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ELEZIONI RSU: UNA STORIA BELLA E DIFFICILE, UNA SFIDA PER IL FUTURO

Il prossimo aprile si vota per il rinnovo delle rappresentanze sindacali unitarie (RSU) nelle scuole e in tutti i posti di lavoro pubblici. Questo appuntamento si rinnova ogni tre anni e rappresenta un momento di particolare importanza per i lavoratori e il sindacato. Per la scuola si tratta di una storia iniziata un quarto di secolo fa, nel dicembre del 2000, con le prime elezioni. In questo lungo periodo, dal 2000 a oggi, la vicenda delle RSU ha visto fasi di grande coinvolgimento ed entusiasmo alternate a momenti più difficili e complicati.

Le RSU e la scelta del proprio rappresentante di luogo di lavoro

Le prime elezioni RSU furono una novità eclatante perché per la prima volta i lavoratori venivano direttamente chiamati a eleggere i propri rappresentanti sindacali sul posto di lavoro. Ma la novità fu anche per i sindacati cui competeva presentare in ogni scuola le liste dei candidati tra cui i lavoratori avrebbero scelto i propri rappresentanti (3 o 6 a seconda della dimensione della scuola).

Queste prime elezioni rappresentarono l’esito di un lungo e complesso percorso avviato negli anni precedenti di progressiva democratizzazione e sindacalizzazione delle scuole e dei luoghi di lavoro pubblici, che ha comportato, da una parte, un più forte radicamento del sindacato nei singoli posti di lavoro e, dall’altro, l’emergere di un più deciso protagonismo dei rappresentanti sindacali quale espressione diretta dei lavoratori.

La regolazione contrattuale e l'autonomia scolastica

Le elezioni delle RSU, in realtà, rappresentavano solo un tassello di un più ampio disegno riformatore che ha portato, con una serie di disposizioni normative varate dagli anni ’90 in poi del secolo scorso, alla regolazione contrattuale, e non più per legge, dei rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti. In questo modo si intendeva avvicinare i settori pubblici a quelli privati in cui tale regolazione avviene contrattualmente.

Regolare per contratto il rapporto di lavoro significava riconoscere ai lavoratori pubblici un ruolo paritetico rispetto al proprio datore di lavoro, liberandoli da una condizione di subordinazione in specie nei riguardi del potere politico che, attraverso l’azione legislativa, poteva disporre unilateralmente delle condizioni di lavoro e retributive del personale, alimentando per questa via il corporativismo e il clientelismo con conseguenze a volte nefaste sui conti e sulla qualità dei servizi pubblici. La regolazione contrattuale si prefiggeva di coniugare il miglioramento delle condizioni retributive e di lavoro con l’esigenza dell’amministrazione di incrementare la qualità dei servizi prestati a vantaggio dell’intera collettività.

Il nuovo sistema trovò la sua definizione complessiva con il D.lgs 165/2001 con cui vennero definite le regole della contrattazione collettiva per il settore pubblico ai livelli nazionale e integrativo. Innanzitutto stabilendo i soggetti titolari delle relazioni sindacali che, per la parte sindacale, a livello di posto di lavoro venivano individuati nella RSU, ovvero nei rappresentanti sindacali eletti dai lavoratori. Inoltre il voto per eleggere le RSU diventava anche la misura – insieme al dato delle deleghe sindacali – per individuare le organizzazioni sindacali rappresentative e, pertanto, ammesse a partecipare ai tavoli nazionali di contrattazione, superando così la frammentazione della rappresentanza sindacale tipica del pubblico impiego (per essere rappresentativo al sindacato occorre raggiungere il 5% in media tra il dato associativo e quello elettorale). Infine, ma non per ultimo, si stabiliva la validità del contratto nazionale se sottoscritto dalla maggioranza (51%) delle organizzazioni sindacali rappresentative.

Per quanto riguarda la parte datoriale pubblica, la titolarità delle relazioni sindacali a livello nazionale è in capo all’ Agenzia per la rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni (Aran) che agisce sulla base di un atto di indirizzo delle diverse amministrazioni del settore di competenza, mentre a livello integrativo di istituzione scolastica la titolarità spetta al dirigente scolastico. Alle parti, come sopra indicate, spetta la contrattazione di ciò che è inerente il rapporto di lavoro, dal trattamento economico alla prestazione lavorativa compresa l’organizzazione del lavoro con una ripartizione articolata tra il livello nazionale e quello integrativo. 

