Cultura

26 ottobre 2021

Il libro di Ricolfi e Mastrocola, un danno per il lettore e per la verità

Ci sono libri, in particolare saggi, in cui bastano poche righe per capire le reali intenzionalità di un autore. Si tratta di spie, che si accendono nella mente del lettore quando qualcosa non quadra nel flusso narrativo o teorico, o quando si intende argomentare una tesi. E il lettore ha la sensazione, suffragata anche da corrette analisi razionali, che l’autore sia il protagonista di un pessimo gioco intellettuale. È ciò che accade quando si legge Il danno scolastico, dei coniugi Luca Ricolfi e Paola Mastrocola, edito da La Nave di Teseo. A pagina 63 di questo volume, che ha lo scopo dichiarato di dimostrare la tesi per cui il “danno scolastico” (e universitario) è stato consapevolmente messo in atto dalla sinistra nel corso di mezzo secolo e più, si legge: “alla fine degli anni novanta al governo c’era la sinistra (primo ministro Massimo D’Alema) e al ministero dell’istruzione c’era un nome illustre, quello di Luigi Berlinguer, fratello del mitico Enrico”. La frase giunge dopo circa una quarantina di pagine in cui il professor Ricolfi si dilunga a capire le cause che hanno indotto Martina, assunta a campionessa e idealtipo di studenti illetterati, ignoranti, privi di memoria, e costantemente bocciata agli esami per non aver saputo rispondere a qualche domandina all’esame di Analisi dei dati. Certo è che se Martina (il nome è un’invenzione di Ricolfi, naturalmente) avesse detto nel corso di un esame che Luigi Berlinguer era il fratello di Enrico, sarebbe stata bocciata. Ma Ricolfi lo scrive, senza alcun timore e convinto che quella sia la verità, e senza neppure una benché minima verifica.

In realtà, tutto il libro è permeato da questo atteggiamento intenzionalmente orientato a dimostrare la tesi che la cosiddetta “scuola democratica” così come interpretata nei decenni dalla sinistra ha rovinato diverse generazioni di studenti, e lo fa a qualunque costo. Torniamo alla frase rivelatrice di pagina 63. Come sanno anche le pietre, il “mitico” Enrico (nell’aggettivo usato da Ricolfi si sente aria di disprezzo, non solo nei confronti del segretario del Pci ma della stessa organizzazione che egli dirigeva) aveva un fratello il cui nome era Giovanni e non è mai stato ministro dell’istruzione. Quando Ricolfi cita Luigi come fratello di Enrico non si tratta di un errore ma proprio di uno sberleffo, dal quale il suo lettore deve trarre le conseguenze. Si badi: governo di sinistra guidato da D’Alema e con il ministro fratello del mitico Enrico Berlinguer. La tavola anticomunista e mistificatrice della verità è così imbandita. A beneficio del professor Ricolfi e delle sue errate indicazioni (e lo diciamo anche a beneficio dei redattori della casa editrice, senza presunzione) cito qui la voce “Giovanni Berlinguer”, vero e unico fratello di Enrico, così come riportata dall’enciclopedia Treccani (non accusabile certo di mistificazioni filocomuniste). “Uomo politico e medico italiano (Sassari 1924 – Roma 2015). Figlio dell’avvocato repubblicano Mario, insieme al fratello Enrico, che ne è stato segretario, è stato una delle figure di riferimento del Partito Comunista Italiano. Laureato in medicina e chirurgia, è stato docente all’università di Sassari di Medicina sociale fra il 1969 ed il 1974 e di Igiene del lavoro all’università di Roma dal 1975 sino al 1999.  Ha contribuito a diffondere la cultura scientifica in settori decisivi della società nazionale e all’analisi critica del sistema sanitario italiano, ed è stato presidente del Comitato Nazionale per la Bioetica”. Ora, al di là della straordinaria carriera politica di Giovanni Berlinguer (che ho avuto l’onore e la fortuna di conoscere, e di apprezzarne lo stile argomentativo, la mitezza del carattere, la profondità intellettuale), ciò che qui conta è la sua carriera accademica e la sua lotta per la scienza, che avrebbe dovuto consigliare al professor Ricolfi maggiore attenzione. L’equazione ricolfiana comunisti-fratelli Berlinguer-catastrofe universitaria non regge, non solo per l’evidente catastrofe cognitiva in cui è cascato il professor Ricolfi, ma soprattutto perché non reggono i fatti né regge il metodo col quale li libro è scritto.

