La discussione sul rinnovamento degli Organi Collegiali deve muovere dalla consapevolezza che la loro creazione appartiene a una fase storica profondamente diversa da quella odierna. Negli anni Settanta, le forze progressiste potevano contare su una situazione politico-culturale complessivamente favorevole. La questione della partecipazione democratica alla gestione della scuola si collocava in un più vasto movimento di cambiamento democratico del Paese, nella direzione dell’attuazione della Costituzione. Certo, alla fine i Decreti Delegati emanati nel 1974 risultarono inferiori alle attese. In particolare, appariva grave il limite di un’apertura limitata ai soli genitori, anziché a un più vasto insieme di forze sociali, secondo l’idea iniziale. Tuttavia, si ritenne si aprissero in ogni caso occasioni di cambiamento democratico. Si disse che la tigre della riforma andava cavalcata, anche se presentava i limiti e contraddizioni. E fu prodigato il lavoro in questa direzione. I risultati furono certamente inferiori alle speranze. In parte a causa di una maggiore presenza di genitori di orientamento moderato-conservatore negli Organi Collegiali. In parte per la predominanza di dirigenti e di insegnanti di orientamento conservatore nella scuola, e per la burocraticità di questa istituzione. Poi, con gli anni Ottanta, ha iniziato la sua marcia la controrivoluzione neoliberista. Il clima politico-culturale ha iniziato a mutare. Alla tensione per le conquiste democratiche subentrava quella per la produttività e la competitività del sistema economico. Così, anche nella scuola le politiche volte alla realizzazione del diritto all’istruzione e dell’uguaglianza formativa cedevano progressivamente il passo a politiche preoccupate per la qualità dell’istruzione e la competitività internazionale. Negli anni Novanta, l’attenzione si è poi spostata sull’autonomia scolastica, che – con lo sganciamento progressivo dalle idee di democratizzazione – ha però assunto una forma funzionalista, secondo l’ideologia neoliberista della scuola azienda e del management, per poi cadere in gran parte nella burocratizzazione della vita scolastica.
Gli organi collegiali rappresentano, perciò, l’eredità di una fase storica di riforme democratiche che appartiene al passato. Tuttavia, il loro senso non è tramontato. Sebbene oggi siano in gran parte svuotate del loro spirito originario, conservano un significato democratico che non deve essere sottovalutato.
I rischi. Le priorità
Oggi, attraversiamo una fase storica differente, caratterizzata da una crisi egemonica del neoliberismo, che perciò è spinto a cercare alleanze con forze populiste e sovraniste. Pensare a una riforma degli Organi collegiali in questo quadro, che vede ancora il predominio delle forze conservatrici, nonché di un’ideologia che considera la scuola come subalterna al mondo delle imprese, presenta vari rischi. Potrebbe essere rafforzato il ruolo delle famiglie fino a dare loro un potere di condizionamento sulle scelte educative e didattiche dei Collegi dei docenti. Oppure, l’apertura alla partecipazione potrebbe essere curvata in direzione economicista, con l’ingresso di stakeholder imprenditoriali nei Consigli d’Istituto. In altre parole, gli spazi di democrazia scolastica potrebbero subire un’ulteriore riduzione.
Questo è il bivio che si apre di fronte al cambiamento degli Organi Collegiali. Da un lato, un loro più forte condizionamento economicista e familista (secondo due direzioni che caratterizzano le forze conservatrici), a scapito del loro significato democratico. Dall’altro, il tentativo di ripristinare alcune condizioni di tale funzione democratica.
A questo proposito, si possono indicare alcune priorità.
La prima è quella di portare a sintesi l’ispirazione democratica originaria degli Organi Collegiali con una riconfigurazione dell’autonomia scolastica. Autonomia e gestione democratica dovrebbero rappresentare facce della stessa medaglia. Questo implica il superamento del modello funzionalista e manageriale di estrazione economicista. L’azienda non rappresenta uno spazio di democrazia e non può dunque essere il modello secondo cui pensare la scuola. Lo stesso discorso sulla scuola dovrebbe purificarsi da una terminologia che inclina in questa direzione (termini come governance, middle management, ecc.). L’altra priorità – strettamente connessa con la prima – potrebbe essere quella di rilanciare il ruolo dei docenti nella gestione democratica della scuola, rispetto a quello delle forze esterne. Questa indicazione non discende da un’ottica corporativa, ma da una precisa valutazione politico-pedagogica. Se si vuole realmente che gli insegnanti possano attuare una educazione democratica e formare le cittadine e i cittadini di domani, essi non possono essere soggetti a un rapporto autoritario con l’amministrazione scolastica e con la dirigenza (sarebbe una contraddizione, che Dewey aveva segnalato nel saggio Democrazia e amministrazione scolastica, del 1937). È necessario che gli insegnanti siano protagonisti della gestione democratica della scuola. Soltanto autoeducandosi in senso democratico si possono educare gli altri alla democrazia.
Tutto questo deve essere accompagnato da una vigorosa riaffermazione del quadro dei valori etico-politici entro cui si colloca il nesso fra autonomia, partecipazione alla gestione della scuola e ruolo dei docenti. Valori democratici iscritti nella Costituzione, che deve sempre rappresentare il nostro riferimento ideale.
Professore di pedagogia generale all'Università di Urbino e presidente nazionale di Proteo Fare Sapere