Per comprendere l’impatto dell’Intelligenza Artificiale sul mondo dell’istruzione, dalla scuola all’università, dobbiamo adottare una prospettiva di studio molto ampia nel tempo, nello spazio, nei contenuti e nelle metodologie, di tipo marcatamente inter-transdisciplinare e critico-riflessiva, sperimentando quella particolare forma di fare ricerca magistralmente descritta da Edgard Morin: «Conoscere è, in un anello ininterrotto, separare per analizzare e collegare per sintetizzare o complessificare. La prevalente attitudine disciplinare, separatrice, ci fa perdere l’attitudine a collegare, l’attitudine a contestualizzare, cioè a situare un'informazione o un sapere nel suo contesto naturale» (Morin, 2015 p.72).
Nel nostro caso si tratta di contestualizzare il dibattito sul rapporto tra Intelligenza Artificiale e istruzione all’interno delle relazioni tra sviluppo tecnologico, sistema economico-produttivo (la struttura) e sistema socio-politico-culturale (la sovrastruttura). Questo rapporto verrà esaminato utilizzando il costrutto di intelligenza didattica e osservando la sua recente mutazione in intelligenza didattica artificiale all’interno della rivoluzione digitale intesa come rivoluzione tecnologica in grado di modificare contemporaneamente sia la struttura che la sovrastruttura della nostra società.
Cenni sul rapporto tra rivoluzioni tecnologiche, sistema produttivo, società e cultura
Le innovazioni tecnologiche hanno da sempre giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo della specie umana, dalle prime tecnologie usate per la caccia e la macellazione delle prede all’uso del linguaggio verbale, dalle tecniche di allevamento degli animali domestici e di coltivazione delle prime specie vegetali edibili all’invenzione della scrittura e così via fino alle Rivoluzioni industriali e tecnologiche moderne e contemporanee, vapore, chimica, elettricità e così via fino ad arrivare a quella attuale, elettronica e digitale, che si snoda in tre fasi: l’invenzione del computer, nelle sue componenti hardware e software, la creazione della rete, internet, che mette in comunicazione potenzialmente tutti i computer e i dispositivi di comunicazione computerizzati come il telefono cellulare, l’invenzione dell’Intelligenza artificiale, in grado di sostituire l’uomo non solo nella relazione con altre macchine ma anche e soprattutto nella creazione di prodotti e contenuti culturali.
Tutte queste rivoluzioni tecnologiche investono prioritariamente la struttura produttiva, cioè il modo di generare beni, prodotti e ricchezza ma facendo ciò impattano anche sulla struttura sociale ovvero sulle relazioni tra le classi sociali che esse stesse generano, sui loro rapporti di forza e conflitti e, infine, sulla loro cultura, il modo in cui ogni individuo considera la realtà che lo circonda in base agli strumenti culturali che il gruppo cui appartiene gli fornisce. In questa prospettiva dialettica, circolare, ricorsiva del rapporto tra tecnologie, sistema produttivo, società e cultura, le tecnologie non possono essere considerate elementi neutrali, fungibili per raggiungere qualsiasi tipo di obiettivo, esse esprimono sempre il pensiero, le intenzioni, gli interessi di chi le possiede e controlla.
Tutto questo in estrema sintesi, tralasciando intenzionalmente, per ovvi motivi di spazio, l’analisi dettagliata di relazioni in realtà molto più complesse di quanto appena scritto. Limitiamoci a osservare che, ad esempio, il tempo in cui gli effetti di una determinata tecnologia si riversano prima sulla struttura produttiva poi su quella socio-culturale differiscono notevolmente nel tempo e nello spazio in base alle caratteristiche delle singole innovazioni tecnologiche e ai tempi della loro diffusione presso tutti gli strati sociali. Paradigmatico l’esempio della scrittura, in particolare quella alfabetica, forse la più potente tecnologia mai inventata da Sapiens, in grado di trasformare il tempo, lo spazio, gli oggetti e i soggetti della comunicazione in informazione potenzialmente eterna, in base alle qualità del supporto utilizzato.
