storia. L’obiettivo è spingere verso l’oblio, verso un nuovo senso comune schiacciato sul presente in cui ogni richiamo alla storia è un ingombro, un inutile peso, un tempo sprecato. E poiché questo presente senza storia è un rischio reale, alimentato dal dominio dei social, da spinte indotte dal mercato e anche da una politica della sinistra ancora “incerta”, la risposta culturale, pedagogica e didattica che anche noi dobbiamo alimentare affinché viva nella scuola, non può che riproporre la dimensione storica come l’unico modo di leggere e interpretare le vicende umane. Per tutti questi motivi Proteo Fare Sapere ha costituito un gruppo di lavoro che ha prodotto un documento dal titolo Per una pedagogia della Resistenza, dell’antifascismo e della Costituzione. Su questa base sono stati raccolti tanti contributi di altrettanti studiosi che hanno costituito un ricco dossier che si può leggere sul sito web dell'associazione.
Questo dossier rappresenta una prima tappa di un progetto che, partito nell'aprile dello scorso anno si svilupperà per tutto il 2025, in cui cadono gli 80 anni dalla liberazione dal nazifascismo, e anche oltre.
Imbarazzi e generiche dichiarazioni nei media e nel Governo
La nostra preoccupazione, dunque, è che fuori da una accurata ricerca storica e riproposizione su questa base delle vicende della nostra storia, i ricordi si smarriscono, tutto diventa indistinto, confuso. L’effetto sulla persona è la deriva verso l’indifferenza, verso quella “zona grigia” che Primo Levi denunciava come il rischio mortale, perché se dimentichiamo l’orrore di ciò che è stato, esso può tornare. Il rischio letale dell’indifferenza, si può sconfiggere soltanto con una scuola che “prende parte”, si schiera senza indugio sulla scelta della Costituzione come vincolo etico e culturale per la formazione delle nuove generazioni.[2] Abbiamo riscontrato come questa determinazione sia molto forte nel pensiero istituzionale del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Lo sottolineiamo con soddisfazione profonda e pieno consenso. Un monito non solo a coloro che hanno dichiarato guerra alla memoria ma anche a quanti non debbono dimenticare che la memoria si coltiva e si alimenta soprattutto tra i banchi di scuola, dove si costruisce la formazione democratica e antifascista delle nuove generazioni.[3]
Il ciclo degli articoli di stampa sul 25 aprile 2024 si è concluso molto rapidamente e, per la verità, con un eccessivo riferimento ai testi con un approccio di destra, con un esiguo numero (rispetto alle nostre aspettative) di testi pubblicati, Se non vi fosse stato il “caso” della censura ad Antonio Scurati, fatto che ha determinato una piccata reazione della Presidente del Consiglio con conseguente eco di stampa e scambio di battute tra i due schieramenti, la linea del “silenzio” di Palazzo Chigi sarebbe stata ancora più clamorosa. Lo scorso anno, in occasione della ricorrenza del 25 aprile, Giorgia Meloni affidò al Corriere della Sera del 23 aprile, una lettera aperta molto pretenziosa nei suoi obiettivi politici. In quel testo, certamente interessante per comprendere il profilo di questa destra di governo, la Meloni esplicita il suo pensiero: tentare di fare del 25 aprile un «momento di ritrovata concordia nazionale». E precisava: «da molti anni, infatti, […] i partiti che rappresentano la destra in Parlamento hanno dichiarato la loro incompatibilità con qualsiasi nostalgia del fascismo». Sembrava un inizio interessante. Così proseguiva: «il 25 aprile 1945 segna […] la fine della seconda guerra mondiale, dell’occupazione nazista, del ventennio fascista, delle persecuzioni anti ebraiche, dei bombardamenti e di molti altri lutti e privazioni che hanno afflitto per lungo tempo […] – (notare il silenzio tombale sulla Resistenza) – il frutto fondamentale del 25 aprile è stato, e rimane senza dubbio, l’affermazione dei valori democratici, che il fascismo aveva conculcato e che ritroviamo scolpiti nella Costituzione repubblicana». Da questa frase inizia tutta una ricostruzione ideologica che parte dal concetto crociano del fascismo come parentesi della storia e quindi anche del dopo fascismo come “recupero” di una civiltà già data, per arrivare a sostenere che l’obiettivo dei costituenti fu quello di «includere nella nuova cornice storica anche chi aveva combattuto tra gli sconfitti e quella maggioranza di italiani che aveva avuto verso il fascismo un atteggiamento passivo».[4]
