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Buone pratiche

LAVORARE UTILIZZANDO L’IA SENZA FARSI UTILIZZARE DA ESSA

L’interessante articolo di Gaetano Fabiano, pubblicato nel numero di ottobre di questa rivista[1], ha illustrato in modo chiaro e approfondito il quadro normativo, sia a livello europeo che nazionale, relativo all’uso dell’Intelligenza Artificiale (IA). Particolare attenzione è stata dedicata ai principi che devono orientare l’introduzione dell’IA nella scuola e alla situazione attuale del sistema scolastico italiano, soprattutto in relazione alla capacità di accogliere e integrare questa tecnologia.

Muovendo all’interno del contesto delineato, intendo innestare alcune riflessioni su quello che rappresenta il nodo centrale della questione: in che modo l’intelligenza artificiale può essere utilizzata a scuola. Mi riferirò, in modo pragmatico e sulla base della mia esperienza di docente, ai possibili approcci pedagogici che l’insegnante può adottare e al rapporto tra l’IA e la scelta di un approccio piuttosto che un altro.

L’articolo si articola in due parti. Nella prima, di carattere prevalente, presenterò alcuni esempi di modalità di interazione dello studente con l’IA, in particolare con ChatGPT, la piattaforma su cui ho condotto la maggior parte dei miei esperimenti, con l’obiettivo di riflettere su come l’uso dell’IA possa essere messo in relazione con i diversi stili di apprendimento.

Nella seconda parte proporrò invece alcune brevi considerazioni su come l’IA possa rivelarsi utile nel lavoro quotidiano del docente: dalla preparazione delle lezioni alla creazione di schede, attività personalizzate, dispense e materiali inclusivi.

I paradigmi di apprendimento dell’IA

Va preliminarmente osservato come il modo stesso in cui l’Intelligenza Artificiale viene addestrata presupponga tre diversi paradigmi di apprendimento, riconducibili rispettivamente al comportamentismo, al costruttivismo e al cognitivismo.

I paradigmi dell’apprendimento automatico sono infatti sostanzialmente tre.

L’apprendimento per rinforzo

In questo caso, si sottopone all’Intelligenza Artificiale una serie di input chiedendole di riconoscerli e classificarli correttamente in base a schemi predefiniti. A seconda della risposta, l’IA riceve penalità o premi, ovvero responsi derivati da funzioni matematiche con valore positivo o negativo, che impara nel tempo ad associare a comportamenti corretti o scorretti. In tal modo la macchina comprende progressivamente quali risposte risultano statisticamente più “premianti”.

Si tratta, evidentemente, di un approccio basato su stimolo e rinforzo, tipico del modello skinneriano. Pur essendo un paradigma criticato in ambito didattico tradizionale, nel caso dell’IA esso si dimostra particolarmente efficace, poiché la macchina è in grado di memorizzare e gestire miliardi di stimoli e risposte, anche se privi di un apparente significato.

L’apprendimento non supervisionato

In questo secondo schema, all’Intelligenza Artificiale vengono forniti numerosi input, ad esempio molte immagini di animali, e le si chiede di classificarli raggruppandoli per caratteristiche comuni. In questo modo l’IA riconosce che, tra le tante immagini, i gatti si assomigliano tra loro e che alcune caratteristiche li distinguono dai cani, che formano un altro gruppo omogeneo. Allo stesso tempo, apprende che cani e gatti condividono elementi comuni che li rendono più simili tra loro rispetto, ad esempio, ai coccodrilli.

Con questo tipo di apprendimento, in cui il sistema individua autonomamente schemi e relazioni, ci troviamo di fronte a un approccio di tipo costruttivista, analogo a quello di uno studente che, ricevendo dati e stimoli, impara da solo a scoprire connessioni e a costruire i propri schemi mentali.

