Politiche educative

09 febbraio 2022

Come si possono spiegare le Foibe a scuola?

Non è dato sapere perché spiegare con obiettiva coscienza e scienza (storica, politica e morale) la Shoah sia un obbligo, un atto dovuto, e come invece diventi un argomento spartiacque per etichettare gli insegnanti la trattazione delle “Foibe” affrontato in classe.

Perché se ci si aspetta oggi, giustamente e legittimamente, una ferma e netta condanna dei boia della Shoah, (e non potrebbe essere differentemente!), con maggiore attenzione, anzi quasi con una certa morbosità, si attende al varco l’insegnante, soprattutto quello di italiano-storia-geografia, ma anche storia-filosofia, quando affronta l’argomento con i suoi alunni: sarà una condanna del comunismo titino o la solita giustificazione della vendetta?

L’argomento è particolarmente complesso, ancora di più ne diventa l’illustrazione ai giovani a seconda della finalità che si vuole dare alla lezione. Eppure basta mantenere la barra dritta e lasciar parlare i fatti e, soprattutto, chi li sa illustrare. Abbiamo voluto chiedere il parere a Edoardo Acotto, insegnante di storia e filosofia in un liceo scientifico di Torino.

Perché il Giorno del ricordo suscita ogni anno nuove polemiche?

È probabile che questo sia il destino di una celebrazione nata per motivi politici più che per una reale volontà di creare una memoria storica condivisa, posto che qualcosa del genere sia possibile. Il Giorno del ricordo è stato infatti istituito con la legge 30 marzo 2004 n. 92, in pieno governo Berlusconi bis. È vero che la legge fu votata quasi all’unanimità, quindi anche dal centrosinistra di allora, ma non bisogna dimenticare che solo pochi anni prima qualcuno dalle file del centrosinistra aveva iniziato a parlare dei “ragazzi di Salò” [Luciano Violante, n.d.r.]. Erano gli anni in cui, subito dopo Tangentopoli e l’avvento dell’epoca berlusconiana, la classe dirigente di sinistra nutriva l’illusione della possibilità di una politica “bipartisan”, una specie di consociativismo anti-ideologico che ha fortemente contribuito alla nascita del populismo e al discredito della politica parlamentare.

Negli ultimi anni le polemiche sul Giorno del Ricordo sono sempre state regolarmente alimentate dalle destre fascistoidi che hanno strumentalizzato il Giorno del Ricordo con chiari intenti revisionisti: per quanto sia un’idiozia incommentabile del tutto priva di giustificazioni storiografiche e offensiva per la logica, paragonare le foibe e l’esodo giuliano-dalmata alla Shoah è un’operazione politica mirata a creare consenso ideologico verso l’estrema destra.

Alcuni storici che si sono occupati della storia del “confine orientale” vengano spesso additati dalle destre neofasciste come “negazionisti”: che significato ha quest’accusa?

Non solo è un’etichetta insensata, poiché nessuno storico nega che in quella parte di territorio ex italiano (ex province di Trieste, Gorizia, Pola e Fiume) vi siano state vittime italiane, ma è evidentemente un’espressione infamante che risponde alla chiara volontà politica (non soltanto di destra) di gettare discredito sugli storici che non accettano le cifre errate, non di rado riportate anche dai media. Gli storici più accreditati convergono nel calcolare che i corpi infoibati, di vittime quasi tutte uccise in precedenza, siano stati tra i 4.000 e i 5.000 peraltro in due momenti ben distinti e molto diversi per la situazione storica contingente: nel 1943 in Istria e nel 1945 fra Trieste, Gorizia e Fiume. Eppure politici senza scrupoli non si sono vergognati, in passato, di parlare di “milioni di italiani” uccisi nelle foibe.

Un’accusa forse più subdola è quella di “riduzionismo”, spesso gettata addosso a Eric Gobetti, uno dei maggiori esperti di storia contemporanea dei Balcani e dell’ex Jugoslavia. È un’accusa chiaramente volta a screditare la professionalità e forse l'etica degli storici che, avendo lavorato sulla storia delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata, non accettano gli errori, le semplificazioni e le strumentalizzazioni di chi parla, per le foibe e l’esodo giuliano-dalmata, di “genocidio” e “pulizia etnica” degli italiani in quanto italiani (donde una presunta simmetria con la Shoah). Persino in un documento istituzionale come il Vademecum sul Giorno del ricordo del 2019 approntato dall’Istituto Storico della Resistenza del Friuli Venezia-Giulia si trovano tutti i dati storiografici per comprendere che la vulgata nazionalista e potenzialmente fascistoide non ha alcuna verità.

Sarà per questo che negli ultimi anni le destre hanno iniziato a prendere di mira proprio gli Istituti storici della resistenza, com’è accaduto in questi giorni a Torino con la minaccia da parte di un assessore di destra della giunta piemontese di togliere fondi all’Istoreto [Istituto piemontese per la Storia della Resistenza e della società contemporanea ‘Giorgio Agosti’ di Torino, n.d.r.].

Come si possono spiegare le foibe a scuola?

Proprio perché si tratta di un argomento estremamente complesso sarebbe bene trattarlo con esperti, anche per la delicatezza politica di questo pezzo di memoria storica collettiva. Ovviamente bisogna innanzitutto ricostruire il complesso contesto storico dell’annessione al Regno d’Italia dell’Istria nel primo dopoguerra, poi di Fiume nel 1924, nel contesto del montante razzismo antislavo fascista, che già nel 1920 aveva portato all’incendio del Narodni dom, sede degli sloveni a Trieste ("il vero battesimo dello squadrismo organizzato" secondo Renzo De Felice), per poi arrivare all’occupazione nazifascista dal 1941 alla fine della guerra, col suo enorme carico di violenze.

Come per la Shoah, oggi i testimoni superstiti di quella storia sono sempre di meno, ma a differenza che per la Shoah, dove la memoria dei testimoni ha un valore assoluto, credo che nel caso delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata sia particolarmente importante far parlare gli storici, perché storiografia e memoria si muovono su due piani diversi e sarebbe un errore pensare che l’uno possa soppiantare l’altro. Raccontare gli eventi tragici degli anni ‘40 e del primo dopoguerra senza risalire indietro di almeno vent’anni, ossia all’origine del fascismo e della sua violenta prevaricazione nei territori in questione, estremamente multietnici, rischia di rendere impossibile una corretta comprensione dei fatti storici. Ma naturalmente la testimonianza di chi ha vissuto quegli eventi tragici ha un valore irrinunciabile.

Resta il fatto che l’insegnamento della storia è oggi più che mai in crisi, dopo le ultime riforme della scuola che nulla hanno fatto per risolvere i veri problemi e hanno lasciato immutata la didattica, al di là di tutti i proclami retorici. Se c’è un argomento che richiederebbe una grandissima acutezza storico-politica, quello è sicuramente “la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale".
________________________________

Edoardo Acotto (1972) si è laureato a Pavia e ha proseguito i suoi studi a Parigi con Alain Badiou. Ha scritto articoli di ricerca e ha pubblicato pillole di pop-filosofia su Vogue.it. Ha curato Senza violenza (L'Unità, 2004) e Narradiohead (Baldini e Castoldi, 2008). Ha inoltre tradotto racconti di fantascienza e testi di Krishnamurti, Gandhi, Debord, Žižek. Nel 2021 ha pubblicato Contro Agamben. Una polemica politico-filosofica (ai tempi del covid-19)(Scienze e lettere). Insegna filosofia e storia in un liceo scientifico di Torino.