La rivista

Politiche educative

PARTECIPAZIONE, SOLIDARIETÀ E FUTURO DELL’EDUCAZIONE

 I decreti Delegati hanno rappresentato il risultato dell’impegno delle forze progressiste nel processo di democratizzazione della vita sociale e politica del Paese, della lotta ai diritti sociali, della realizzazione dei principi costituzionali. Il Movimento di Cooperazione Educativa e tutti coloro che dal dopoguerra militavano per una pedagogia democratica hanno salutato a suo tempo gli Organi Collegiali come lo strumento per:

  • la fuoriuscita della scuola dall’isolamento, dalla settorialità, da un’organizzazione rigida e verticistica, promuovendo la partecipazione di chi, in modo diretto o indiretto, ha a che fare con la scuola e l’educazione;
  • professionalizzare gli operatori scolastici rendendoli protagonisti delle scelte nel governo della scuola;
  • migliorare il funzionamento dell’istituzione scolastica;
  • connettere la scuola al territorio con organi distrettuali e provinciali. Organi da tempo non più rieletti, che avrebbero potuto valorizzare l’autonomia scolastica in presenza di legami strutturati con il territorio.

Oggi, possiamo dire che dal 1974 nella scuola, nella società, nella cultura del Paese sono cambiate moltissime cose. Negli anni '70 insegnanti, studenti, operai scendevano in piazza e lottavano insieme per conquistare nuovi spazi di protagonismo. Vi era una consapevolezza diffusa del nesso scuola-democrazia, e che la democrazia o riesce a esprimere un progetto pedagogico oppure non è democrazia.

Organi Collegiali e Movimento di Cooperazione Educativa

In MCE, il terreno concettuale, pedagogico, politico della partecipazione si era sviluppato grazie soprattutto a Bruno Ciari, maestro comunista che ha dato grande impulso alla proposta politico-pedagogica MCE e non solo di MCE. Ciari ha lavorato molto per la gestione sociale della scuola negli anni in cui è stato direttore dei servizi educativi a Bologna. Negli anni '60 infatti scriveva:

«[] nella scuola il problema di fondo è quello del potere. Ogni lotta, […] ogni partecipazione avranno un senso rivoluzionario se non saranno puramente rivendicative […], ma se faranno nascere un movimento, se faranno crescere la coscienza e il potere della classe antagonista al sistema. Far cadere il diaframma fra scuola e società, facendo della scuola un centro di vita associativa, [] rappresenta l’obiettivo centrale». (La grande disadattata p. 37).

In questa citazione, nonostante i cambiamenti, le regressioni intervenuti nella scuola e nella cultura, nonostante lo stato di salute attuale degli Organi Collegiali, ci sono due temi che ci aiutano a capire perché il loro valore e il loro ruolo, nei principi di fondo, sono ancora oggi fondamentali per una scuola e una cultura democratiche.

Il problema del potere sulla scuola

Era chiaro a Ciari e a tutta la pedagogia democratica che la scuola è uno dei luoghi privilegiati dalla politica per condizionare le masse e costruire la propria egemonia culturale e che la lotta contro-egemonica implica: partecipazione, crescita della coscienza collettiva, responsabilità diffusa per fare della scuola un luogo di emancipazione per tutti e tutte.

Nell’attuale temperie culturale, in un tempo di disuguaglianze, discriminazioni, ingiustizie e guerre, gli Organi Collegiali permettono di realizzare il valore solidaristico della Costituzione, della scuola come bene comune, istituzione della Repubblica, perché rappresentano luoghi per un rapporto dialogico tra persone, competenze e ruoli diversi. Sono spazi istituzionali, pubblici per esercitare l’uso della parola, del confronto, della responsabilità e, dunque, officine per lo sviluppo e la manutenzione delle competenze di cittadinanza. Competenze da promuovere e coltivare non solo negli student* ma anche negli adulti (addetti ai lavori e non) in un’ottica di educazione permanente.

