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Catene d'infanzia: la piaga invisibile del lavoro minorile

Il 12 giugno si celebra in tutto il mondo la Giornata mondiale contro il lavoro minorile, quest'anno dedicata al tema del lavoro domestico. Nell’ambito dei lavori della Conferenza Internazionale del Lavoro tenutasi a Ginevra dal 3 al 14 giugno 2024, la FLC CGIL ha incontrato Benjamin Smith, Senior Specialist di Lavoro Minorile all’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO).

Oggi il diritto all'istruzione è globalmente considerato un diritto umano universale per ogni bambino, eppure nel 2024 abbiamo ancora bambini che non sono in classe ma sul posto di lavoro. Perché siamo ancora alle prese con il lavoro minorile?

È una buona domanda. Quando l’ILO[1] (che ha celebrato il suo 100° anniversario nel 2019) è stata creata, il lavoro minorile era all'ordine del giorno e infatti è stato quello uno dei motivi principali della sua fondazione. Ritrovarci più di 100 anni dopo ancora con un numero così elevato di bambini impiegati nel lavoro minorile (secondo le ultime statistiche 160 milioni di bambini tra i 5 e i 14 anni sono coinvolti nel lavoro minorile in tutto il mondo) è sicuramente motivo di allarme. Certo, ci sono stati progressi. Ogni quattro anni pubblichiamo stime globali sul lavoro minorile e dal 2000 c'è stato un calo di 86 milioni di bambini coinvolti, un progresso che definirei significativo. L'ILO ha due convenzioni sul tema. La prima è la Convenzione 182 sulle peggiori forme di lavoro minorile, ratificata universalmente nel 2020. Si tratta della prima Convenzione dell'ILO ad essere ratificata da tutti i paesi membri. L'altra è la Convenzione 138 sull'età minima per l’ingresso nel lavoro, ampiamente ratificata (assenti, al momento, solo una manciata di paesi). Abbiamo quindi realizzato un solido quadro giuridico che è ampiamente adottato, ma poi la grande sfida è mettere in pratica queste convenzioni. E penso che questo sia parte del motivo per cui siamo ancora alle prese con il lavoro minorile: c'è impegno in termini di leggi e convenzioni, ma d'altra parte i paesi non stanno dando seguito e investendo  abbastanza sull'istruzione dei bambini, sulla protezione sociale per i bambini e le loro famiglie, sul lavoro dignitoso per i genitori in modo che possano permettersi di mandare i loro figli a scuola invece di portarli al lavoro (dobbiamo considerare che la maggior parte del lavoro minorile è all'interno della famiglia). Un altro problema è l'applicazione della legge; ad esempio gli ispettori del lavoro sono sottofinanziati in tutto il mondo, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. L'altro problema è che in certi momenti è culturalmente accettato come qualcosa di normale, una parte della crescita. Poi, naturalmente, negli ultimi anni abbiamo avuto la pandemia, il cambiamento climatico (un moltiplicatore di rischio) per non parlare dei conflitti: quando ci sono conflitti il lavoro minorile è molto più a rischio. Si tratta quindi di tendenze che stanno sicuramente mettendo in seria discussione il nostro obiettivo di ridurre questo fenomeno.

Nel sindacato ci concentriamo sui diritti dei lavoratori e in particolare in FLC CGIL lavoriamo con i lavoratori della conoscenza. Qual è il legame tra i diritti dei lavoratori e il lavoro minorile?

