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Voci dalla scuola

ESAMI DI STATO 2025: IL BICCHIERE MEZZO VUOTO

Che l'anno scolastico scorso si chiudesse così non l'avrebbe previsto nessuno. Un gruppo di ragazzi maturandi – invero non molti – si rifiuta di sostenere l'orale, fa scena muta, capitalizzando il risultato degli scritti. Le ragioni sono note: l'esame non tiene conto del percorso dei cinque anni, la valutazione scolastica è estremamente competitiva, crea stati d'ansia, non riconosce le peculiarità dell'individuo, gli studenti non possono essere rappresentati da un freddo dato numerico, questo denunciano. Hanno fatto bene questi ragazzi a scegliere questa forma di rimostranza? Credo che su questo ci si sia concentrarti molto, se ne sia parlato abbastanza. Da parti opposte della barricata ne abbiamo sentite tante. Nemmeno ci si attendeva che questa protesta assurgesse agli onori della cronaca in queste dimensioni, conquistasse prime pagine di giornali affaticate da guerre e vicissitudini geopolitiche e finanziarie. Sulla questione si è aperto un fronte interno agguerritissimo, pareva di rivedere narrazioni pasoliniane come quelle su Valle Giulia: da una parte, si dice, liceali di buona famiglia, borghesie insoddisfatte, dall'altra, in rappresentanza d'una sorta di proletariato bistrattato e costretto dal bisogno, insegnanti vilipesi nel loro lavoro. Senza parlare che l'assalto frontale avviene anche nei tribunali, voti troppo bassi per certe famiglie che ricorrono contro le decisioni delle commissioni. Certo non dev'essere stato semplice per gli insegnanti che si sono trovati in mezzo alla cosa, gestire questa inedita ed inattesa forma di dissenso. Nemmeno stupisce che un sondaggio li abbia trovati in gran parte contrari alle modalità della protesta. Del resto gli insegnanti si trovano dentro una prassi – l'esame – che è codificata altrove, per la quale sono poco più che meri esecutori di precise direttive. Si sono trovati a fare da argine ad un disagio. Ma che gli insegnanti in quanto categoria, in attesa di contratti ed adeguamenti stipendiali in linea con standard europei da un bel po', che attendono venga riconosciuta la loro professionalità ed autorevolezza, surclassati da adempimenti burocratici asfissianti, siano improvvisamente divenuti vittime del sollevamento studentesco pare anche eccessivo. Se poi volessimo fare effettivamente una valutazione di “classe”, nell'accezione più ortodossa della protesta, si, questa ha visto protagonisti liceali, presumibilmente di buona famiglia, prevalentemente del centro nord. Tecnici e professionali del sud, pare, non hanno mostrato la stessa volontà di rivalsa. Mancanza di senso critico? Adesione bulgara al modello d'esame e di valutazione su cui non c'è nulla da eccepire? Oppure semplice rassegnazione, o meglio, il buon tirare a campare del portare il pezzo di carta a casa, magari facendo meno fatica possibile? Certo, i primi, quelli sulle barricate andrebbero ascoltati, ma forse varrebbe la pena andare a chiedere qualcosa anche ai secondi, quelli che non si sono spinti verso la protesta, varrebbe la pena chiedere loro cosa si aspettano dalla scuola. Ad ogni buon conto, è evidente che la scuola catalizza difficoltà sociali, i differenti bisogni dei territori, la loro natura disomogenea. Da qualche parte emerge l'identificazione della scuola come una sorta di malattia esantematica, una cosa che va superata, il resto si vedrà. Dall'altra ci si aspetta molto di più dalle istituzioni educative e formative. Difficile adesso dare risposte, occorrerebbe un'analisi davvero assai più circostanziata, non una semplice risposta emotiva, d'indignazione, di presa di distanza, o magari di naturale comprensione, ascolto, condivisione. È comunque una di quelle cose di cui si è discusso, ma nel tempo esatto di uno sbadiglio, poi ci si dimentica rapidamente della cosa, fino al nuovo evento. Quanto c'entra con la scuola chi ha avuto tribuna di commentatore non è sempre dato a sapersi. La paventata riforma dell'esame di maturità, c'è da attendersi, non lascerà del resto troppi margini alla reiterazione del gesto. È facile prevedere una bella sterzata nel senso di regole ferree e rigorose. Passa il principio che il rigore paghi, educhi, l'ascolto lo fa assai meno, le due cose sono messe in assoluta contraddizione.