Sarebbe questa la vittoria che ha assicurato al Paese sviluppo e grande prestigio in Europa e nel mondo. Per questo, continua la Meloni, «non comprendo le ragioni per le quali vi sarebbe una sorta di immaginaria divisione tra italiani compiutamente democratici e altri che […] sognerebbero in segreto il ritorno a quel passato di mancate libertà». Denunciando quindi l’uso dell’antifascismo come strumento di delegittimazione politica con conseguenti episodi di intolleranza (in particolare verso la Brigata Ebraica), la Meloni enfatizza il ruolo di Luciano Violante (il noto discorso alla Camera sui “ragazzi di Salò”) e di Silvio Berlusconi (discorso tenuto ad Onna nel 2009), nel tentativo di superare le lacerazioni del passato. E proprio in nome di un impegno contro tutte le “autocrazie” che la Meloni utilizza la polemica sul 25 aprile per motivare la scelta a fianco dell’Ucraina contro l’invasione russa e concludere con un suo omaggio a Paola Del Din, combattente delle Brigate Osoppo (brigate in cui militavano persone di ispirazione laica, socialista, monarchica e cattolica) e «vera patriota del nostro Paese». Ignorando, forse, che le Brigate Osoppo, dopo la liberazione, come gli storici hanno documentato, furono ricostituite con dovizie di mezzi per avviare l’insediamento nel nostro Paese della struttura clandestina di Gladio.
Questa lettera, che ha costituito il tentativo di avviare una nuova narrazione di destra del 25 aprile, non ha trovato eco significative né nello schieramento progressista, che ne ha denunciato l’infondatezza storica e la evidente strumentalità politica, né in quello di destra che vi ha colto una ambiguità di fondo e un rischio di intaccare la matrice neofascista che ancora segna una parte del proprio elettorato, In sostanza un tentativo fallito e subito abbandonato. Nel 2024, al di là dell’osservanza del protocollo di un Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni si è astenuta da una qualsiasi dichiarazione o riflessione sul 25 aprile. Una consegna al silenzio quasi a preludere a una nuova strategia: non più il conflitto a viso aperto con la cultura antifascista ma la progressiva sterilizzazione della memoria, l’incedere silenzioso verso l’oblio della storia.
Clamorosa, a mio parere, proprio la cronaca del 28 maggio in cui migliaia di persone si sono ritrovate a Brescia per ricordare la strage indiscutibilmente fascista del 1974. Non è forse incredibile, oltre ogni decenza, il fatto che una Presidente del Consiglio non senta la necessità di essere a Brescia anche solo simbolicamente, di mandare una corona di fiori, un messaggio, proprio mentre il Presidente della Repubblica va a rendere omaggio ai parenti delle vittime e chiede di incontrare i giovani studenti? «Oggi la Repubblica è Brescia» ha esordito il Presidente, quasi a dichiarare che nessun assente potesse dirsi giustificato. E infatti, a tarda sera, inseguita dalle tante reazioni, Meloni ha rilasciato una breve, burocratica dichiarazione tanto per segnare la “presenza”. Un’occasione perduta, per la Presidente del Consiglio, per rompere apertamente e definitivamente i legami con il fascismo nostalgico e con quello stragista degli anni '70. Evidentemente una missione impossibile per lei, ben consapevole dei legami che ancora residuano nel suo partito non solo tra i nostalgici del ventennio ma anche nelle nuove leve del neofascismo giovanile (come accertato indiscutibilmente da alcune inchieste, in particolare quelle di Fanpage). La lettera che Meloni scrive il 3 luglio ai dirigenti del suo partito (che potrete leggere nell'allegato 6 del nostro dossier) è un tentativo di scrollarsi di dosso l’effetto negativo delle inchieste richiamate. L’appello che vuole sembrare dirimente («non c’è spazio per razzisti e antisemiti») in realtà evita in modo lampante ogni tentativo di fare i conti con la storia, quella passata e quella presente.