L’apprendimento supervisionato

Nel terzo caso, la macchina riceve esempi corretti cui fare riferimento: le si indica, per esempio, “questo è un cane, quest’altro è un gatto”, e sulla base di tali informazioni costruisce i propri parametri di riconoscimento. Anche qui è possibile rintracciare un chiaro riferimento a un paradigma pedagogico classico, quello cognitivista, paragonabile al lavoro di un insegnante che fornisce allo studente schemi interpretativi per comprendere la realtà.

Tutto ciò mette in evidenza un aspetto molto significativo: ci troviamo di fronte a una tecnologia progettata per funzionare in modo analogo al pensiero umano, naturalmente in maniera meccanica e priva di intenzionalità.

L’autodidatta del XXI secolo?

I tre paradigmi sopra richiamati si riscontrano anche negli atteggiamenti e nelle pratiche dei docenti. Tra questi, i più diffusi sono certamente quello cognitivista e quello costruttivista, spesso combinati in modo flessibile, a seconda delle preferenze personali dell’insegnante o del tempo disponibile per affrontare un determinato argomento.

A questo punto, la domanda sorge spontanea: se il meccanismo dell’apprendimento umano è simile a quello utilizzato per addestrare l’Intelligenza Artificiale, è possibile che uno studente possa, autonomamente e senza mediazione, interagire con l’IA e utilizzarla per studiare da solo? In altri termini, possiamo immaginare una sorta di versione 2.0 del tradizionale concetto di autodidatta, aggiornata ai tempi dell’Intelligenza Artificiale?

Personalmente, non lo credo. Come vedremo, l’IA può certamente rivelarsi uno strumento estremamente utile per sostenere e potenziare un percorso didattico; tuttavia, se tale percorso non è adeguatamente progettato e mediato da un docente, capace di adattarlo alla specifica classe in cui opera e, aggiungerei, alle individualità presenti, il rischio è quello di scivolare verso una forma di “neocomportamentismo digitale”. In altre parole, finiremmo per “resuscitare” Skinner, vanificando decenni di evoluzione della ricerca pedagogica.

L’IA, infatti, non è in grado di riconoscere autonomamente la situazione in cui si trova ad operare: deve essere interrogata in modo opportuno. E non si tratta solo di prompt engineering, ma della capacità di porre domande con finalità didattiche differenti, come illustrerò negli esempi che seguono.

Uno studente lasciato solo ad interagire con l’IA potrebbe sviluppare modalità di uso scorrette: ad esempio, potrebbe limitarsi a chiedere alla macchina le risposte “giuste” alle domande che si aspetta dal docente, cadendo così in uno schema nozionistico e poco efficace per lo sviluppo di autentiche competenze.

Il docente come mediatore culturale fra l’IA e lo studente

L’affermazione, apparentemente ovvia, secondo cui il docente deve insegnare allo studente come usare correttamente l’Intelligenza Artificiale, sottintende in realtà un compito assai complesso: insegnare a uno studente, spesso senza che ne abbia piena consapevolezza, a utilizzare un approccio conoscitivo piuttosto che un altro.

Diventa quindi fondamentale educare lo studente a porre domande in modo corretto.

Facciamo un esempio, immaginando di essere uno studente che sta studiando la Prima guerra mondiale. Se chiediamo all’IA quali ne siano state le cause scatenanti, otteniamo una risposta diretta, chiara e formalmente corretta, come si può constatare nel seguente scambio realmente ottenuto con ChatGPT:

Domanda: Dimmi quali sono state le cause che hanno portato alla Prima guerra mondiale.

ChatGPT ha risposto: Le cause della Prima guerra mondiale (1914–1918) sono molteplici e intrecciate: si possono distinguere cause a lungo termine (strutturali) e cause immediate (scatenanti).