In realtà nelle scuole l’avvio della contrattazione si accompagnò a un’altra importante innovazione che coinvolse e segnò l’intero sistema scolastico, ovvero l’introduzione dell’autonomia scolastica (DPR 275/1999) che poi ebbe il riconoscimento anche in Costituzione a seguito della modifica del titolo V. Con questa innovazione si intendeva trasformare il sistema scolastico italiano da un modello fortemente centralizzato e controllato dal Ministero dell'Istruzione (dai programmi all’organizzazione delle scuole, alla gestione del personale) a un sistema di scuole autonome che fossero in grado di sviluppare, in rapporto al territorio e al contesto, la propria capacità progettuale e gestionale in ambito organizzativo, didattico, di ricerca e sperimentazione. Inoltre, con l’introduzione dell’autonomia, ai capi d’istituto venne conferita la qualifica dirigenziale e i poteri di contrattazione integrativa nelle scuole. Questo cambiamento era parte di quel progetto con cui il governo dell’epoca intendeva semplificare, decentrare e rendere più efficiente la complessa macchina dell’amministrazione pubblica (cosiddetta riforma “Bassanini”).

La contrattazione integrativa d’istituto e suoi benefici effetti

In questo contesto le relazioni sindacali di scuola (nei suoi diversi aspetti di informazione, confronto e contrattazione) assunsero una funzione di rilievo, quella di favorire condizioni di partecipazione e condivisione delle scelte che la scuola autonoma andava assumendo sul piano didattico e organizzativo. Alla contrattazione di scuola, infatti, spettava, in funzione di bilanciamento dei poteri del nuovo dirigente e di trasparenza delle decisioni assunte, di regolare tutti gli aspetti relativi al rapporto di lavoro (prestazione professionale, retribuzione accessoria, ecc.) mentre agli organi collegiali restava la esclusiva competenza in materia di programmazione e progettazione educativo-didattica.

Le scuole pertanto avviarono – nella cornice di regole fornite dapprima dal contratto nazionale di lavoro relativo al quadriennio 1998/01 e poi, soprattutto, dei successivi due quadrienni – una stagione di contrattazione in cui per la prima volta si confrontavano le rappresentanze del personale e il dirigente scolastico per regolare, con un accordo vincolante per le parti, aspetti importanti per i lavoratori quali la distribuzione delle risorse del fondo d’istituto, i compensi per funzioni e attività svolte dal personale, i criteri per l’orario di lavoro, per l’assegnazione ai plessi, la sicurezza nei luoghi di lavoro, i diritti sindacali, ecc.

Fu una stagione molto impegnativa ma anche molto stimolante perché crebbe e si diffuse un protagonismo tra i lavoratori sempre più consapevoli dei propri diritti, della possibilità – attraverso le relazioni sindacali – di tutelare e migliorare le proprie condizioni di lavoro, di valorizzare la professionalità delle diverse componenti, e di incidere per questa via sulla qualità dei servizi offerti alla cittadinanza che, nel caso di specie, riguardano una funzione costituzionale indispensabile qual è l’istruzione pubblica. E soprattutto crebbe la consapevolezza dell’importanza che le relazioni sindacali potevano garantire in termini di trasparenza e condivisione nei processi decisionali, condizioni indispensabili per i luoghi pubblici della conoscenza alle cui scelte progettuali e gestionali contribuiscono, a diverso titolo, tutte le diverse componenti professionali (che il CCNL del 2018 avrebbe definito con efficace sintesi “comunità educante”) e che rappresentano il miglior antidoto contro ogni deriva autoritaria e “aziendalistica”.