Di tutto ciò si è avuta evidente conferma anche in occasione della celebrazione in Parlamento del delitto Matteotti, la non casuale sottolineatura del Presidente Mattarella che ha ricordato come il delitto Matteotti fu «un attacco al Parlamento e alla libertà di tutti gli italiani…» non ha trovato alcun riscontro nei rappresentanti del Governo. Bisogna dimenticare.[5]
Dichiararsi antifascista è visto allora come antipatica e sgradevole richiesta di una sinistra[6] alla quale si domanda, di rimando, se sia disponibile a dichiararsi anticomunista, dimenticando che i comunisti italiani hanno contribuito a scriverla, la Costituzione, non a negarla o ostacolarla.
Un lavoro dunque, quello della narrazione della destra di governo, tutto teso a sminuire, ridurre, confinare fascismo e Resistenza in un tempo lontano che le nuove generazioni non conoscono e non sarebbero interessate a conoscere.[7]
L’analisi dei testi che abbiamo raccolto nel nostro lavoro conferma ampiamente questa tesi.
I valori che non hanno tempo e non vanno dimenticati
A maggior ragione è importante rimettere in linea, evidenziare e valorizzare il processo che invece prosegue, malgrado il governo di destra, di elaborazione della cultura democratica avviata dal secondo dopoguerra dai rappresentanti di quelli che furono, per decenni, i “partiti dell’arco costituzionale”. In tal senso gli interventi ufficiali del Presidente Mattarella rappresentano quell’eredità raccolta dal 1948 ad oggi; la sussistenza di un pensiero istituzionale che ambisce a parlare a tutti gli italiani e a tutte le istituzioni del Paese. Una cultura che non fa dell’antifascismo un’etichetta, tantomeno un’etichetta “di sinistra”: antifascismo è il punto più alto della cultura democratica. Una cultura di cui, mai come oggi, abbiamo bisogno.
L’auspicio di Proteo è che i soggetti che si ispirano ancora a quei partiti che furono protagonisti della Resistenza avvertano l’esigenza di riprendere quell’istanza, in primo luogo etica, che animò la grande battaglia per la liberazione dell’Italia dalla dittatura fascista e dall’occupazione nazista. La salvaguardia e l’ampliamento degli spazi di partecipazione e di democrazia in cui debbono essere garantiti i diritti delle minoranze, il diritto al conflitto, la valorizzazione della dialettica sociale, richiedono ancora oggi l’impegno primario per un antifascismo non rituale e non riduttivamente memorialistico.[8] Rileggere se e come l’eredità della Resistenza sia oggi ancora patrimonio attivo delle forze politiche democratiche, è un compito che esula dalle possibilità e finalità di questo progetto , anche se Il riferimento all’attuale Presidente della Repubblica, offre certamente un itinerario di grande interesse. Insistiamo nella nostra tesi: la memoria è un dovere non solo per conoscere il passato ma anche e soprattutto per costruire il futuro della democrazia.
Sul nostro sito (allegati 2, 3 e 4) si possono leggere: il testo dell’intervista di Ezio Mauro al Presidente Mattarella (2015) e i discorsi che egli tenne in occasione del 25 aprile negli anni 2023 e 2024. Risulta evidente la diversa narrazione di quei fatti con quanto, con la complicità di molti media, viene sfumato, annacquato, reso "neutrale". Ma basta collegarsi col sito del Quirinale e passare in rassegna i discorsi ufficiali del presidente per farsene un'idea.
Qui mi limito a riproporre alcuni dei concetti tra i quali il richiamo che egli fa a Calamandrei quando dice agli studenti che la nostra Costituzione non è una lettera morta, ma un testamento di centomila morti, che lì c'è tutta la nostra storia, ma non è stata scritta per il passato: «è una Costituzione che apre le vie dell'avvenire». Il presidente Mattarella ci ricorda che l'antifascismo è un tratto identitario della politica italiana, che «il 25 aprile è, per l’Italia, una ricorrenza fondante: la festa della pace, della libertà ritrovata, e del ritorno nel novero delle nazioni democratiche […] aggiungo, utilizzando le parole di Aldo Moro del 1975, che "intorno all’antifascismo è possibile e doverosa l’unità popolare"».