Ecco una sintesi chiara e completa:

Cause a lungo termine

  1. Nazionalismo
    • Ogni nazione europea era animata da un forte orgoglio nazionale e dal desiderio di affermare la propria superiorità.
    • Nei Balcani, il nazionalismo serbo mirava a unire tutti gli slavi del sud in un unico Stato (“Grande Serbia”), minacciando l’Impero austro-ungarico, multietnico e fragile.
    • In Francia si desiderava la rivincita contro la Germania per la perdita dell’Alsazia e Lorena (guerra franco-prussiana del 1870–71).
  2. Imperialismo
    • Le grandi potenze europee (soprattutto Gran Bretagna, Francia e Germania) erano in competizione per il controllo delle colonie in Africa e in Asia.
    • La rivalità economica e coloniale aumentò le tensioni, in particolare tra Gran Bretagna e Germania.
  3. Militarismo
    • Le potenze europee adottarono una politica di riarmo massiccio, convinte che la forza militare fosse la chiave della sicurezza nazionale.
    • Gli eserciti e le flotte crebbero enormemente, alimentando una corsa agli armamenti e un clima di paura reciproca.
  4. Sistema delle alleanze
    • L’Europa si divise in due grandi blocchi militari: …

Una risposta di questo tipo porta lo studente a limitarsi a memorizzare informazioni corrette, soprattutto se poi saranno oggetto di valutazione positiva da parte del docente, senza tuttavia aver davvero compreso le dinamiche della Prima guerra mondiale.

Il risultato è un sapere puramente nozionistico: molti dei termini utilizzati, come “nazionalismo” o “imperialismo”, potrebbero non avere per lui alcun significato concreto, e difficilmente lo studente sarà portato a cercarne il senso.

Questo atteggiamento, peraltro, non è nuovo: è tipico della scuola nozionistica, dove allo studente viene chiesto solo di ripetere la lezione del docente, magari rispondendo a domande a scelta multipla o riproducendo fedelmente frasi tratte dal libro di testo. Tuttavia, un uso improprio dell’IA rischierebbe di amplificare questa tendenza, con effetti ancora più negativi.

Infatti, se il tradizionale sforzo di imparare a memoria una risposta comportava almeno la necessità di selezionarla da un libro o dagli appunti, favorendo un minimo di elaborazione personale, avere a disposizione risposte già pronte e ben scritte elimina qualsiasi sforzo cognitivo, tanto più se tali testi vengono poi utilizzati per una presentazione o una relazione da consegnare come compito domestico.

Proviamo ora a cambiare approccio, ponendo all’IA due domande in successione.

Prima domanda: Quali sono, in generale, le cause
che portano a una guerra?

ChatGPT ha risposto: Domanda molto interessante – e importante. In generale, le cause che portano a una guerra possono essere di vario tipo: politiche, economiche, sociali, ideologiche o psicologiche. Ecco una panoramica:

  1. Cause politiche – conflitti di potere o di territorio tra Stati, volontà di espansione, squilibri di forza, regimi dittatoriali che usano la guerra per rafforzarsi.
  2. Cause economiche – competizione per risorse naturali o mercati, crisi economiche interne, rivalità industriali…
  3. (eccetera).

Seconda domanda: Da questo punto di vista, quali tensioni
esistevano all’inizio del XX secolo fra gli Stati europei?

ChatGPT ha risposto: Ottima domanda – e molto pertinente per capire perché l’Europa fosse una “polveriera” all’inizio del XX secolo, pronta a esplodere con la Prima guerra mondiale.

Segue poi una descrizione articolata delle tensioni tra Germania, Gran Bretagna e Francia, con riferimenti ai contrasti coloniali, economici e militari.

Analizzando questa interazione, ci accorgiamo che si è passati a un approccio cognitivista.

Il docente conosce già le cause e gli schemi storici che conducono alle guerre e guida lo studente a ricostruirli attraverso una sequenza di domande, favorendo la costruzione di connessioni logiche e la comprensione dei nessi causali.

In questo modo, lo studente interiorizza lo schema e sviluppa una conoscenza più profonda e strutturata.

Tale modo di interrogare l’IA, tuttavia, non può nascere spontaneamente in uno studente che non padroneggia la disciplina né dispone degli schemi interpretativi necessari.

Se sta studiando la Prima guerra mondiale, difficilmente penserà di chiedere prima “come scoppiano le guerre” e poi “quali tensioni esistevano fra gli Stati europei all’inizio del Novecento”.