La controriforma nel pubblico impiego

Senonché questa stagione durò meno di un decennio, con l’avvento al governo delle forze di centro-destra cambiò il clima politico e si affermò un atteggiamento ostile nei confronti del lavoro pubblico e più in generale del sindacato e della contrattazione. Nel 2009 fu varato il Dlgs n.150 promosso dall'allora Ministro della Funzione Pubblica Brunetta, una vera e propria controriforma del sistema delle relazioni sindacali nel pubblico impiego, con il rispristino della prevalenza della legge sul contratto, la riduzione delle materie regolabili per contratto (con l'esclusione di tutta la sfera dell’organizzazione del lavoro), l’introduzione di un sistema asfissiante di controlli amministrativi, il ridimensionamento della contrattazione integrativa e del ruolo dei sindacati. A ciò si aggiunse da lì a poco il blocco delle retribuzioni e delle contrattazioni che sarebbe durato praticamente per un decennio poiché i governi cambiavano (dopo Berlusconi, Monti, Letta, Renzi,…) ma non la loro ostilità nei confronti del lavoro pubblico, del sindacato e più in generale dei diritti dei lavoratori.

In questo quadro anche l’autonomia scolastica subì una drastica e repentina involuzione stante il taglio di risorse disponibili (economiche e di organico), la diffusione di istituti scolastici “monstre” a seguito di accorpamento e soppressione di sedi periferiche, gli interventi legislativi su materie proprie della contrattazione, l’accentramento dei poteri nella figura del dirigente e un ruolo sempre più marginale degli organi collegiali. Con l’indebolimento della contrattazione, inoltre, venne meno un importante supporto alle scuole autonome impegnate in processi partecipativi di cambiamento e di innovazione organizzativo/didattica. Andò così affermandosi un modello di scuola “aziendalistico” e competitivo, fortemente gerarchizzato e burocratico, in forte contrasto con le finalità democratiche e inclusive proprie di un sistema scolastico costituzionalmente orientato.

La ripresa della contrattazione

Grazie a una sentenza della Corte Costituzionale (n. 178/2015) – che affermava che il blocco indefinito della contrattazione contrastava con l’art. 39 della Costituzione sulla libertà sindacale – la situazione cominciò parzialmente a mutare. Ciò portò, con non poche contraddizioni, a una nuova disposizione normativa (Dlgs n.75/2017 cd decreto “Madia”) sulla cui base si aprì la nuova stagione contrattuale. Senonché la nuova norma ripristinava solo in parte il sistema originario delle relazioni sindacali contenuto nel Dlgs. 165/01, infatti, pur affermando la derogabilità della legge da parte del contratto, si introducevano contestualmente numerose limitazioni, in particolare, sulle materie relative all’organizzazione del lavoro, alla mobilità, alle sanzioni disciplinari, che restavano di competenza unilaterale dell’amministrazione.

In queste condizioni furono comunque rinnovati i contratti nazionali del comparto (nel frattempo diventato comparto “Istruzione e ricerca” che include scuola, università, ricerca e Afam) prima del triennio 2016/18 e poi di quello 2019/21, utilizzando tutti gli spazi che la nuova cornice normativa metteva a disposizione.

In questo modo fu recuperata alla contrattazione integrativa la piena titolarità in materia di retribuzione accessoria con la riappropriazione di materie sottratte dalla legge (come il cd “bonus docenti”), furono acquisite alla contrattazione importanti o innovative materie (come il diritto alla disconnessione e la formazione), ricondotti al confronto significativi aspetti relativi all’organizzazione del lavoro (come il lavoro a distanza). Su queste basi fu possibile rilanciare una rinnovata stagione di contrattazione nelle scuole che ebbe il merito di riaffermare l’importanza e la vitalità delle relazioni sindacali sui posti di lavoro anche quale antidoto rispetto alle derive autoritarie del sistema scolastico, rispondendo così alla forte richiesta di tutela collettiva, di partecipazione e protagonismo che il personale scolastico continuava a esprimere nonostante i reiterati interventi volti a reprimerne il ruolo.

Tale esigenza di partecipazione è emersa con evidenza in occasione delle periodiche scadenze elettorali per il rinnovo delle RSU (nonostante i tentativi di blocco e rinvio) in occasione delle quali la categoria ha sempre partecipato con percentuali tra il 70% e l’80%, cifre ben superiori a qualsiasi altra competizione elettorale politica o amministrativa. Il voto dei lavoratori nelle passate tornate ha sempre privilegiato le sigle confederali e tra queste il primato è sempre spettato alla FLC CGIL.