La lotta di liberazione fu un fenomeno non solo di partigiani, ma anche di militari che rifiutarono il fascismo, di uomini e donne che in tanti modi rischiarono la vita per sostenere la Resistenza. E ricorda gli anni in cui trame, stragismo, terrorismo misero a dura prova le istituzioni democratiche del nostro paese. Ma tutto questo potrete leggerlo sui brani che abbiamo pubblicato sul sito di Proteo e che vi abbiamo segnalato.
Concluderei, sempre appoggiandomi al pensiero di Mattarella, ricordando che da molte parti si è voluto sottolineare che anche da parte dei resistenti vi furono atti di violenza talvolta eccessivi, «una deviazione grave e inaccettabile degli ideali originari della Resistenza. Le violenze inaudite del nazifascismo furono invece le conseguenze coerenti delle ideologie che le ispiravano». E a proposito del tentativo di “pacificazione” da più parti evocato, Mattarella afferma: «la pietà è per tutti […] non si possono però equiparare i due campi: tra chi combatteva per la libertà e chi difese la sopraffazione». E così conclude nel 2024: «La storia italiana è passata attraverso la dittatura fascista, la guerra, la lotta di liberazione. E un popolo vive e si nutre della sua storia e dei suoi ricordi».
Come dire: il 25 aprile è incancellabile. E la memoria corre sulle vite delle persone, delle loro scelte etiche, del rifiuto di ogni indifferenza, della volontà di giustizia. La scuola è il luogo fondamentale in cui tutto ciò può e deve prendere forma.
[1] F. Focardi (2023), La guerra della memoria. La Resistenza nel dibattito politico italiano dal 1945 a oggi. Laterza. Questo studio di si distingue per l’ampiezza e la cura della ricerca storica.
[2] «Una Costituzione antifascista esige una scuola antifascista e un’educazione antifascista. Egli insegnanti ne sono i partigiani. Perché essere partigiani significa parteggiare, schierarsi, prendere posizione», Così Massimo Baldacci a Brescia in occasione del cinquant’anni della strage di Piazza della Loggia. Il testo è parte del nostro dossier. Per approfondimenti si rimanda al numero di giugno di questa rivista https://www.articolotrentatre.it/rivista/giugno
[3] Suggeriamo come lettura fondamentale: Sergio Luzzatto (a cura di), (2011), Uomini e città della Resistenza. Discorsi, scritti ed epigrafi di Piero Calamandrei. Laterza 2023.
[4] Molto interessante, da questo punto di vista, la riflessione di Giovanni De Luna che legge in questo approccio il tentativo di «diluire l’importanza storica di quella data, in un generico sollievo collettivo», in “La Stampa”, 23 aprile 2024, pag.13.
[5] Segnaliamo volentieri, a questo proposito, due recenti saggi sulla figura di Giacomo Matteotti: il primo di Diego Crivellari (Presidente Proteo Rovigo) e Francesco Jori, Giacomo Matteotti, figlio del Polesine, Apogeo Editore 2024 e il secondo di Alberto Aghemo, La scuola di Matteotti, Rubettino, 2024.
[6] Antifascismo, quelle patenti intolleranti è il titolo dell'articolo di Luca Ricolfi, su Il Messaggero del 3 maggio '24, pag. 23 che potete leggere qui https://www.proteofaresapere.it/cms/resource/open/7753/prima-sessione-8-il-messaggero-antifascismo-quelle-patenti-intolleranti-luca-ricolfi-3-maggio-2024.pdf mentre in un altro articolo di questo numero proponiamo l’analisi pungente che ne fa Eliana Romano.
[7] Significativa in tal senso l’intervista al Ministro Valditara su La Stampa del 24 aprile 2024. Egli, dopo aver rivendicato a sé il merito di aver impedito che la Liberazione fosse raccontata «soltanto da chi decise di schierarsi con L’Unione sovietica e contro la Nato», conclude che «in Italia non vi è alcun rischio di dittatura. Semmai colgo elementi di fascismo all’interno di certe frange di sinistra estrema». Insomma una vera lezione di storia nella ricorrenza del 25 aprile.
[8] Denso di riflessioni il saggio Fascismo e antifascismo, le idee, le identità di G. De Luna e M. Revelli, La Nuova Italia, 1995.