Politiche educative

21 novembre 2025

Le mani sull’università: perché serve una reazione immediata

Negli ultimi anni l’università italiana sta vivendo una trasformazione profonda, segnata da un progressivo ridimensionamento delle risorse e da un crescente intervento della politica nella gestione degli atenei. Alla fine della stagione straordinaria dei finanziamenti PNRR, che aveva temporaneamente ampliato organici e attività di ricerca, è seguito un nuovo ciclo di tagli e restrizioni. Il Fondo di Finanziamento Ordinario ha subito una decurtazione superiore ai 500 milioni di euro, mentre l’inflazione e l’aumento dei costi del personale hanno ulteriormente messo sotto pressione i bilanci degli atenei. Di fronte a questa contrazione, molte università hanno dovuto bloccare assunzioni, limitare la ricerca e ridurre l’offerta formativa. 

La FLC CGIL lo ha denunciato apertamente in ogni sede. Ma ultimamente la situazione sembra precipitare. A questa difficoltà strutturale già denuncaita si aggiunge infatti un altro problema: l’imminente espulsione di gran parte dei 35.000 precari reclutati grazie ai fondi PNRR, tra RTDa e assegnisti di ricerca, senza che siano stati approntati meccanismi adeguati di stabilizzazione. Invece di intervenire sulla precarietà, governo e ministero hanno proposto nuove figure contrattuali più deboli e processi di reclutamento più discrezionali, riportando l’università verso un modello piccolo, frammentato e sempre meno attrattivo.

Parallelamente, si sta delineando una trasformazione ancora più radicale: la progressiva centralizzazione politica del sistema universitario. I segnali sono numerosi: la nuova presidenza CRUI apertamente allineata al ministero, la revisione dell’ANVUR che rafforza il controllo governativo sulle nomine e introduce valutazioni sugli apprendimenti, l’ipotesi di figure ministeriali nei Consigli di amministrazione, fino alla presidenza del CUN affidata direttamente al Ministro. A tutto ciò si aggiunge la legge-delega recentemente approvata, che concede al Governo 18 mesi di poteri amplissimi per riscrivere governance, reclutamento, stato giuridico del personale e organizzazione di università, AFAM ed enti di ricerca. Una delega così vasta da porre persino dubbi di costituzionalità.

In un sistema già indebolito da anni di aziendalizzazione, competizione interna, diffusione incontrollata degli atenei telematici e precarizzazione endemica, queste scelte rischiano di produrre una deriva autoritaria. L’università, sempre più piccola e stratificata, diventa il terreno ideale per un controllo politico diretto su sapere e ricerca — un fenomeno che non riguarda solo l’Italia, ma si inserisce in un clima internazionale di crescente conflitto e riarmo.

Per queste ragioni, è urgente una reazione collettiva. Non basta difendere l’esistente: occorre immaginare e rivendicare un’altra università, pubblica, autonoma, nazionale e democratica. Un’università capace di garantire organici stabili, reclutamento trasparente, diritto allo studio, libertà di ricerca e un vero investimento nel futuro del paese.

Alcuni segnali di risveglio già ci sono: assemblee aperte, discussioni negli atenei, prese di posizione di rettori e comunità accademiche. Ma serve un fronte più ampio, che coinvolga docenti, studenti, precari, personale tecnico-amministrativo, società scientifiche e sindacati. Perché la posta in gioco non è solo il funzionamento degli atenei, ma la qualità della democrazia e dello spazio pubblico in Italia.

Solo attraverso una mobilitazione diffusa sarà possibile fermare questa presa di controllo e costruire un’università davvero di tutti e per tutti.

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Redazione