Cultura

05 gennaio 2022

Il capostazione che sfidò i fascisti

Andrea Albissetti, classe 1885, ha coronato il sogno cullato fin da ragazzino diventando capostazione a Tradate, piccolo comune fra Milano e Varese: tutte le mattine dispensa sorrisi ai pendolari che già alle 5 si avviano al lavoro. Col freddo o con il caldo, non importa, lui è sempre lì, sempre lì anche ad accoglierli alla sera quando ritornano stanchi a casa.

La sua è una missione, quella di accompagnare le persone alla loro giornata, incoraggiarle con un sorriso dolce che quasi stona sul suo corpaccione robusto, avere sempre una parola buona, un riguardo, una speranza.

Ad aiutarlo Giannetto ed il fidato cane Giallo, capace di avvisarlo ben prima dell’arrivo dei treni in modo da far trovare tutto in ordine e far funzionare tutto pronto ed efficiente.

La famiglia Albissetti a suo modo subisce la politica dei tempi: lo stesso Andrea ha dovuto accompagnare alla stazione i due figli in partenza per il fronte, come alpini, Dorlingo e Sarajevo. Dei due solo uno riuscirà a tornare, mentre dell’altro proprio Andrea dovrà smistare al podestà la triste notizia del decesso. Ma nessuno in famiglia è d’accordo con il clima di odio e di discriminazione che piano piano sta prendendo piede anche in quel paesino, dove, come nel resto d’Italia, cominciano a serpeggiare pregiudizi, discriminazioni, delazioni.

Il capostazione Albissetti è un uomo retto e tutto d’un pezzo, dalla parte del giusto e contro le ingiustizie, perciò sa benissimo cosa c’è da fare quando il giovane Oscar, di ricca famiglia ebrea e costretto ad andare a Milano per continuare gli studi in una scuola ebraica perché cacciato dalla scuola del paese, è ricercato dalle squadracce fasciste; o quando arriva a Tradate la famiglia Levy, direttamente da Torino, in cerca di una possibilità di scampo magari in Svizzera.

Coprire questi ricercati è pericoloso, aiutarli a sfuggire all’arresto significa mettere a rischio il suo lavoro, la sua vita e quella della sua famiglia: Andrea lo sa, però fa un sorriso che assomiglia ad una smorfia, alza le spalle e con molta cautela non esita a dare una mano a quegli altri uomini, perché per lui è la cosa più naturale.

Grazie al suo coraggio, a quello dei suoi concittadini che come lui si oppongono silenziosamente al regime, la vita di Oscar e della sua famiglia, la vita di Edgardo Levy sono sottratte allo scempio criminale nazi-fascista: sicuramente poco, ma anche soltanto una vita salvata in quelle condizioni di furia, caos e corruzione, in quel clima di pazzia collettiva, è un grande risultato, è una vittoria morale del bene sul male assoluto.

Alessandra De Fiori, dirigente scolastica di un istituto comprensivo nella provincia di Bergamo, ci regala un libro che è testimonianza di una delle tante microstorie che spesso la vulgata ignora, è una storia vera (con una colorazione romanzesca, come avverte nella post-fazione) di eroi dimenticati, di quelli che si sono mossi fuori dalla luce dei riflettori nobili dei grandi uomini, delle copertine e delle grandi azioni. Per questo è una storia che ancora più delle altre andava raccontata, per far capire a chi non c’era che gli italiani durante il regime fascista non sono stati tutti complici, non sono stati tutti inermi spettatori: c’era un’umanità pulsante, c’era orgoglio, c’era la dignità dei piccoli grandi gesti che la storia, quella con la S maiuscola, spesso ignora, oscurandoli con presunte imprese da prima pagina.

Il suo racconto, breve, antiretorico ed essenziale come il suo protagonista, ci permette di recuperare frammenti di italiani e di speranza che possono aiutarci anche ad affrontare questo periodo buio.

Alessandra De Fiori, Il capostazione di Tradate, Dialoghi Editore, collana Sussurri, Viterbo, 2021, 12.00 euro

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