Nella visione di Bruno Ciari c’era però anche un altro importante elemento di riflessione: la gestione sociale come antidoto all’assorbimento e alla conseguente neutralizzazione di eventuali riforme positive del sistema e come elemento per contrastare culture e politiche regressive. Negli ultimi decenni la direzione ideologica dominante, che considera valori la competitività, la meritocrazia, l’individuo imprenditore di se stesso (visione oggi consolidata con le Nuove Linee guida per l’educazione civica) ha consolidato una visione di scuola selettiva, subordinata alle logiche di mercato, aziendalistica, e in molte realtà ha svuotato di senso e significato l’attività degli Organi Collegiali diventati luoghi di ratifica di decisioni prese altrove, mentre in altre realtà hanno permesso di fare la differenza. Si pensi alle sperimentazioni per una valutazione senza voto, lanciate dalle campagne inter associative Voti a perdere del 2015 e del 2019; all’I.C. di Pioltello che per non far perdere giorni di scuola ai tantissimi alunni musulmani ha adattato il calendario scolastico per il Ramadan; ai rappresentanti di classe e ai consigli di istituto che hanno supportato le attività scolastiche a scuole chiuse durante la pandemia; all’IC Rosmini di Roma che ha inserito nel curricolo di scuola la storia africana per un’operazione culturale di riequilibrio tra storia europea e altre storie. E ancora, l’esperienza della scuola superiore di Monfalcone che ha assunto una soluzione complessa, difficile, divisiva per poter contrastare l’abbandono scolastico delle studentesse musulmane a volto coperto.

Certo, sono solo alcuni esempi virtuosi, perché gli Organi Collegiali, non dappertutto riescono a esprimere fino in fondo il loro potenziale per la democratizzazione della scuola.

Si educa alla democrazia con la democrazia

Esiste un rapporto diretto tra Organi Collegiali, cultura professionale e formazione dei giovani. Conoscere e praticare l’uso di dispositivi e strumenti di governo della scuola, stare nei processi decisionali, di progettazione e sperimentazione organizzativo-didattica, insieme alla possibilità di dialogare tra diversi negli spazi della collegialità, permette ai docenti di passare (ma anche di difendersi) dalla cultura dell’adempimento (tipica di un sistema gerarchico) alla cultura del processo: reticolare, partecipativa, negoziale. È vivendo queste esperienze che gli insegnanti hanno maggiori possibilità anche per cogliere il valore della partecipazione nelle pratiche didattiche, di costruire un piano di coerenza tra l’organizzazione della scuola, che si fa di fatto curricolo implicito, e il curricolo esplicito.

C’è sempre un rapporto ineludibile e diretto tra figura e sfondo e quello che accade nel micro della classe è sempre in risonanza con quello che accade nel macro dell’organizzazione dell’istituto.

Una scuola imperniata su rapporti gerarchici, sulla neutralizzazione dei luoghi di partecipazione, su autoritarismo, mancate cooperazione e solidarietà nel personale, come può sviluppare il curricolo di cittadinanza? Ora, come in classe gli studenti vanno formati alla partecipazione e a una cultura democratica, anche il curricolo universitario e la formazione in servizio dovrebbero formare gli insegnanti all’ascolto attivo, alla mediazione creativa, alla cooperazione, al lavoro di gruppo, all’autovalutazione, non solo sul piano teorico ma anche su quello pratico in vista poi della trasformazione della didattica e dell’agire partecipativo a scuola. Trasformare la didattica, i metodi di lavoro anche dentro le università fa parte di questo educare alla democrazia. Università come palestra per imparare, sperimentandole di persona le pratiche democratiche di gestione di una classe cooperativa. La dimensione partecipativa non si inventa e gli Organi Collegiali rappresentano cantieri fondamentali per gli adulti coinvolti. Soprattutto agli studenti e alle studentesse dovrebbero essere riconosciuti più spazio e protagonismo, per la costruzione effettiva dei significati che costruiscono cultura democratica, di cui il Paese ha urgente bisogno. Le molte difficoltà dei e delle giovani a votare, ad abitare il territorio della vita pubblica, della politica, nascono anche dalle esperienze che vivono a scuola, esposti a pratiche didattiche passivizzanti, centrate sulla parola e il potere del solo insegnante; a forme di partecipazione limitate e spurie negli organismi di governo della scuola. Alla scuola viene chiesto di formare alla cittadinanza attiva, ma senza spazi autentici di esercizio alla democrazia, all’uso dei suoi dispositivi, strumenti, il diritto alla partecipazione resta solo “estetica della partecipazione”, perché di fatto la scuola non contribuisce a sviluppare le competenze per rivendicarla. Nel Movimento il nostro principio di fondo nella costruzione della classe cooperativa è: si educa alla democrazia con la democrazia.

I giovani, come abbiamo scritto nella dichiarazione congiunta, devono poter essere protagonisti del processo di apprendimento e coprotagonisti dell’esercizio del diritto allo studio. Per lo stesso motivo non è pensabile un assetto degli Organi Collegiali centrato su rapporti gerarchici tra dirigenza e docenti, tra insegnanti e studenti, tra scuola e famiglia.

