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Luigi Berlinguer, un riformatore che amava la scuola pubblica

Con la sostituzione di Luigi Berlinguer nel suo incarico di Ministro dell’Istruzione (incarico ricoperto dal 1996 al 2000, nel primo governo Prodi anche con l’interim di Università e Ricerca, e poi nel governo D’Alema), subito dopo la sconfitta elettorale alle regionali tenutesi il 16 aprile 2000, termina l’ultima fase parlamentare, dopo il 1945, di riforme progressiste del nostro sistema scolastico, tese a valorizzare il ruolo della scuola pubblica e a investire affinché quella scuola continuasse a rispondere al dettato costituzionale.

Dopo di lui, a parte una breve parentesi del grande linguista Tullio De Mauro, salito a Botteghe Oscure per perorare la conferma di Berlinguer e disceso con la proposta in assumere lui l’incarico di Ministro della Pubblica Istruzione, come poi avvenne il 26 aprile dello stesso anno con il Governo Amato, abbiamo la perfida ventata dei Governi di centro destra tutti protesi, prima, a cancellare ogni legge di riforma che portasse la firma di Berlinguer e, poi, ad affermare sostanzialmente la fine della scuola della Repubblica per piegare l’istruzione pubblica a sancire le differenze di reddito e condizioni sociali di ogni studente.

Berlinguer segna, come vedremo, una stagione molto densa nella quale si pensa la scuola nel suo insieme dopo diversi anni di interventi settoriali caratterizzati dal considerare la spesa per l’istruzione come un costo non sostenibile.

È l’ultima stagione perché la sconfitta elettorale dell’aprile ’90, erroneamente associata agli effetti delle riforme nei settori della scuola e della sanità, determina il blocco di fatto di ogni spinta riformatrice e il conseguente disinteresse delle forze progressiste.

Non a caso i successivi governi con una maggioranza non di centro destra saranno contrassegnati dalla progressiva ripresa di predominio del Ministero, reso più forte dall’indebolimento della politica, e dall’abbandono del tema istruzione pubblica da parte delle forze politiche progressiste, fino all’assunzione di priorità spesso estranee ai valori del riformismo. L’apice negativo di questo allontanamento sicuramente è stato raggiunto dalla cosiddetta “Buona scuola” del Governo Renzi (Legge 107/’15).

L'apertura all'Europa

Un aspetto che ha contrassegnato l’azione di Berlinguer Ministro, sovente ignorato, è stato il profondo respiro europeo della sua azione e dei suoi riferimenti. Sono gli anni nei quali il nostro Paese si avvicina progressivamente a quella che sarà, da li a poco, l’Unione Europea. Mai sentito parlare, come allora, della necessità di un raffronto con l’Europa e con le migliori esperienze degli altri Paesi che, salvaguardando le specificità italiane, mettessero il sistema istruzione dell’Italia in grado di assumere un profilo pienamente europeo. A ben vedere la Legge 30/’00 (riforma dei cicli) trova una delle sue ragioni nell’esigenza di concludere il percorso scolastico a 18 anni come nella maggioranza degli altri Paesi europei anziché a 19 anni, come continua a essere ora, con conseguente riduzione di opportunità a parità di età. Sicuramente il confronto con l’Europa va fatto su tutto, ivi compresi i livelli di investimento e le retribuzioni, ma certo è che l’esigenza permane e non è un caso che migliaia di giovani diplomati, laureati, dottorati ogni anno escano dall’Italia alla ricerca di prospettive migliori per il loro futuro. La Riforma dei cicli è (o meglio era, vista la furia abrogazionista del Ministro Moratti) senza ombra di dubbio la più serie e lungimirante riforma complessiva dopo la riforma Gentile (1923).

Altro elemento che ne ha contraddistinto la gestione del Ministero è stata la forte considerazione del lavoro come fatto culturale e non solo e tanto come professionalizzazione spinta per quanti non sarebbero in grado di proseguire gli studi “alti”. Durissime (e condivisibili) le sue parole contro il permanere di una struttura e “cultura gentiliana” nella nostra scuola anche in chi, per i valori professati e le scelte compiute, dovrebbe essersene liberato. Su questo tema, la cultura del lavoro e il lavoro come cultura, il dopo Berlinguer è riuscito a dare il peggio di sé con la professionalizzazione spinta, la riduzione del lavoro ad addestramento, il colpevole silenzio perfino sulle norme di sicurezza per gli studenti. Al riguardo Berlinguer recentemente aveva scritto questa condivisibile considerazione: «Il sapere è invece strutturale alla persona, ricchezza metabolizzata e digerita, assimilata, sangue vero della personalità di chi lavora, del suo stesso lavorare, della sua professione. Ma questo è possibile se l’impianto educativo e il suo modello culturale non si basano sulla scissione fra cultura e lavoro. E quindi se sottopongono le loro ipotesi teoriche, il loro necessario apparato di astrazioni concettuali a una costante verifica del reale, della sua “utilità” sociale, non rifiutano di fare i conti con i fatti: ancora il nesso fra cultura e professione. Se si procede a una costante ricomposizione del sapere, a ricondurre gli inevitabili specialismi all’unità del sapere di base e alla sua contaminazione sociale. È questa la priorità del sapere nella società e nell’economia della conoscenza».

Infine, l’aspetto relativo alle relazioni sindacali e al rapporto con chi a scuola lavora.

L’allora CGIL Scuola non ha mancato di criticare il Ministro Berlinguer su alcune scelte, ma ha sempre condiviso a pieno l’esigenza di riformare la scuola pubblica e di potenziarla, di valorizzare quanti vi operano.

