Nei tre anni di governo della destra nel nostro Paese si è consolidata un’operazione di trasformazione politica e culturale finalizzata ad affermare un nuovo modello alternativo alla cultura progressista, ritenuta una diretta e nefasta conseguenza del ’68. Tale sostituzione, teorizzata persino con un esplicito richiamo a Gramsci e al ruolo degli intellettuali, si avvale di discutibili elaborazioni teoriche di qualche intellettuale dichiaratamente di destra.
I segnali sono peraltro evidenti in molti settori, dal revisionismo operato su avvenimenti emblematici della storia italiana recente, come la Resistenza e il Fascismo, al lessico politico in cui sono sempre più frequenti per esempio termini come patriota o postura, fino all’occupazione delle poltrone della televisione pubblica, all’editoria, e addirittura ai temi delle fiction televisive e dei film in programmazione.
Le controriforme di Valditara
Un settore considerato strategico per l’affermazione dei modelli culturali della destra è senza dubbio quello dell’Istruzione e delle politiche scolastiche. La stessa modifica della denominazione da Ministero dell’Istruzione a Ministero dell’Istruzione e del Merito ha chiarito subito le intenzioni del Governo e del ministro Valditara che nelle sue frequenti esternazioni e nel libro pubblicato lo scorso anno, La scuola dei talenti, ha enunciato chiaramente le sue idee e il programma del suo ministero.
Per il ministro la scuola deve tornare a essere, come in passato, la scuola del merito, del rispetto, dell’autorevolezza, finora mortificati a suo dire dal cosiddetto facilismo educativo che tollera il disimpegno e rigetta il sacrificio e la fatica. Il facilismo educativo si sarebbe affermato, secondo il ministro, sulla base di un pregiudizio ideologico tipico della sinistra che ha sostituito l’equità, che valorizza le differenze individuali, con l’uniformità dei risultati uguali per tutti. Si tratta di storture che sarebbero nate dal ’68 e da cui sarebbe derivata anche una generale insofferenza verso l’idea stessa di responsabilità che invece Valditara considera, se accompagnata dalle punizioni, il più efficace antidoto al modello di scuola facile e irresponsabile, incapace di rispondere ai bisogni delle famiglie e dello sviluppo economico.
È da queste premesse che deriva il programma delle riforme e degli interventi che hanno caratterizzato gli ultimi tre anni e che, tassello dopo tassello, vanno componendo un vero e proprio disegno di destrutturazione della scuola così come si è sviluppata, a partire dagli anni ’70, in ottemperanza al dettato costituzionale. Gli obiettivi che le riforme del ministro dell’Istruzione Valditara si propongono sono in apparenza quelli di una scuola che sappia intercettare con maggiore efficacia i cambiamenti sociali e culturali del nostro Paese e stare al passo con la rivoluzione tecnologica, la diffusione e il predominio dell’intelligenza artificiale. Nella realtà queste intenzioni non stanno trovando attuazione perché gli strumenti messi in campo sono finalizzati piuttosto a restaurare un modello di scuola funzionale al modello di società della destra, preautonomistico, repressivo e autoritario, che guarda al passato e non al futuro delle giovani generazioni.
Tutti i principali provvedimenti del ministero Valditara sono caratterizzati da assenza di ascolto e di confronto con le parti sociali e con il mondo della scuola, le stesse modalità con le quali il governo Meloni, mortificando il ruolo del Parlamento, impone a colpi di decreti legge e voti di fiducia le norme che stanno cambiando il nostro Paese. L’elenco dei provvedimenti direttamente e indirettamente collegati al settore istruzione, che sono stati emanati a partire dai mesi successivi all’insediamento fino ai recentissimi interventi legislativi di queste ultime settimane, delinea un quadro estremamente preoccupante della direzione che Valditara e il governo della destra stanno imprimendo alla scuola: la riforma dei tecnici e dei professionali e la sperimentazione della filiera tecnico-professionale con la riduzione di un anno dell’istruzione tecnica e professionale, un collegamento più diretto con il mondo del lavoro e l’anticipo di un anno dei Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (PCTO) rinominati recentemente Formazione scuola-lavoro, con la conseguente ripresa del dualismo che credevamo ormai superato di un doppio canale formativo, quello nobile dell’istruzione e quello cadetto della formazione orientata al mondo del lavoro; l’istituzione dell’(inutile) liceo Made in Italy; l’autonomia differenziata, il piano di dimensionamento inserito nella legge di bilancio 2023 che, rispetto alle 8.007 scuole dell’a.s. 2022/23, prevede il funzionamento nel 2026/2027 di sole 7.389 scuole, con una diminuzione di ben 618 istituzioni scolastiche, concentrata soprattutto nelle regioni del Sud Italia.