Un ruolo fondamentale è quello del dirigente scolastico. Rispondere pienamente alla responsabilità della gestione unitaria dell’istituzione e della qualità dei suoi risultati, richiede un agire volto alla costruzione di un collettivo, la comunità scolastica, trasformando una semplice trama di presenze di studenti, genitori, docenti, personale ATA in risorse organizzate per l’istituzione. Ma per farlo il DS dovrebbe mettere valori e pratiche democratiche al centro del suo agire per far emergere legami, promuovere slancio etico e sentimento di appartenenza alla comunità scolastica; sostenere la pratica del dialogo, della cooperazione per far crescere responsabilità, azioni condivise e realizzare il progetto comune scuola. Costruire tutti i ponti possibili tra la dimensione gestionale-organizzativa e quella partecipativa tenendo in conto che i suoi autonomi poteri di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane «si esercitano nel rispetto degli Organi Collegiali» (D.lgs. 6 marzo 1998, n. 59, art.16; ripreso dal D.lgs. n.165 del 2001, comma 2 dell’art. 25). Certo, per far questo il Dirigente, così come i docenti, dovrebbe essere liberato dall’eccessiva burocrazia, da una cultura securitaria che imprigiona il suo ruolo il più delle volte in una solitudine autoreferenziale, provocando l’idea che per far funzionare la scuola occorra rafforzare le linee di comando di fronte a un pericolo esterno.

Al contrario, gli Organi Collegiali sono per il dirigente la sola opportunità per sfuggire alle pressioni che vengono dal Ministero, per contrastare la logica e la cultura aziendalistiche che hanno pervaso la scuola, il cui limite però non è nell’istituto dell’autonomia scolastica ma nelle politiche, formative e di reclutamento, che non hanno permesso che si realizzassero pienamente le finalità e gli scenari che Organi Collegiali e autonomia avrebbero consentito. Si pensi all’ultima norma sul dimensionamento scolastico con il criterio dei 900 alunni per istituto, sparsi tra più plessi, più comuni, indifferente alle condizioni ambientali, territoriali che rende dispersivo il lavoro degli Organi Collegiali e impraticabile la leadership educativa del Dirigente. Così come alle continue e incompiute riforme che tengono in ostaggio la scuola e i suoi lavoratori da decenni.

Riorientare la cultura complessiva del Paese

Gli Organi Collegiali e l’autonomia scolastica restano tra le contromisure politico-pedagogiche più significative per contrapporre dall’interno al modello di scuola burocratico-funzionalista e autoritario, che vede la partecipazione come qualcosa di inefficace, un ostacolo, un rallentamento dei processi, un modello ispirato alla Costituzione, capace di mettere valori e pratiche democratiche al centro dell’agire della scuola.

Bisogna darsi da fare. Occorre mettere mano a un progetto politico-formativo strutturato e sinergico tra tutte le forze democratiche del Paese: associazioni professionali, associazioni dei genitori, reti di studenti, sindacati, partiti per promuovere un lavoro capillare nelle istituzioni scolastiche, nei territori per parlare di scuola e fare della sua centralità un connettore socio-culturale e un tema aggregante. Da quest’esigenza è stata lanciata nel 2022 da MCE, AIMC, CIDI, PROTEO la proposta dei "Tavoli interassociativi” per attivare un processo partecipativo nuovo, che faccia perno in primo luogo sui docenti e sui dirigenti scolastici, e sulla loro capacità di riconquistare il protagonismo necessario per il futuro della scuola, oggi, più che mai necessario per contrastare il progetto di revisione degli Organi Collegiali, la cui direzione regressiva seguirà quella delle Linee guida per l’educazione civica, del dimensionamento scolastico, del voto in condotta e degli annunci del Ministro sul lavoro della Commissione per la revisione delle Indicazioni Nazionali.

Di fronte a tutto questo, autonomia scolastica e Organi Collegiali, così come già sono, restano presidi fondamentali da valorizzare, difendere per ri-orientare la cultura complessiva del Paese, ri-significare il valore della partecipazione. della solidarietà, della sfera pubblica e stretta interdipendenza tra individuo e società che è a fondamento della nostra democrazia.  

L'autore

Anna D’Auria

Delegata alle politiche scolastiche MCE (Movimento di Cooperazione Educativa)