Sono strettamente collegati. L'effettiva abolizione del lavoro minorile è uno dei cinque principi e diritti fondamentali sul lavoro dell’ILO [2], insieme alla libertà di associazione e contrattazione collettiva, all'eliminazione del lavoro forzato, alla non discriminazione in materia di occupazione e alla sicurezza e salute sul lavoro. La libertà di associazione e contrattazione collettiva possono essere considerate una sorta di diritto abilitante, perché se le persone, in particolare i genitori, sono in grado di organizzarsi per difendere i propri interessi, per contribuire a ottenere una parte della ricchezza che contribuiscono a creare, allora faremo passi avanti molto positivi nell'eliminazione del lavoro minorile. Abbiamo bisogno di un approccio che integri i diritti fondamentali del lavoro promossi dall'ILO per ottenere risultati sostenibili. Dobbiamo davvero affrontare la questione economica: perché i bambini devono lavorare? Nessun genitore vuole esporre i propri figli a condizioni pericolose. Ogni genitore vuole il meglio per i propri figli: istruzione, tempo per giocare. Ma è a causa della pressione finanziaria sulla famiglia e della coercizione economica che i genitori scelgono di portare i figli al lavoro piuttosto che a scuola. Quindi il lavoro minorile è strettamente legato alle condizioni di lavoro, ai salari e ai prezzi dei prodotti agricoli.

Può parlarci della distribuzione del lavoro minorile nel mondo?

Nel 2020 la nostra stima globale ha mostrato un aumento del fenomeno per la prima volta da quando abbiamo iniziato a misurare. Quindi è aumentato di circa 8 milioni, arrivando a 160 milioni. La metà di questi bambini inclusi in questo numero sono impiegati in lavori pericolosi, quindi una delle peggiori forme di lavoro minorile. In termini di distribuzione regionale, l'Africa è sempre stata la regione con la più alta percentuale di bambini coinvolti nel lavoro minorile e l'area con il maggior numero assoluto di bambini che lavorano rispetto al resto del mondo messo insieme. In Africa i tassi di lavoro minorile sono vicini a uno su quattro, mentre a livello globale questa cifra è di uno su dieci. Se in altre parti del globo, America Latina, Asia e Pacifico, abbiamo osservato continui progressi, in Africa no. L’azione globale deve quindi concentrarsi in Africa per l’eliminazione del lavoro minorile.

Qual è il ruolo dei sindacati?

I sindacati hanno un ruolo essenziale da svolgere in questa lotta. Innanzitutto devono promuovere la causa e rendere il lavoro minorile un tema centrale nei dibattiti nazionali. E poi devono ritenere le multinazionali responsabili. Per esempio, in Italia avete un’importante multinazionale che produce cioccolato: scommetto che questa impresa incoraggia la libertà di associazione nelle sue fabbriche e rispetta tutti i diritti fondamentali dei lavoratori. Ma il problema non è nelle fabbriche, bensì nella catena di approvvigionamento, cioè nell’indotto, dove assistiamo a livelli molto bassi di organizzazione, poiché le imprese che contribuiscono agli approvvigionamenti nell’indotto fanno spesso parte dell'economia informale. Si tratta spesso di aziende agricole di piccolissime dimensioni, a conduzione familiare, che non sono abbastanza redditizie da assumere lavoratori in modo legale, quindi portano a lavoro i bambini. È nella produzione o coltivazione di prodotti grezzi che viene impiegata la maggior parte del lavoro minorile. Organizzare queste aziende che si trovano nell'economia informale è difficile per i sindacati; tuttavia noi riteniamo che sia una priorità politica, inoltre, investire nella sindacalizzazione di queste micro-imprese familiari potrebbe potenzialmente portare i sindacati ad ampliare il loro numero di iscritti. Tornando all’esempio della multinazionale italiana, sarebbe importante che i dipendenti della casa madre sollevassero questo problema all'interno dell'azienda, avvisando la controparte che si tratta di una preoccupazione e di una priorità per i lavoratori. Penso che questo sarebbe molto utile per attirare la loro attenzione su questo aspetto e mobilitare maggiori sforzi per affrontare il problema.