Continuando con l’elenco delle iniziative ministeriali, non si può tralasciare la nuova impostazione data all’orientamento scolastico, con la sostanziale cancellazione della funzione di accompagnamento della crescita e della consapevolezza di sé e delle proprie aspirazioni di bambini, alunni e studenti e la trasformazione dell’orientamento scolastico in un mero strumento di informazione personalizzata, rivolta a singoli studenti e alle loro famiglie sui futuri percorsi di studio e di lavoro da parte di docenti appositamente formati.
E ancora, la formazione volontaria incentivata per differenziare le posizioni economiche del personale docente, fuori dal perimetro della contrattazione; un’impostazione repressiva e autoritaria delle modalità di attribuzione della valutazione del comportamento nella scuola secondaria di primo grado, l’interruzione del percorso della riforma della valutazione degli apprendimenti nella scuola primaria, la recentissima riforma dell’esame di stato del secondo ciclo che torna a chiamarsi esame di maturità, con un evidente spostamento sul valore simbolico delle prove, vede una drastica diminuzione dei componenti della commissione (da 6 a 4) e conseguentemente delle materie d’esame e contiene una discutibile previsione di non superamento della prova in caso di rifiuto del candidato di rispondere ai quesiti posti dalla commissione durante il colloquio. Si tratta di un intento palesemente punitivo, in risposta alle contestazioni di alcuni candidati (per la verità pochissimi) che, com’è noto, nei colloqui degli esami dello scorso anno scolastico, avendo già raggiunto con le prove scritte e i crediti scolastici il punteggio minimo per il superamento dell’esame, hanno dichiarato la volontà di rimanere in silenzio durante il colloquio come atto di protesta contro il sistema scolastico, l’eccessiva burocratizzazione e l’incapacità di rispondere ai reali bisogni degli studenti.
Il gesto estremo degli studenti avrebbe meritato un’attenzione e risposte molto diverse, la strada che invece si è voluta percorrere, inutilmente e peraltro difficilmente sanzionatoria, rappresenta l’ennesimo segnale della sostanziale incapacità del ministro Valditara a mettere mano ai veri problemi della scuola, perché il suo principale interesse è invece rivolto alla revisione del modello di scuola dell’autonomia, democratico, progressista ed egualitario a cui contrapporre la restaurazione di un modello autoritario, illiberale e classista, funzionale al modello culturale e di società che la destra al governo, soprattutto attraverso la scuola e le politiche scolastiche, cerca di affermare nel Paese.
E senza ombra di dubbio il documento che più di tutti rappresenta lo sfondo culturale e valoriale su cui quella politica scolastica si muove sono le Nuove Indicazioni 2025 per la scuola dell’infanzia e il primo ciclo di istruzione, la cui entrata in vigore è prevista dall’a.s. 2026/27. Il testo delle Nuove Indicazioni è stato reso noto dal Ministero dell’Istruzione e del Merito l’11 marzo scorso con la pubblicazione di un documento provvisorio con cui è stato aperto un dibattito pubblico, prima della definitiva adozione. L’obiettivo, dichiarato in una nota preliminare al testo, è quello di individuare i nodi cruciali […] sullo stato dell’arte e sulle possibili prospettive migliorative delle Indicazioni Nazionali per il curricolo e dei percorsi formativi ordinamentali scolastici attuali.
