Politiche educative

14 luglio 2021

Le storie. Viaggio nelle biblioteche scolastiche

Docente di Lettere da quasi 20 anni, Marco Cecalupo è il responsabile della biblioteca presso l’Istituto comprensivo Leonardo da Vinci di Reggio Emilia. La scuola media è in pieno centro, ma l’istituto comprensivo si allarga anche verso la periferia. Insomma, tanti mondi in una scuola, per così dire. Facciamo prima un giro all’interno del plesso scolastico, poi ci sistemiamo nella sala docenti. Osservo che tutte le regole relative al covid-19 sono state rispettate in modo rigoroso, soprattutto nella sistemazione dei banchi nelle classi. Il professor Cecalupo, che è anche RSU della FLC CGIL in questa scuola, ci racconta la sua esperienza.

Professor Cecalupo, diamo inizio a questa intervista col racconto della sua esperienza di responsabile della biblioteca.

Non è una biblioteca in senso classico ma è nella forma del book crossing. Cosa vuol dire book crossing? Si tratta di una pratica di diffusione gratuita dei libri, che andava di moda qualche anno fa e poi si è spenta. Noi l’abbiamo ripresa e l’abbiamo implementata dentro le nostre scuole. I libri sono in un posto fisico, certo, ma vengono materialmente portati nelle classi dai docenti e dagli studenti. Su richiesta degli insegnanti o volontariamente si fanno dei banchetti, nelle aule o tra i corridoi, e i libri sono poi nella disponibilità di chiunque voglia prenderli, anche in prestito. Ad esempio, un insegnante si concentra sull’horror e chiede una selezione di volumi sul tema da portare in classe. I libri vengono messi a disposizione di tutti, senza alcun tipo di fiscalità sulle scadenze. In questi anni solo una piccolissima percentuale non è tornata indietro. Ma fa parte del gioco, poiché il book crossing è appunto questo, lo scambio di libri. E tutti i libri hanno dei segnalini con un codice e delle frasi, tipo questa: “Ciao faccio parte del book crossing, i libri di Leo, leggimi. Sono molto interessante, forse. Se ti sono piaciuto, lascia il tuo commento su di me. Buona lettura”. Perché lo abbiamo fatto? Perché queste recensioni e questi commenti costituiscono l’ossatura di un blog che contiene l’elenco dei libri, consultabile da tutti, le recensioni, altre sezioni come scritture, disegni, poesie, e gli eventi. Insomma, un blog su cui vengono raccontate le esperienze della scuola. Il blog anima il book crossing al punto tale che oggi siamo a quasi duecento volumi in prestito su circa 500 studenti. Quasi tutti gli insegnanti hanno aderito in modo interdisciplinare, anche se gli insegnanti di lettere sono quelli che spingono di più. La cultura umanistica trascina, è vero, ma le arti e le scienze seguono ad un passo.

Qual è la dotazione della biblioteca?

Attualmente i volumi censiti nel book crossing sono oltre un migliaio. Ma non sono catalogati. Ho cercato più volte di convincere gli studenti del liceo classico ad effettuare qui da noi le ore di alternanza scuola-lavoro, a dedicare qualche ora alla sistemazione della biblioteca e alla classificazione, alla elaborazione del blog, ma con scarsi risultati. Purtroppo, nelle scuole superiori non sono i ragazzi a scegliere. Eppure so che qualcuno l’avrebbe perfino trovato divertente. Il punto è che per quanto riguarda la classificazione di certo difficilmente potremmo usare il sistema Dewey, dal momento che i nostri libri non abbracciano quel largo sistema del sapere. I nostri libri sono costituiti per il 95% da narrativa. Ma se ho per le mani la biografia di Leonardo da Vinci, come la classifico? Molti libri attraversano in modo interdisciplinare i generi. Cosa succede oggi? Una classe, ad esempio, lavora sul tema dell’avventura. Quali libri scegliere, dunque? Sono io che creo per loro un pacchetto di proposte bibliografiche che possa andar bene. La sollecitazione arriva dai bisogni cognitivi o didattici, mentre la ricerca e la proposta viene effettuata da me.

Certo, anche la composizione così straordinariamente articolata della tua scuola fornisce oggettivamente tante sollecitazioni. Come città, Reggio Emilia è già fortemente attraversata dalla presenza di immigrati di prima, seconda e terza generazione. E le sue scuole risentono di questa incredibile mescolanza di lingue, culture, forme di vita.