La portata rivoluzionaria di questa potente tecnologia ha impiegato millenni per esprimere tutte le sue potenzialità in relazione ai supporti e alle altre tecnologie con le quali è stata accoppiata. Il grande balzo lo ha compiuto solo recentemente quando, utilizzando come supporto la carta e tramite l’uso di un’altra tecnologia, la stampa meccanica, si è diffusa rapidamente in tutto il globo modificando profondamente sia la struttura produttiva che la cultura moderne e contemporanee. Quando poi la scrittura ha perso quasi ogni tipo di rapporto e di dipendenza con dei supporti materiali, grazie alla rivoluzione elettronica, la sua potenza è diventata ancora più evidente.
L’esempio della scrittura consente di apprezzare le qualità innovative della rivoluzione elettronica; essa è alla base del capitalismo cognitivo e finanziario attuale, perché consente di estrarre ricchezza dall’informazione e non più, o meglio non solo, dalla produzione in serie di beni come faceva il capitalismo industriale; essa inoltre si riversa immediatamente nella cultura e nella società, attraverso un uso precoce, fin dalla primissima infanzia, intenso, cioè con prodotti e contenuti molto coinvolgenti, prolungato ovvero per quasi tutto il periodo di veglia, delle nuove tecnologie superando così le ormai inadeguate suddivisioni tra tempi di lavoro, di pausa, di ricreazione, di riflessione, di apprendimento, ecc.
Grazie a questa breve, e dunque generica, sintesi, abbiamo guadagnato la possibilità di osservare uno degli aspetti più importanti dell’intelligenza artificiale, intesa come più recente espressione della rivoluzione digitale iniziata negli anni ’80 del Novecento: la sua capacità di riversarsi immediatamente, senza scarti temporali, sia sul sistema produttivo, distruggendo e creando forza lavoro, modificando i rapporti di forza tra le classi sociali, sia sulla sovrastruttura culturale, impregnando ogni aspetto della vita contemporanea, trasformando i dispositivi di comunicazione di massa a uso individuale, quali il telefono cellulare e i personal computer, in dispositivi universali in grado di assumere i connotati di un’alterità con la quale interagire anche per creare prodotti culturali. La sincronicità tra effetti strutturali e sovrastrutturali delle nuove tecnologie e l’universalità della loro diffusione, sembrano rendere superflui i costrutti di struttura e sovrastruttura.
L’intelligenza didattica
Da quanto scritto in precedenza dovrebbe essere emerso un altro dato determinate per il nostro discorso: Sapiens non può esistere senza Docens. Una specie che si fregia del titolo di Sapiens non può esimersi dal riconoscimento della necessità di saper trasmettere ciò che conosce, altrimenti le conoscenze e la cultura si estinguerebbero con la scomparsa di chi le possiede: Sapiens e Docens sono inseparabili, sono le due facce di una stessa specie. È a questo punto che possiamo utilizzare il costrutto di intelligenza didattica intesa come una particolare abilità che Sapiens ha sviluppato per risolvere il problema della trasmissione della cultura da un individuo all’altro e da una generazione all’altra. L’intelligenza didattica si presenta attraverso una serie di comportamenti che connotano i due interlocutori della relazione didattica: colui che insegna e colui che apprende. Colui che insegna dà informazioni, mostra, indica, traduce in sequenze di comportamenti ciò che vuole insegnare, colui che apprende osserva, imita, riproduce, domanda informazioni. In questa diade didattica l’elemento fondamentale risiede nella capacità di ogni interlocutore di costruirsi delle teorie della mente sufficientemente affidabili dell’individuo a cui si rivolge. Colui che insegna deve ipotizzare il funzionamento della mente di chi apprende e regolare i propri comportamenti in base ai feedback che riceve, colui che apprende si sforza di comprendere dove chi insegna vuole arrivare per adeguarsi alle sue richieste.
Pare che Sapiens abbia sviluppato una particolare abilità in questa costruzione reciproca di teorie della mente, al punto di riuscire a insegnare potenzialmente tutto a tutti o comunque a molti, in modo tale da rendere possibili società sempre più complesse come quelle contemporanee, che dipendono completamente dai processi di insegnamento/apprendimento intergenerazionali.