Da questa affermazione si deduce tra l’altro che è in ballo anche la possibilità di una revisione degli Ordinamenti e delle Linee Guida per la scuola secondaria di secondo grado e si evince inoltre un giudizio negativo delle Indicazioni Nazionali del 2012 che, a detta degli estensori del documento, sarebbero inadeguate rispetto ai mutati scenari sociali culturali ed educativi della società italiana e obsolete rispetto alle nuove frontiere della ricerca pedagogica.
Leggendo la Premessa culturale generale delle Nuove indicazioni 2025 si comprende immediatamente che il vero obiettivo di tutta l’operazione è quello di sostituire a una rappresentazione dei compiti e delle funzioni della scuola come luogo dei diritti di ognuno e delle regole condivise, una diversa rappresentazione, quella di un’agenzia educativa attraversata dalla più generale crisi della mediazione educativa, incapace di svolgere da sola i suoi compiti formativi e in grado di esplicarli efficacemente solo grazie all’indispensabile alleanza con le famiglie.
Siamo dunque davanti a qualcosa di diverso dall’esigenza di aggiornamento del documento.
Tra l’altro non dimentichiamo che le Indicazioni Nazionali del 2012 erano già state oggetto di una integrazione effettuata nel 2018 con il documento Indicazioni Nazionali e nuovi scenari e che, in quell’occasione, il comitato scientifico nazionale, di cui facevano parte tra gli altri Italo Fiorin, Giancarlo Cerini, Franca Da Re ed Elisabetta Nigris, aveva concluso che le Indicazioni sono uno strumento ancora in grado di supportare la comunità professionale di fronte ai nuovi scenari e alle sfide della contemporaneità (nuovi media, globalizzazione, tecnologie, valori “liquidi”, ecc.), e, soprattutto, mantengono la loro validità nell’indirizzare l’insegnamento alla finalità di sviluppo delle competenze chiave e competenze di cittadinanza, nella convinzione che i saperi e le competenze culturali di base siano gli strumenti necessari per l’esercizio della cittadinanza attiva e per l’educazione all’autonomia e alla responsabilità dei giovani cittadini.
Quella promossa da Valditara appare quindi un’operazione finalizzata piuttosto a scardinare i fondamenti della scuola democratica della Costituzione, che il Ministro intende sostituire con la scuola che promuove i talenti innati dei singoli e guarda alla persona non come a un’identità che apprende posta al centro dell’azione educativa e in relazione continua con il gruppo dei pari, ma alla persona che, attraverso l’esperienza scolastica, afferma la propria identità e marca le differenze con gli altri io e con il mondo.
Emblematico anche il titolo del primo capitolo della Premessa delle nuove indicazioni che, rispetto alla triade Cultura, Scuola, Persona delle Indicazioni del 2012, propone: Persona, Scuola, Famiglia con un’enfasi alla Persona e alla personalizzazione e l’introduzione del riferimento alla famiglia come soggetto che interviene, al pari della scuola e sullo stesso piano della scuola, nel percorso di apprendimento, mentre scompare totalmente il riferimento alla cultura, allo scenario culturale in cui l’esperienza scolastica è inserita.
Il 2 di aprile scorso si è svolta a Roma, presso l’Università Roma Tre una giornata di riflessione molto partecipata sulle Indicazioni Nazionali a cui ha partecipato la FLC CGIL insieme a moltissime associazioni del mondo della cultura e della scuola, tra cui Proteo Fare Sapere, MCE, CIDI, Legambiente.
Le proposte alternative dal mondo della scuola
Da quell’iniziativa è nato un tavolo interassociativo nazionale permanente che ha promosso una conferenza stampa presso la Camera dei Deputati per informare la politica della forte preoccupazione del mondo della scuola sulle numerose criticità del documento e ha inviato una lettera al presidente Mattarella nella quale sono state rappresentate le stesse problematiche.