Di recente abbiamo visto alcuni esempi significativi di azione sindacale in aree rurali remote in cui il lavoro minorile è diffuso. Per esempio, nelle coltivazioni di cacao nell'Africa occidentale, dove i piccoli agricoltori sono entrati a far parte del sindacato dei lavoratori agricoli del Ghana e così hanno avuto accesso ai servizi sociali e all'assicurazione sanitaria. Inoltre, grazie all’intervento dei sindacati i lavoratori si sono organizzati in cooperative per ottenere accordi migliori per i loro prodotti: sia con aziende che forniscono loro gli input necessari, che con servizi di marketing e di accesso ai mercati. Si tratta di un miglioramento della posizione economica nella catena di approvvigionamento di quei lavoratori che stanno in basso. In definitiva, può essere importante sia l’attività classica di sindacalizzazione, sia la denuncia alle grandi aziende che acquistano dai piccoli produttori, anche mediante il ricorso al whistleblowing. Anche in questo caso, si tratta di un’azione molto difficile perché parliamo di aree rurali remote, ma potenzialmente cruciali.

I sindacati potrebbero anche utilizzare i principi di due diligence sulla sostenibilità sociale e ambientale con i quali le aziende dimostrano di rispettare i diritti umani. Utilizzando i percorsi di due diligence si possono incoraggiare le aziende a istituire meccanismi di controllo sulla catena di approvvigionamento nell’indotto e a supportare la capacità delle persone di fare denunce perché i loro diritti vengano rispettati. Questi sono esempi di ciò che i sindacati potrebbero fare nel loro lavoro con le multinazionali in quel contesto.

Abbiamo già accennato alla relazione tra conflitti e aumento del lavoro minorile. Il proliferare dei conflitti armati a cui stiamo assistendo che impatto potrà avere sul fenomeno?

Penso che dove ci sono guerre il rischio di lavoro minorile aumenti drammaticamente, fino al 70% in più, secondo alcune delle nostre ricerche. Così, a causa della mancanza di uno Stato di diritto, della demolizione dell'istruzione, aumenta il rischio che i bambini vengano coinvolti nei conflitti come bambini soldato o come fornitori di servizi, in particolare nel caso delle ragazze, con il risvolto dello sfruttamento sessuale a fini commerciali. In guerra, le strutture per la protezione dell'infanzia cadono a pezzi così come i mezzi di sussistenza delle famiglie. In realtà la guerra è sempre e ovunque un motore per il lavoro minorile e le guerre sono in aumento.

Abbiamo appena sentito ieri il premio Nobel, Kailash Satyarthi commentare questo fenomeno e dobbiamo riconoscere che la sua fondazione ha fatto molto lavoro in merito. Ha detto che la quantità di denaro assorbito dalle spese militari in 10 giorni potrebbe sostenere la protezione sociale dei bambini e delle loro famiglie a livello globale. E la protezione sociale è uno strumento estremamente efficace per combattere il lavoro minorile, perché va alla radice del lavoro minorile: la povertà.

Spesso anche l'istruzione non è gratuita. E una famiglia povera spesso non può permettersela. L'altro problema che causa lavoro minorile dal punto di vista del bilancio nazionale è l'erogazione dei servizi: non ci sono abbastanza scuole, non ci sono abbastanza insegnanti, le aule sono sovraffollate, i bambini devono camminare per molti chilometri per raggiungere le scuole nelle aree rurali.

In fin dei conti, si tratta di fare scelte politiche: mettere al primo posto gli interessi dei bambini nell'elaborazione delle politiche economiche e sociali. Penso che il fatto che il lavoro minorile persista ancora in misura così ampia indichi che siamo molto lontani dal mettere i bambini in cima alle nostre priorità nella definizione dei bilanci nazionali e nei processi decisionali. Quindi quest'anno esortiamo i Paesi a mantenere gli impegni assunti con la ratifica delle Convenzioni ILO. Su questo siamo particolarmente vigili, e indichiamo agli stati una serie di passi da compiere, perché sappiamo che la vera sfida è l’effettiva attuazione.


[1] L'ILO è stata creata nel 1919, come parte del Trattato di Versailles che pose fine alla Prima Guerra Mondiale, per riflettere la convinzione che una pace universale e duratura può essere raggiunta solo se è basata sulla giustizia sociale.

[2] Si veda la dichiarazione dell'ILO sui principi e i diritti fondamentali sul lavoro https://www.ilo.org/ilo-declaration-fundamental-principles-and-rights-work.

L'autore

Miriam Di Paola