Con passare del tempo, delle generazioni e con il progressivo complessificarsi delle conoscenze da trasmettere, l’intelligenza didattica si è evoluta, sperimentando l’utilizzo di sempre nuovi supporti per veicolare le conoscenze da trasmettere. Le cosiddette pitture rupestri di età preistorica presenti in diversi siti in varie parti del Pianeta rappresentano probabilmente le prime illustrazioni a scopo didattico sperimentate dalla specie: cosa cacciare, come cacciare, quali strumenti utilizzare. Il linguaggio verbale ha consentito un balzo incredibile all’intelligenza didattica: poter nominare gli oggetti, poter letteralmente spiegare le situazioni, poter conservare le informazioni imparandole a memoria ecc., sono tutti comportamenti che imprimono alla dialettica didattica velocità, precisione, capienza, persistenza nel tempo e nello spazio.
Poi arriva la scrittura e si apre una nuova era dell’intelligenza didattica, si crea uno spazio autonomo e specifico, interamente dedicato alla trasmissione di conoscenze: la scuola. Anche i supporti al servizio dell’intelligenza didattica si moltiplicano e diventano sempre più efficaci: tavolette con sabbia o cera, tavolette di argilla, papiri, pelli di animali e infine la carta e l’inchiostro poi i caratteri della stampa mobile e così via. Le scuole, poche ed esclusive per tutta l’Antichità e il Medioevo diventano progressivamente più inclusive, aperte a tutte e a tutti realizzando in poco meno di due secoli ciò che non era mai riuscito in precedenza, l’alfabetizzazione di massa. Possiamo affermare con una certa sicurezza che nella seconda metà del Novecento in buona parte dell’Occidente si realizza la migrazione dei processi formativi dall’ambito parentale a quello scolastico. La scuola e l’università diventano il luogo quasi esclusivo in cui si pratica l’intelligenza didattica ovvero in cui si media il rapporto tra individuo e cultura. Poi arriva la rivoluzione elettronica e niente sarà come prima.
Rivoluzione elettronica e intelligenza didattica artificiale
Per comprendere le complesse relazioni esistenti tra rivoluzione elettronica e intelligenza didattica dobbiamo preliminarmente ricordarne alcune caratteristiche. In primo luogo la sua evoluzione, già segnalata in precedenza: l’invenzione di macchine totalmente nuove, come i computer, i personal computer, i telefoni cellulari, ecc., poi internet e infine, per ora, l’Intelligenza Artificiale.
Queste tecnologie elettroniche riescono a dematerializzare il tempo, lo spazio, le relazioni, i supporti; ad esempio il personal computer (come il telefono cellulare) dematerializza e integra la penna, l’inchiostro, la calcolatrice, la macchina fotografica, ecc. Contemporaneamente la capacità di connessione tra loro di tutte queste macchine, e dei contenuti che veicolano, consente al singolo utente di accedere all’universo della conoscenza e dei conoscenti senza bisogno di spostarsi nello spazio fisico e senza la necessità della mediazione di altri esseri umani; una condizione che mai nessuna tecnologia era riuscita a consentire a Sapiens. Infine non dimentichiamo che parliamo di macchine non particolarmente difficili da utilizzare e, anzi, attraenti e amichevoli tanto da diventare in poco tempo appendici permanenti del corpo umano.
Come era successo per le altre rivoluzioni tecnologiche anche quella elettronica modifica profondamente e radicalmente la struttura e la sovrastruttura della società, il processo che attiva è in grado di sgretolare sempre più rapidamente buona parte dell’impianto produttivo e sociale costruito successivamente alla prima Rivoluzione industriale, si tratta del processo di disintermediazione che inevitabilmente viene innescato da una tecnologia che, come abbiamo visto, rende immateriali buona parte dei supporti tradizionalmente utilizzati per produrre beni, ricchezza e per trasmettere informazioni e cultura.