In questi mesi il tavolo ha continuato il suo lavoro mentre di recente dal Consiglio di Stato è arrivata l’ennesima bocciatura sullo schema di regolamento delle nuove Indicazioni Nazionali a causa delle carenze evidenziate nelle motivazioni che, secondo il Consiglio, non contengono elementi sufficienti a giustificare l’esigenza di una revisione delle Indicazioni del 2012, necessitano di più espliciti riferimenti alla normativa europea e alla compatibilità finanziaria, oltre a contenere una serie di inesattezze formali. Il ministero viene perciò invitato a una riscrittura finalizzata all’espressione del parere obbligatorio del Consiglio.
La prossima imminente iniziativa del Tavolo interassociativo è la giornata di mobilitazione diffusa del 18 ottobre che interesserà moltissime piazze italiane per portare all’attenzione dell’opinione pubblica le ragioni del profondo dissenso sulle Nuove indicazioni Nazionali, in difesa di una scuola inclusiva, democratica e partecipata che, anche attraverso la riscrittura delle Indicazioni Nazionali, il Ministro Valditara sta tentando di smantellare.
Ne è prova la lettera da lui inviata nei mesi scorsi all’Associazione degli editori per chiedere una verifica della correttezza di alcune informazioni riportate nel manuale di storia ‘Trame del tempo’ pubblicato da Laterza. La vicenda è nota e si riferisce alla descrizione, presente in una delle pagine finali del libro, del partito Fratelli d’Italia come erede di un contesto storico che fa riferimento al fascismo. Dopo un’interrogazione parlamentare della deputata Montaruli che ha chiesto il ritiro del manuale, è intervenuto Valditara con una email e un’intervista su La Stampa a cui ha prontamente risposto l’editore Alessandro Laterza che ha difeso la serietà scientifica del manuale, sottolineando che i manuali devono basarsi sull’analisi storica e non su imposizioni della politica e che l’intervento del ministro rappresenta l’anticamera della censura e della violazione di più di un articolo della Costituzione.
«Riscrivere la storia e i manuali di storia – leggiamo nella replica dell’editore Laterza – è un vecchio sogno della destra: ricordo ancora, nel 2000, la mozione del Consiglio regionale del Lazio che impegnava l’allora presidente Storace a istituire una commissione di esperti che svolgesse un’analisi attenta dei testi scolastici evidenziandone carenze e ricostruzioni arbitrarie. Non se ne fece nulla: rispondemmo energicamente in molti. Però, come si dice, a volte ritornano. Forse è il caso di evitarlo perché si sta passando, se non lo si è già passato, il segno. È una questione di democrazia, non della singola pagina di un manuale scolastico».
Il dirigente scolastico longa manus del Governo
È dunque evidente che con l’operazione di riscrittura delle Indicazioni Nazionali siamo davanti a qualcosa di diverso dall’esigenza di aggiornamento del documento programmatico dal 2012: si tratta in realtà di un piano sistematico di modifica delle strutture stesse del sistema scolastico pubblico.
In questo preoccupante scenario che vede via via consolidarsi l’intenzione della destra al governo di smantellare la scuola dell’autonomia, il dirigente scolastico viene considerato il terminale di snodo di una catena di comando attraverso la quale veicolare le scelte conseguenti alle politiche governative in materia di istruzione.
Anche il nuovo sistema di valutazione, per come è stato costruito, con obiettivi decisi unilateralmente e annualmente dai vertici amministrativi del ministero, va in questa direzione e rappresenta il pilastro su cui poggia il disegno di controllo della dirigenza scolastica e del suo asservimento alle politiche del governo.
La FLC CGIL ha espresso in sede di confronto un giudizio profondamente negativo sulla procedura adottata a partire dall’a.s. 2024/25, per l’inadeguatezza degli obiettivi nazionali, in quanto non rappresentativi delle funzioni dei dirigenti scolastici, per l’assenza di trasparenza, oggettività e terzietà nell’individuazione dei valutatori e nell’apprezzamento della professionalità del dirigente scolastico da parte dei DG degli USR e infine per l'inefficacia degli strumenti di tutela attivati nei confronti dei dirigenti scolastici valutati.