L’occasione che abbiamo perso

Eppure, a voler guardare il bicchiere mezzo pieno, l'occasione pareva buona perché si tornasse a parlare di scuola, si aprisse un dibattito in senso assai più ampio, sarebbe stato il momento giusto. L'altra parte del bicchiere, ahimé, rimane vuota. La dialettica serrata si è svolta ad escludendum. Pedagogisti, giornalisti, opinionisti, se le sono date senza tenere conto che mancava il protagonismo nella discussione proprio degli insegnanti, la prima linea dell'esame, ma non solo. A discussione aperta rimane la consapevolezza che se la società cambia deve cambiare la scuola, devono cambiare anche i suoi sistemi di valutazione, in quale direzione si vedrà. È questo l'oggetto del contendere che sembra essere emerso. Una cosa che mette d'accordo molti, a quanto pare, purché ci sia qualcuno che valuti, qualcun altro che dica come. Si aggiunge che la scuola non è adeguata ai tempi. Probabilmente è vero. Il punto è capire se la scuola deve prendere semplicemente atto dei cambiamenti epocali che stiamo vivendo, assecondarli, se occorre, adeguarsi con procedure eterodirette, riforme che non attraversano le aule. Gli insegnanti si limitino ad essere, ancora una volta, meri esecutori di precise direttive, al più oggetto di indicazione di esperti e questo sembra non essere considerato troppo mortificante per la categoria. Oppure sarebbe necessario che la scuola come istituzione di formazione sociale partecipi a quel cambiamento, se occorre anche contrastandone alcuni aspetti? La competizione delle armi, ad esempio, è una condizione che la scuola deve accettare perché è indicazione dei tempi, la deriva digitale va assecondata fino in fondo perché così vanno le cose, o deve contribuire a costruire una cultura di pace e accoglienza, rivalutare creatività personali, senso critico, l'espressione di nuovi talenti che non sono inclusi nei curricula? Ed in questo quale peso può avere la valutazione? Quali sono allora gli oggetti della valutazione, i suoi parametri? Perché una scuola che contribuisce alla maturazione della società nel senso dell'inclusione, dell'accettazione delle diversità e del dialogo come principi fondanti un preciso modello di sviluppo sociale e culturale – neanche tanto una novità, a leggere la Costituzione – dovrebbe fare anche altro che non sia limitarsi a misurare profitti. Dovrebbe creare gli spazi in cui la valutazione non assurge a perno centrale del processo educativo, ma ne è una parte – nemmeno centrale, se vogliamo - nello sviluppo complessivo di tutto il resto. Se è compito della scuola formare, anche il civismo in senso stretto deve essere parte di quel percorso, e quello non si misura un tanto al chilo, non gli si può attribuire un valore numerico. Ogni scuola è un teatro sociale diverso, non è possibile generalizzare, occorre trovare una sintesi precisa nella discussione sulla valutazione che superi la logica dell'obiettivo pianificato. Non si possono definire parametri così generali cui ci si attiene scrupolosamente, con tanto di certificazioni e relazioni inoppugnabili – non si sa mai ci sia un appello tribunalizio – senza tener conto delle peculiarità degli studenti, del loro contesto sociale e culturale, del lavoro sul campo degli insegnanti che quel contesto e quelle realtà finiscono per conoscere assai meglio di altri, degli strumenti che hanno a disposizione. La valutazione va ripensata, certo, ma non si può valutare ciò che non c'è e troppo pochi sono i voti, troppo diversi i contesti per renderla davvero oggettiva. Del resto, la valutazione è un resoconto finale di un percorso, allora assuma centralità prima d'ogni altra cosa quel percorso. La discussione va aperta, fuori dai social però, oltre le pagine dei giornali, nei luoghi preposti, nelle stanze dei processi educativi, questa volta davvero con la partecipazione ed il protagonismo dei docenti. Sarebbe questo un bel modo per iniziare a restituire autorevolezza ad una categoria che pare vilipesa solo a corrente alternata.

L'autore

Giovanni Carbone