Il rapporto tra il singolo individuo, la cultura e la politica, ad esempio, non necessita più dell’intermediazione degli intellettuali che, sorti durante il periodo illuminista, avevano avuto proprio il compito di mediare il rapporto tra le masse e le nuove istanze culturali e politiche della tarda modernità. Lo stesso dicasi per il rapporto con l’informazione – di cronaca, di politica, di economia – tradizionalmente mediato dai giornali, dalla radio e dalla televisione, e oggi potenzialmente raggiungibile individualmente in tempo reale. Disintermediato anche il rapporto con la trasmissione di informazioni scritte interindividuali, i servizi postali di corrispondenza cartacea si stanno infatti velocemente estinguendo, così come quello del rapporto con il denaro e con la burocrazia, ormai buona parte delle operazioni bancarie e degli adempimenti burocratici può essere effettuato online, per non parlare della gestione degli spostamenti in treno o in aereo. Continuiamo ad andare dal medico o dall’avvocato o dallo psicologo ma prima ci informiamo in rete su costi, argomenti, recensioni, ecc., disintermediando di fatto il rapporto con i rispettivi campi del sapere che tali professionisti amministravano in modo esclusivo da sempre.
Questo processo di disintermediazione ha ovviamente investito anche il mondo scolastico, tradizionalmente deputato a mediare il rapporto tra individuo e cultura. La scuola e l’università non sono più i luoghi esclusivi di trasmissione, conservazione, produzione della conoscenza e l’insegnante non è più il mediatore tra il singolo individuo e la sua formazione culturale. La conoscenza è accessibile sempre e ovunque, tutto è già stato insegnato basta saperlo cercare.
L’ingresso delle tecnologie elettroniche a scuola ma soprattutto la loro diffusione nella vita quotidiana ha comportato un progressivo demansionamento della funzione docente (processo questo che ha investito moltissime altre professioni): nessun docente può competere con velocità, precisione e capienza di un computer, né può garantire l’accesso a un sistema di connessioni culturali, tra argomenti e tra autori, che solo internet può consentire, e oggi, infine, con l’Intelligenza Artificiale anche le mansioni di progettazione didattica possono essere demandate alle tecnologie.
In questa prospettiva i processi formativi che dalla natura prima e dal sistema parentale poi erano migrati all’interno della scuola e delle università si spostano repentinamente verso nuovi ambienti, quelli resi possibili dalle nuove tecnologie, ambienti virtuali, contemporaneamente sociali o meglio social e allo stesso tempo individuali, o meglio personal. Scuole e università, alcune di queste ultime più marcatamente e intenzionalmente di altre, diventano mere appendici di tali ambienti virtuali attraverso un uso massiccio di quelle che vengono presto definite tecnologie dell’informazione, poi dell’istruzione e infine dell’educazione.
L’Intelligenza Artificiale, e arriviamo così al cuore del nostro discorso, si inserisce in questo processo di disintermediazione ma opera un salto di qualità; non si limita a disintermediare il rapporto tra l’individuo e l’informazione, di qualunque tipo essa sia, ma crea essa stessa l’informazione con la quale ci mette in contatto diretto. A rigor di logica dovremo parlare di disintermediazione di secondo livello. Inoltre, e questo è l’aspetto più recente e interessante, l’Intelligenza Artificiale sembra essere in grado di elaborare teorie della mente dell’interlocutore con cui interagisce, per questo può essere utilizzata per progettare la didattica, per risolvere problemi didattici, diventando così essa stessa intelligenza didattica.