È evidente che tale modello rivela tutta la sua funzionalità allo scopo per il quale è stato pensato, che non è certo il miglioramento della professionalità dei dirigenti scolastici ma lo strumento attraverso il quale responsabilizzare i dirigenti scolastici rispetto alla partecipazione delle scuole alle iniziative e alle sperimentazioni proposte dal ministero e assicurare l’applicazione corretta delle modifiche legislative forzando, se necessario, le decisioni di competenza degli organi collegiali.
Ecco perché guardiamo con non poca preoccupazione alla riforma degli organi collegiali contenuta nella legge delega in materia di semplificazione amministrativa approvata dal Senato e passata all’esame della Camera.
Ridurre la partecipazione e depotenziare l'autonomia
La riforma, si legge nella delega, è finalizzata alla definizione di compiti e responsabilità degli organi collegiali attraverso l’eliminazione di duplicazioni e sovrapposizioni e la ridefinizione del rapporto con ruolo, competenze e responsabilità dei dirigenti scolastici.
Il disegno, non difficile da immaginare, è quello di depotenziare l’autonomia scolastica, sottrarre prerogative agli organi collegiali e attribuire più poteri al dirigente scolastico.
In questo modo si completa il quadro fin qui descritto e si prepara una modifica che sostituisce al modello di leadership partecipata un modello gerarchizzato in cui il rapporto tra dirigente scolastico e organi collegiali si trasformi in un rapporto di subordinazione e controllo.
Chi pensa che uno svuotamento dei poteri degli organi decisionali della scuola compensato dall’assunzione di maggiori responsabilità da parte dei dirigenti scolastici possa migliorare la governance delle istituzioni scolastiche e il lavoro dei dirigenti non riesce a cogliere i pericoli che corre la stessa dirigenza scolastica, che risulterebbe indebolita rispetto alle pressioni esterne e permeabile al controllo diretto da parte dell’amministrazione centrale e del governo, unica responsabile di scelte oggi di competenza dei collegi dei docenti nell’esercizio dei loro compiti in campo educativo.
Nel febbraio scorso FLC CGIL e Proteo Fare Sapere hanno organizzato un convegno nazionale sul tema del rilancio della funzione degli organi collegiali all’interno della cornice dell’autonomia scolastica e sul ruolo che in questo modello è affidato al dirigente scolastico.
Dalla discussione molto partecipata, che ha visto la presenza di esponenti del mondo della scuola, delle associazioni e di parlamentari, è emersa la ferma convinzione che, pur essendo profondamente mutati il contesto socio-culturale e le condizioni della partecipazione rispetto a 50 anni fa, la difesa degli spazi di collegialità e democrazia dentro le scuole è anche la difesa dell’indipendenza del dirigente scolastico e che senza gli uni non può esistere l’altra.
Resistere, resistere…
Il momento che stiamo vivendo è dunque carico di insidie che minano pesantemente l’autonomia dei dirigenti scolastici posti oggi davanti a un difficile bivio: piegarsi e assecondare le pressioni che vengono dall’alto, dall’amministrazione regionale e nazionale e da una certa politica locale o resistere lavorando per preservare l’autonomia e la libertà della scuola?
L’idea di scuola in cui ci riconosciamo e che ci accomuna ci spinge verso questa seconda risposta ma il tentativo autoritario di cambiare la scuola si sta servendo di metodi autoritari che non si possono contrastare da soli. Solo non isolandosi i dirigenti scolastici possono resistere alle pressioni esterne con la forza delle competenze professionali, il sostegno delle proprie comunità e il supporto del sindacato.
E la FLC CGIL c’è ed è in campo a contrastare questa deriva autoritaria e a sostenere il lavoro dei dirigenti scolastici.