Tieni conto che in questa scuola circa un terzo degli alunni non è di cittadinanza italiana, ed è forte il bisogno dell’integrazione linguistica. Al punto tale - qui intervengo anche da RSU FLC CGIL - da aver proposto di dedicare i fondi del Pon proprio per agevolare quegli studenti figli di immigrati, cinesi, africani, arabi a coltivare la loro lingua madre assieme alla nostra. Così, una parte non piccola della nostra biblioteca è formata da libri non scritti in italiano. I libri sono sicuramente un grosso veicolo di integrazione, significa avere qualcosa a casa che non è il solo libro di testo. Perciò, per tutti quei ragazzi che non riescono a leggere I malavoglia, c’è sempre una proposta meno complessa dalla quale partire. L’integrazione attraverso la lettura: un piccolo contributo che la biblioteca fornisce alla scuola e alla società. Ma l’integrazione è anche bidirezionale. Così abbiamo organizzato con la nostra università di Modena e Reggio Emilia un corso di lingua cinese, al quale si sono iscritti 42 studenti, e un terzo di essi era di nazionalità non italiana. Il senso del progetto si consolidò quando uno degli studenti cinesi si manifestò come vero e proprio tutor nei confronti dei suoi coetanei italiani. Accadde così che l’integrazione si confermò attraverso l’apprezzamento degli studenti italiani della lingua e della cultura cinese. Fu un successo che sicuramente replicheremo.

Parliamo ora della tua esperienza di docente. Come vedi la generazione dei millennial? Riesci a intravederne i bisogni cognitivi vecchi e nuovi? E le differenze generazionali?

Bisogna intendersi: cos’è un bisogno cognitivo? Intanto, si acquisisce in ogni fase di socializzazione, sempre, e in qualunque generazione. La metterei così: è diversa l’aspettativa. Se mio padre mi mandava al liceo perché era sicuro di compiere un progresso in termini di ascensore sociale, oggi l’aspettativa di un padre è più orientata alla scuola di calcetto. Mentre prima di questa generazione si era certi che la scuola rappresentasse l’unico canale per raggiungere una meta importante nella vita, oggi in virtù di un cambiamento di status e di modelli di riferimento - il lavoro intellettuale è retribuito decisamente meno dell’esposizione del proprio corpo o del proprio talento calcistico o sportivo - il valore è rappresentato da quanto si è capaci di guadagnare a prescindere da ciò che si sa, da ciò che si conosce. Come si fa a convincere uno studente alla fatica dello studio quando può diventare in poche ore uno youtuber di successo? Dobbiamo prendere atto che aspettative e modelli di riferimento sociali sono cambiati, a tutto danno della scuola e del nostro impegno di docenti. Certo, se poi della scuola sui mass media importanti parlano intellettuali che non vi hanno mai messo piede, predicando il ritorno al modello gentiliano, o peggio, si compie un vero ritorno al classismo. E qui di nuovo parlo da RSU FLC CGIL. Penso che davvero la scuola sia cambiata, in meglio. Intanto, sfatiamo la favoletta per cui i docenti non sappiano governare i nuovi media. Molti docenti si impegnano ad esempio nell’analisi dei linguaggi, dai social alle serie televisive più viste dai ragazzi, oltre a fare lezione su Leopardi e Manzoni. Io devo creare i presupposti, da docente contemporaneo, per dar modo ai miei studenti di sapersi muovere nel loro mondo, non nel mio. Oggi pratichiamo già modelli didattici innovativi, e ogni processo di apprendimento è graduale. Faccio un esempio. Quando abbiamo parlato di economia longobarda, io ho fornito loro i siti di riferimento sui quali orientare la ricerca in modo autonomo. I siti erano affidabili, e la loro certificazione è data dal docente. Altro esercizio: scegliere tra sei siti i migliori tre, ritrovando al loro interno il tema dell’economia longobarda. Certo, resta un grande problema irrisolto, quello della padronanza lessicale. Oggi gli studenti conoscono e usano poche parole. Ed è pure un paradosso, perché in realtà essi scrivono molto di più degli studenti di ieri, almeno dal punto di vista quantitativo, ma con un lessico limitatissimo. Ecco perché è su questo che puntiamo nella nostra didattica quotidiana, in modo trasversale e interdisciplinare. Ad esempio, per uscire dallo schema lessicale più usato tra gli aggettivi (brutto-bello, piccolo-grande, buono-cattivo), abbiamo iniziato a stimolarli con l’esempio della montagna e dell’eroe. Una montagna può essere imponente o scalabile, non solo grande, come l’eroe non è solo bello, ma coraggioso o codardo o intrepido. E così con le coniugazioni verbali e il discorso indiretto con lezioni dal titolo “mai dire dire”. Si tratta di lavori collettivi che hanno suscitato la curiosità dei ragazzi, lavori che deve fare la scuola, e che solo la scuola può fare. Ecco, questo secondo me è il senso della mia professione, della scuola, e della biblioteca di istituto che organizzo.

L'autore

Pino Salerno