È dunque evidente che spetta al docente suggerire e modellare le domande, affinché si attivino nei discenti i giusti meccanismi cognitivi.

Un terzo modo di interrogare ChatGPT potrebbe consistere nel guidare lo studente a cercare autonomamente le cause delle guerre, ad esempio analizzando alcuni conflitti scelti dal docente come “dati sperimentali”.

In tal caso, l’IA fornirà per ciascuna guerra un elenco di cause; sarà poi compito dello studente analizzare le risposte, individuare somiglianze e differenze e ricavare uno schema interpretativo delle cause più profonde e ricorrenti dei conflitti.

Ci troviamo, in questo caso, di fronte a un approccio costruttivista.

Da questo semplice esempio emerge una considerazione fondamentale: l’IA fornisce risposte ben organizzate e linguisticamente curate, ma l’obiettivo del docente non è insegnare a ottenere risposte, bensì a sviluppare un metodo di ragionamento – sulla storia, sulle cause, sugli scenari e sulle connessioni tra i fenomeni.

In questo senso, proprio perché il docente conosce la disciplina e conosce i propri studenti, egli si pone come un vero mediatore culturale tra l’intelligenza artificiale e lo studente.

L’impatto sulla valutazione

Vorrei sottolineare che permane, e a mio avviso utilmente, un residuo di comportamentismo nell’agire del docente.

Il meccanismo di stimolo-risposta è infatti ancora presente quando si tratta di indirizzare lo studente verso un metodo di studio corretto: nel momento in cui lo studente si rende conto, a proprie spese, che imparare a memoria risposte preconfezionate o realizzare presentazioni esteticamente gradevoli ma generate dall’IA non gli consente di ottenere valutazioni sufficienti, finirà per comprendere che il docente “chiede altro”.

Proprio per questo motivo è fondamentale il modo in cui si utilizza ChatGPT. In tal senso, il ruolo del docente diventa cruciale: è giusto che lo studente, in laboratorio, faccia uso di questi strumenti, ma occorre poi costruire momenti di verifica e valutazione che privilegino il percorso compiuto per giungere alle risposte, più che le risposte in sé.

Questo comporta inevitabilmente un maggior ricorso a forme di accertamento meno strutturate, alla capacità di osservare e valutare il lavoro di gruppo mentre si svolge, non solo al termine. Tutto ciò implica la necessità di ripensare il nostro modo di intendere la valutazione[2].

D’altra parte, questo problema esisteva anche prima dell’avvento dell’IA: sappiamo bene che la valutazione è da tempo uno dei nodi più complessi della scuola italiana.

L’IA nella vita professionale del docente

L’Intelligenza Artificiale deve essere considerata come una nuova tecnologia che entra nella scuola. Come ogni tecnologia, offre al tempo stesso opportunità e rischi, e molto dipende dalla capacità del docente di mantenere il controllo sul proprio agire didattico.

Occorre tuttavia ricordare che, quanto più potente e complesso è lo strumento, tanto maggiore è il rischio che un suo uso banale o improprio, da parte del docente o degli studenti, conduca a risultati negativi.

Come ha giustamente osservato Fabiano, è quindi essenziale che il corpo docente accolga questa nuova tecnologia con padronanza e consapevolezza.

A questo proposito, è utile richiamare alla memoria l’esperienza della didattica a distanza durante i due anni di pandemia da COVID-19. Molti insegnanti con un’impostazione tradizionale, per i quali il principale criterio di valutazione era la conoscenza dei contenuti proposti, vissero quel periodo con grande difficoltà, proprio a causa dell’impossibilità di esercitare i consueti strumenti di controllo sulle interrogazioni e sulle verifiche.

Fece scalpore, in tal senso, il caso di una studentessa costretta a rispondere all’interrogazione con gli occhi bendati, per evitare che potesse leggere dallo schermo.

Ecco, non commettiamo con l’IA lo stesso errore: utilizziamo questa tecnologia per migliorare la nostra pratica didattica, arricchendo e personalizzando i materiali di supporto agli studenti, invece di ostacolarla o diffidarne. Proviamo a scoprirne e a valorizzarne le potenzialità.