È un dato di fatto che Berlinguer era stimato e riconosciuto, come pochissimi prima di lui, come un Ministro competente, culturalmente autorevole e dalla parte della scuola pubblica e di chi ci lavorava, una persona che ci credeva e che ci metteva la faccia. Questo sentimento era diffuso nei tanti che si sono sentiti ri-entrati al centro dell’attenzione della politica ma anche in buona parte di quanti non ne condividevano le scelte. Nessun consenso aprioristico ma la consapevolezza di essere ritornati di nuovo protagonisti di una fase di cambiamento della scuola nella quale, finalmente, si ritornava a essere al centro dell’interesse del Paese. Certo Berlinguer ha firmato, per interposta persona (l’Aran), anche un contratto (CCNL 1998-2001) che per un suo articolo (art. 29) ha registrato un’opposizione decisa della maggioranza della categoria. Essendo stato fra i firmatari di quell'accordo riconosco, anche ora, che fu giusto fermare una previsione contrattuale che non trovava consenso nella sua attuazione concreta definita in sede di Contratto integrativo con il Ministero. Ma, ferma la riformulazione successiva di quella parte del contratto, possiamo affermare senza tema di smentita che quel contratto si collocò, nella sua autonomia, nell’onda lunga del processo riformatore in atto: vennero individuati strumenti innovativi (es.: funzioni obiettivo, aree a rischio educativo, scuole con forti processi immigratori) e nuove funzioni (es.: il DSGA della scuola autonoma), si regolò l’autonomia non come accentramento dei poteri ma come ampliamento della partecipazione, grazie alla contemporanea introduzione della contrattazione integrativa, venne valorizzata e rafforzata l’autonomia e le competenze degli Organi collegiali di scuola. Da ultimo, di quella stagione contrattuale vorrei ricordare che essa registrò un consistente stanziamento aggiuntivo alle ordinarie risorse contrattuali frutto di un impegno diretto dell’allora Presidente del Consiglio dei Ministri, Romano Prodi, come riconoscimento della specificità della scuola pubblica e del ruolo fondamentale del personale, correttamente destinate alla contrattazione e non a operazioncine del Ministro di turno.

Nel racconto di questi anni e, in particolare, in occasione della morte di Luigi Berlinguer tutti i commentatori associano la sua sostituzione alla guida del Ministero come il frutto di un errore contrattuale (l’art. 29 già citato). Questo giudizio – a mio avviso – è semplicistico ed errato perché non considera che, parimenti, venne sostituita, subito dopo le elezioni, la Ministra che ha riformato la sanità; che nelle elezioni regionali il peso dei candidati prevale in buona parte sulla loro collocazione partitica; che l’attuazione di quell’articolo contrattuale era bloccata da tre mesi; che sul fronte sindacale (cioè fra chi aveva firmato il contratto) non ci furono ricadute negative e che, anzi, la CGIL Scuola aumentò considerevolmente gli iscritti nello stesso anno.

In realtà, a mio avviso, le forze dell’allora Governo D’Alema e poi del Governo Amato giudicarono che l’intervento riformatore di sistema nei due settori più esposti sul versante del rapporto con i cittadini (scuola e sanità) aprissero tali e tante contraddizioni da scaricare un peso negativo sulle forze che le avevano sostenute. Da lì le sostituzioni e l’avvio di una fase triste nella quale spesso vennero assunti acriticamente i valori del mercato e della cultura liberista.

Berlinguer, una volta andato in pensione, si è iscritto alla CGIL. Ricordo questo particolare perché coerente con un uomo che non si è mai nascosto e perché l’avere la tessera di una Confederazione significa che si sta da una parte, quella del mondo del lavoro. In anni di mimetismo e di presunte neutralità non è davvero poca cosa quella scelta di iscrizione.   

Berlinguer è stato oggetto anche di critiche anche pesanti. Ad esempio, la CGIL Scuola non ha mai condiviso la Legge 62/’00 relativa alla parità fra pubblico e privato, mentre abbiamo sempre espresso soddisfazione per il respiro riformatore e per il riavvio di procedure per l’assunzione di personale bloccate per tempo.

Berlinguer ha lasciato provvedimenti rilevanti tutt’ora vigenti: il Regolamento sull’autonomia scolastica (DPR 275/’99); la riforma dell’esame di maturità (Legge 425/’97); la riforma dei cicli universitari che, pur firmata dal Ministro Zecchino (Decreto 509/’99), ha nell’intero impianto tutto il lavoro di definizione predisposto da Berlinguer; la riforma dei cicli scolastici (Legge quadro 30/’00) senza sottacere l’impegno per l’introduzione delle tecnologie, per lo sviluppo della musica e dell’arte.

Luigi Berlinguer è stato un uomo che ha amato profondamente la scuola pubblica e che ha rispettato la Costituzione perché la scuola è corpo vivo che si nutre di impegno e che rispetta chi la ama.

Indispensabile ricetta, questa, in questi tempi bui nei quali l’attuale Ministro intende decidere senza alcun confronto con i Sindacati e con le persone che ogni giorno aprono le porte delle scuole, che hanno ben chiaro che il “merito” significa ribaltare un principio costituzionale che impone di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Questo principio chiaramente non è più un vincolo per chi governa attualmente che, invece, vuol sancire la diseguaglianza e la diversità tra chi ha il merito e chi non l’ha.

Rispondo con le parole di don Milani: «Allora sostenete che Dio fa nascere i cretini e gli svogliati nelle case dei poveri. Ma Dio non fa questi dispetti ai poveri. È più facile che i dispettosi siate voi».

L'autore

Enrico Panini