Le sfide del presente

Ora ci si appresta a un nuovo rinnovo delle RSU in un contesto molto complicato determinato dall’indebolimento del sistema nazionale di contrattazione collettiva. Infatti le trattative per il rinnovo del contratto nazionale relativo al triennio 2022/24 sono state appena avviate, mentre il precedente contratto relativo al triennio 2019/21 è stato sottoscritto molto dopo la scadenza ovvero nel gennaio 2024.

Questi evidenti ritardi condizionano fortemente lo stato delle relazioni sindacali e la possibilità di dare continuità e vigore alla contrattazione decentrata, anche perché nel frattempo imperversano le incursioni ministeriali in ambiti che dovrebbero essere di stretta competenza contrattuale perché riguardanti la prestazione lavorativa e la determinazione del salario. Si pensi, ad es, al DL 36/2022 che ha introdotto una sorta di “carriera” per i docenti (dal carattere fortemente competitivo e selettivo) all’esito di un complesso percorso della durata di ben 9 anni. Oppure alla legge 197/2022, che ha previsto il docente “tutor” per l’orientamento stabilendone il numero per scuola, le funzioni e il compenso massimo e minimino spettante, disconoscendo così non solo le prerogative contrattuali ma anche quelle degli organi collegiali.

Ma i ritardati rinnovi contrattuali non danneggiano solo le relazioni sindacali, colpiscono direttamente le retribuzioni dei lavoratori i quali si vedono negato il diritto di ricevere per tempo gli aumenti spettanti in relazione all’aumento del costo della vita. Aspetto questo vieppiù importante in un periodo come quello che stiamo attraversando in cui, dapprima la pandemia e poi le diverse guerre in Europa e medio oriente, hanno determinato una grave crisi economica e un forte aumento dell’inflazione come non si conosceva da anni. È pertanto evidente che a fronte di un’inflazione al 17% relativa al triennio 2022/24 proporre, come fa il governo, di rinnovare il contratto con aumenti al 6% rappresenta una provocazione oltre che un’assenza di responsabilità.

Inoltre, lo slittamento temporale dei contratti, oltre alle negative ricadute sul piano salariale, comporta anche l’impossibilità di regolare la prestazione lavorativa contestualmente e in coerenza con i cambiamenti e le innovazioni nel frattempo introdotte nell’organizzazione del lavoro.

Ritardare i rinnovi contrattuali – la cui responsabilità è tutta in capo alla compagine governativa – rivela la volontà di destrutturare definitivamente il sistema delle relazioni sindacali nel pubblico impiego che, con tanta fatica, si è sviluppato negli anni precedenti. Significa volere penalizzare i lavoratori della scuola e degli altri settori pubblici, scaricando su di loro i costi della crisi economica. Significa, in conclusione, compromettere drasticamente la qualità dei servizi pubblici non investendo nella valorizzazione professionale ed economica del personale.

Le elezioni RSU 2025: un'occasione per rilanciare la contrattazione

Contro questo disegno regressivo la FLC CGIL ha avviato una forte mobilitazione che ha visto dapprima la proclamazione per il 31 ottobre 2024 dello sciopero dei settori della conoscenza e successivamente la partecipazione allo sciopero generale della CGIL svoltosi il 29 novembre. La mobilitazione ora prosegue con la campagna per le prossime elezioni delle RSU nelle scuole, università, enti di ricerca, conservatori e accademie. Votare i candidati della FLC CGIL significa rafforzare le ragioni di un sindacato che ritiene prioritario rinnovare i contratti nazionali per tutelare i salari e migliorare la condizione lavorativa, oltre che per dare voce e protagonismo ai lavoratori ai quali, anche con le RSU, possono essere garantite condizioni di partecipazione e trasparenza nei luoghi di lavoro.

Ma per rilanciare il ruolo delle RSU e della contrattazione non basta resistere ai reiterati tentativi di ripristinare la prevalenza della legge sul contratto, è necessario anche aggiornare e rafforzare le procedure e le norme che regolano attualmente il sistema contrattuale nei comparti pubblici, assicurando tempestività nei rinnovi contrattuali, parametri certi di adeguamento delle retribuzioni al costo della vita, piena competenza della contrattazione collettiva su tutti gli aspetti riguardanti il rapporto di lavoro comprese le materia di natura organizzativa.

È un compito non facile, per quanto irrinunciabile.