Delegare tutto alla tecnologia

Un possibile e grave errore nel quale potremmo cadere è quello di “comportarci come i nostri studenti quando copiano”, cioè delegando all’IA ciò che dovrebbe restare prerogativa del docente.

Per chiarire, ricordo i miei primi scrutini, ormai più di trent’anni fa: allora era rarissimo che un insegnante si mettesse a calcolare medie matematiche con due decimali.

Tra i suoi compiti principali, il docente ha quello di valutare, e questo significa riflettere su ciascuno studente.

Gli scrutini potevano durare anche due ore per classe: si discuteva sui voti, sul percorso di apprendimento, sui progressi compiuti. Spesso il voto finale veniva deciso collegialmente, in base al confronto tra docenti.

Tutto ciò accadeva nell’epoca del registro cartaceo. Poi sono arrivati i registri elettronici, che, con estrema facilità, forniscono medie aritmetiche calcolate automaticamente che il docente assume come “La Valutazione”.

Ecco: questo è un esempio emblematico di una potenzialità tecnologica che potrebbe essere usata bene, ma che spesso viene usata male.

Oggi assisto a scrutini che durano venti minuti: il docente legge la media calcolata dal software e la assume come riferimento vincolante, saltando quasi del tutto la riflessione sul percorso formativo dello studente.

Uno strumento nato per semplificare il lavoro ha finito per condizionarlo, arrivando perfino a determinarne l’esito finale.

È un caso limite, ma purtroppo drammaticamente reale. Facciamo in modo che non accada lo stesso con l’intelligenza artificiale.

Una maggior personalizzazione del percorso

Credo che siamo tutti d’accordo sul fatto che non si possa prescindere da buoni materiali di studio.

Per questo motivo, molti di noi integrano i libri di testo con materiali reperiti in rete o, talvolta, autoprodotti.

Personalmente, insegnando Informatica e non essendo pienamente soddisfatto dei libri di testo pubblicati negli ultimi anni, ho fatto sempre più spesso ricorso a raccolte organizzate di materiali e a dispense realizzate da me, che perfeziono di anno in anno.

Trattandosi di materiali disponibili in formato digitale, l’intelligenza artificiale può rappresentare un valido alleato per il docente.

Naturalmente, non si tratta di farsi scrivere le dispense dall’IA, ma di sfruttarla per operazioni complementari altrettanto utili e significative.

Uno dei problemi che si presentano sempre più frequentemente nelle nostre classi è la difficoltà linguistica degli studenti stranieri.

È fondamentale, certo, che essi frequentino corsi di lingua italiana per alloglotti, che nel medio periodo consentono loro di partecipare attivamente alle lezioni. Tuttavia, durante il primo anno di permanenza in Italia è spesso necessario intervenire in altro modo.

A questo proposito, trovo estremamente utile chiedere a ChatGPT la traduzione delle mie dispense in varie lingue, così da fornire agli studenti materiali che permettano loro di seguire le lezioni e studiarne i contenuti.

Per le lingue francese e inglese ho potuto verificare personalmente l’ottimo livello delle traduzioni; per altre lingue mi affido ai riscontri indiretti, valutando i progressi e il livello di preparazione raggiunto dagli studenti interessati.

La rapidità con cui queste operazioni possono essere svolte è davvero sorprendente.

E i benefici non si limitano a favorire la comprensione delle lezioni: tradurre e adattare i materiali significa anche promuovere l’inclusione, facendo sentire lo studente accolto e valorizzato. Come ben sappiamo, sentirsi accettato dalla scuola è il primo passo per accettare la scuola stessa, e per diventare uno studente motivato e preparato.