Il metodo usato da Ricolfi e anche da Mastrocola, in parte qui riassunto e in un libro che appare assai spocchioso e pretestuoso, ed astutissimo, emerge in tutta evidenza: definire una tesi precostituita (“la sinistra ha ammazzato scuola e università, alimentando le diseguaglianze, e in assenza di una proposta contraria della destra”), avanzare qualche dato apparentemente oggettivo e condirlo con esperienze soggettive (alcune delle quali, per la verità, molto imbarazzanti) e inventando idealtipi di studenti “asini”, non per colpa delle condizioni di partenza, ma proprio per la strategia di abbassamento del sapere e di disciplina inaugurata dalla sinistra a partire nientedimeno che dalla riforma della scuola media unificata del 1962. Così, ad ogni pagina il lettore può sentire la voce intima degli autori che par dicano: “com’era bella la scuola di una volta, e com’era bella l’università pre sessantottina, e quanta bella fatica per come si studiava”… Il sottinteso qui è: “com’erano bravi i maestri e i professori di una volta, dai quali abbiamo imparato tanto, a tal punto che noi due siamo qui per correggere tutti gli abomini commessi dalla sinistra” (compreso il sindacato, ovviamente). Allora, nel libro l’argomentazione della tesi va di pari passo con la narrazione di esperienze personali, dalle quali si dovrebbero trarre lezioni preziose.

Poi però, il lettore arriva a pagina 66 (la parte scritta dal professor Ricolfi) e legge (in verità trattenendo a stento una sonora risata sardonica): a proposito della riforma della scuola elementare, che prevedeva “la soppressione del maestro unico e la sua sostituzione con tre maestri, una misura che pareva stesse dando i benefici sindacali attesi” (sic), i genitori, professori Paola e Luca, reagirono così: “cercammo di salvare nostro figlio dalla riforma mandandolo, noi entrambi non cattolici, a una scuola di suore”. Peccato che i genitori Luca e Paola abbiano dimenticato di avvertire il lettore sui costi economici di tale scelta. Peccato che i genitori Luca e Paola abbiano dimenticato di avvertire il lettore che in quegli anni essi erano docenti in istituti pubblici. Peccato che non abbiano avvertito il benché minimo imbarazzo nel sentirsi “fortunati” a mandare il figlio dalle suore mentre il resto dei suoi amici frequentavano le scuole elementari pubbliche con i tre maestri e la nuova sperimentazione didattica. En passant, ho vissuto in prima persona, da genitore, limiti e potenzialità del sistema didattico a tre maestri, col regime della compresenza e il tempo pieno. Avrei commesso un errore gravissimo a giudicare quella riforma esclusivamente con gli occhi del “successo formativo” di mio figlio, come invece fanno Ricolfi e Mastrocola, perché quella fu un’esperienza straordinaria per tutti gli alunni che l’hanno provata, sul piano del sapere condiviso, della socializzazione, della maturazione umana. Avrebbe avuto bisogno di più tempo per stabilizzarsi.

Insomma, il libro di Ricolfi e Mastrocola ci racconta una falsità, così testardamente riassunta a pagina 219: “è la cultura progressista che si è battuta per la democratizzazione della scuola; è la cultura progressista che ha inteso la democratizzazione non come metter la cultura alta a disposizione di tutti, ma a disposizione del successo formativo; è la cultura progressista che ha demonizzato gli insegnanti”.  Quindi? Quindi torniamo alla sana scuola elitaria di stampo gentiliano e non democratica che tanto bene ha fatto ai coniugi Ricolfi e Mastrocola (e al loro figlio). E tutto ciò in un libro di 270 pagine. Forse, potevano dedicarsi ad attività più attraenti (all’educazione dei nipotini sottratti alle scuole pubbliche, magari).

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Pino Salerno