Questo processo di ulteriore disintermediazione libera enormi quantità di spazio e di tempo nei processi di insegnamento e apprendimento, tutti i saperi e tutti i supporti per maneggiarli e conservarli sono racchiusi in un’unica macchina, leggera e portatile. Penne, libri, zaini, quaderni, persino anche l’aula e l’edificio scolastico stesso, come nel caso degli Atenei online, non sono più necessari nella loro versione materiale, sono virtualmente presenti nel pc e/o nel telefono cellulare. La mente dell’insegnante e quella di chi apprende cessano di essere un deposito di informazioni, per altro molto limitato e spesso imperfetto, perché tutte le conoscenze sono presenti nei dispositivi elettronici, basta saperle cercare e utilizzare. Inoltre come abbiamo visto, l’Intelligenza didattica artificiale può sostituire l’insegnante nelle attività di progettazione didattica, di scelta delle metodologie didattiche, di preparazione dei contenuti da apprendere e delle esercitazioni didattiche da proporre agli studenti e può sostituire chi apprende nei processi di ricerca, costruzione e conservazione delle informazioni da apprendere, in altre parole disintermedia il rapporto tra chi insegna, chi apprende e la didattica, disattivando quel processo di costruzione reciproco di teorie della mente che abbiamo visto essere stato alla base della nascita dell’intelligenza didattica convenzionale. È l’intelligenza didattica artificiale in grado di produrre e controllare l’intero processo di istruzione liberando tempo e spazio per l’azione dell’insegnante purché questi ne sia consapevole e sappia come muoversi all’interno di questo nuovo ambiente di apprendimento che manda definitivamente in soffitta l’impianto della scuola tradizionale.
Tecnologie e ideologia
Nei paragrafi precedenti abbiamo tentato di descrivere, in modo estremamente sintetico e generale, un fenomeno molto complesso, l’impatto della Rivoluzione digitale nell’ambito della formazione scolastica, attraverso il costrutto di intelligenza didattica artificiale. Si è scelto volutamente di evitare l’assunzione di posizioni apocalittiche, privilegiando un registro il più possibile, sebbene non esclusivamente, descrittivo. Lo scopo è quello di evitare di cadere nella trappola del dibattito tra apocalittici e integrati, ovvero tra chi vede solo gli aspetti negativi o quelli positivi dell’intelligenza artificiale in ambito didattico. I primi negano l’evidenza, la realtà storica nella quale viviamo, i secondi rifiutano qualsiasi riflessione che non sia mera riproduzione dell’esistente. In questo modo i problemi di fondo, quelli veramente interessanti e inaggirabili per condurre un discorso serio, restano ben nascosti, latenti.
Alle lettrici e ai lettori non sarà sfuggito il passo in cui si scrive che le tecnologie non sono dispositivi neutrali ma riflettono sempre le intenzioni di chi le possiede e di chi le controlla. Oggi ognuno di noi è nelle condizioni di sapere chi possiede e controlla le tecnologie che consentono l’uso dell’intelligenza artificiale in buona parte del mondo. Si tratta di poche persone ed erano tutte presenti e visibili alla cerimonia di investitura dell’attuale Presidente degli Stati Uniti di America: bianchi, maschi, ricchissimi, imprenditori che non esitavano a dimostrare la loro ammirazione per il nuovo Presidente. Quelle immagini che possiamo rivedere all’infinito grazie alle stesse piattaforme che loro governano ci consentono di fare delle ipotesi circa l’ideologia che tali strumenti, attualmente, veicolano. Il fatto di poter formulare queste ipotesi significa che non sono strumenti soltanto omologanti e totalizzanti, che qualcosa di umano o meglio umanistico è rimasto anche al loro interno, un’eco delle utopie cinquecentesche e seicentesche: far conoscere tutto a tutti sempre.
E infatti quegli stessi dispositivi tecnologici ci consentono di vedere, rivedere, condividere e commentare insieme ad altri, Pier Paolo Pasolini che sostiene di fronte a un attonito Enzo Biagi che la televisione è un mezzo di comunicazione autoritario perché riduce il ricevente a mero spettatore e consumatore; Paolo Poli che conversa con un giovane Umberto Eco di conformismo culturale; Umberto Eco che intervista Theodor Adorno sul concetto di industria culturale; Primo Levi che racconta la sua esperienza nel campo di concentramento e nel contempo spiega il suo dissenso con le politiche israeliane degli anni Sessanta e così via. E tutto questo è possibile farlo a basso costo e senza uscire da casa.
In altre parole possiamo toccare con mano l’enorme potenziale formativo di queste tecnologie e comprendere che la loro attuale funzione omologante e talvolta antiumana è un puro accidente storico, legata cioè a una serie di contingenze storiche che in quanto tali sono transitorie.
Docente di Didattica e pedagogia speciale all'Università degli Studi di Firenze