Queste operazioni possono essere svolte a più livelli. Partendo sempre da materiali in formato digitale, è possibile, in tempi molto brevi:

  • realizzare presentazioni a supporto delle lezioni;
  • produrre versioni in italiano semplificato, pensate per studenti stranieri o con una conoscenza limitata della lingua;
  • creare schede di comprensione del testo ed esercizi di autovalutazione, utili sia in preparazione delle verifiche, sia per stimolare negli studenti la capacità di porsi le domande giuste.

In estrema sintesi, l’uso consapevole dell’IA consente di adattare gli strumenti didattici alle esigenze dei singoli studenti, orientando così la didattica verso una forma di insegnamento sempre più personalizzata e inclusiva.

Un tutor per ciascuno studente

Un’applicazione che ho trovato particolarmente utile consiste nel sottoporre le mie dispense a revisione da parte di ChatGPT, chiedendogli di verificarne la correttezza stilistica e la struttura complessiva.

Si tratta, però, di un ambito delicato. Se si chiede all’IA di valutare anche la correttezza dei contenuti, può capitare che essa contesti alcune affermazioni. Eppure, come ho potuto constatare personalmente, spesso è l’IA a sbagliarsi: fornendole le fonti corrette e argomentando le proprie ragioni, l’IA è in grado di riconoscere l’errore e correggere la propria valutazione.

Diverso è il discorso per quanto riguarda la forma del testo. In questo caso, l’aiuto di ChatGPT è davvero prezioso: chiedergli di effettuare una revisione leggera, mantenendo invariati contenuti e tono, si rivela estremamente utile. Le osservazioni che ne ho ricavato mi hanno spesso permesso di rendere i testi più chiari, fluidi e ben scritti.

Da questa esperienza è nata un’idea interessante anche per la didattica.

Assegno agli studenti lavori pratici – ad esempio la scrittura di programmi in C++ – e, una volta completati, suggerisco loro di chiedere all’IA di esaminarli, proporre eventuali modifiche e spiegarne le motivazioni.

In questo modo, lo studente dispone di un tutor personalizzato, capace di offrirgli un riscontro immediato e suggerimenti concreti per migliorare, partendo dai propri errori.

Una segretaria tuttofare

Un’altra applicazione particolarmente interessante, che ho utilizzato anche per questo articolo e che impiego regolarmente, è l’uso dell’IA come segretaria alla dettatura.

Quando devo scrivere testi piuttosto lunghi, preparo una scaletta con gli argomenti principali e poi registro la mia voce mentre espongo i contenuti.

In questo modo posso concentrarmi sulle idee e sui concetti, lasciando che sia l’IA a trascrivere fedelmente ciò che ho detto.

Il risparmio di tempo è notevole, e l’attenzione resta focalizzata sui contenuti.

Naturalmente, è sempre necessario revisionare con cura il testo trascritto, poiché il linguaggio parlato non corrisponde del tutto a quello scritto; tuttavia, una buona parte del lavoro risulta già svolta.

In conclusione

In questo articolo ho voluto mostrare alcune delle potenzialità dell’Intelligenza Artificiale, che a mio avviso sono molte e, nel complesso, superano i rischi.

Ciò non significa, però, che possiamo abbassare la guardia di fronte agli effetti sociali derivanti dall’introduzione massiccia dell’IA nei luoghi di lavoro e nella società in generale.

Fenomeni come la disoccupazione tecnologica sono reali e potenzialmente forieri di gravi squilibri sociali. È necessario tenerne conto, e l’unico modo per farlo è restare sempre un passo avanti all’IA, imparando a controllarne e governarne l’uso.

L’obiettivo deve essere quello di fare in modo che l’IA rimanga al servizio dell’uomo, aiutandoci a lavorare meno senza ridurre il livello di reddito, grazie all’aumento di produttività che essa consente.

Non è un traguardo semplice: la società attuale non prevede che i benefici dell’aumento di produttività si traducano automaticamente in un vantaggio collettivo. Perché ciò accada, sono necessarie rivendicazioni sociali e politiche chiare, determinate e consapevoli.

Ecco, dunque, un’ulteriore ragione per conoscere e dominare questa tecnologia, tanto affascinante quanto inquietante: usarla senza lasciarci usare.