Il Ponte porterà turismo, soldi, gloria alla Sicilia! Questo è uno dei tanti slogan urlati dai politici di turno per promuovere il progetto del Ponte sullo Stretto. Un’opera su cui sono stati investiti già moltissimi soldi senza che si sia mosso un solo mezzo. Da slogan come questi sembra che al Governo importi molto del Sud: eppure con l’emendamento della Lega si sottraggono ben 7 miliardi di euro al Fondo di coesione e sviluppo di tutto il Mezzogiorno e di conseguenza alle vere emergenze che ci sono (e ce ne sono tante). Lo sviluppo della città di Messina non può passare dal Ponte: questo è chiaro per chi conosce bene il territorio. Ne abbiamo parlato con Pietro Patti, segretario generale CGIL Messina.
Lo Stretto di Messina è situato in una delle aree più sismicamente attive d’Europa, con numerose faglie che attraversano il fondale marino. Polemiche, smentite, contro offensive, la verità è che, documenti alla mano, il pericolo reale di costruire un ponte ad elevato rischio sismico, c’è. Per non parlare del rischio ambientale, non affatto secondario…
Il rischio sismico c’è, eccome se c’è. Perfino nelle carte del progetto c’è scritto che uno dei piloni sorgerà su una faglia attiva e, tra l’altro, la Società Stretto di Messina non ha nemmeno aggiornato le carte sismiche dell’area. Da non sottovalutare, e non se ne parla abbastanza, anche la questione dei cavi, i quattro cavi principali che, è stato dimostrato, non terranno la fatica del sistema[1]. Il potenziale danno ambientale è impensabile già solo se si pensa alla ferita all’ecosistema marino che si infliggerà per costruirlo, il Ponte. Lo Stretto di Messina è infatti uno dei tratti di mare più ricchi di biodiversità al mondo, habitat di numerose specie marine, alcune delle quali minacciate. Gli impatti sulle acque dello Stretto, sull’habitat delle specie ittiche e sulla qualità del mare sono tra le principali preoccupazioni. La costruzione del Ponte comporterebbe l’occupazione di ampie porzioni di mare, con la possibilità di alterare i fondali marini e danneggiare i delicati equilibri ecologici che da secoli caratterizzano la zona. Ci sono zone di protezione speciale, c’è la riserva naturalistica, ci sono i laghi di Ganzirri. L’allevamento di cozze non è un aspetto secondario e per Messina è un valore aggiunto: è una specie che nasce in un ambiente naturale straordinario, laghi salati, e ricco di storia, che non esiste in nessun altro luogo in Italia. Non è un caso, che il Ponte in questo momento sia bloccato proprio per questo. C’è stato un parere negativo delle commissioni VIA (Valutazione Ambientale Strategica) e VAS (Valutazione di Impatto Ambientale) sulla valutazione di incidenza che ha bloccato tutto. La Società Stretto di Messina vuole chiedere delle deroghe alle regole europee sull’ambiente che impediscono di costruire in zone di forte rilevanza ambientale. L’aspetto ambientale, come dicevi tu, non è affatto secondario e ha delle ricadute negative sulla vita delle persone che abitano quei luoghi.
Il Ponte rovinerebbe un sito unico al mondo, potenziale patrimonio dell’UNESCO…
Per il National Geographic la spiaggia di Capo Peloro è al primo posto tra le dodici spiagge più suggestive d’Italia, quella con il panorama più bello. Beh, Capo Peloro non esisterebbe più, verrebbe spazzata via dal Ponte. Legambiente chiede da tempo che lo Stretto diventi sito patrimonio dell’UNESCO, l’iter era stato avviato dall’amministrazione guidata dall’allora sindaco di Messina Renato Accorinti ma poi si è fermato. Tra l’altro deve essere il Governo a proporne, con un atto concreto, l’inserimento nella lista dei siti da candidare, ma è evidente che non ha nessun interesse a farlo. Se lo Stretto di Messina diventasse patrimonio dell’UNESCO, il Ponte non si potrebbe più costruire…
La costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina comporterà la demolizione di circa 450 case, 300 in Sicilia e 150 in Calabria, costringendo altrettante famiglie a lasciare le proprie abitazioni. Abitazioni ma anche aziende. Con quali prospettive?
Come dicevo il Ponte avrà un’incidenza negativa su molte cose, sull’ambiente, sulle attività lavorative, sul contesto sociale ma soprattutto sulla vita delle persone che abitano quei luoghi: che ne dicano i politici di turno o i progettisti, chi farà le spese di tutto questo saranno soltanto Messina e Villa San Giovanni. Le persone che saranno costrette ad abbandonare le loro abitazioni troveranno ad aspettarli uno spietato mercato immobiliare che ha già costi esorbitanti e che non potrà trovare facilmente una casa per loro: con il SUNIA[2] abbiamo fatto un focus sui costi delle case, altissimi soprattutto nella zona centrale di Messina, tra periferia e centro c’è una differenza del 50, anche 70%. E ovviamente le case nei luoghi in cui sorgerà il cantiere del Ponte sono già deprezzate. Un’altra cosa a cui nessuno pensa: il cantiere del Ponte. Il cantiere sarà come una media città, un’area densamente popolata come la zona nord di Messina verrebbe devastata. Ma i lavori per il Ponte interesserebbero tutta la città, da nord a sud, ci sarà una galleria di circa 20 km, una stazione sotterranea in centro e una nella zona sud, e gli espropri ci sono anche in altre zone della città. E se si iniziassero i lavori e poi si interrompessero, cosa peraltro molto probabile? Sarebbe una cattedrale nel deserto che ha creato solo devastazione.
Nel progetto si parla di tantissimi posti di lavoro in più, ma la CGIL Messina ha detto più volte che il valore economico dell’occupazione aggiuntiva è sovrastimato. Ci puoi dire qualcosa in più?
Il bilancio occupazionale del Ponte è totalmente negativo. Attualmente tra 1.700 lavoratori per i traghetti e 800 per l’indotto, abbiamo 2.500 lavoratori occupati tutto l’anno, per sempre. Nel progetto c’è scritto che per la forza lavoro verranno stanziati 540 milioni di euro, finanziamenti che genereranno circa 2.229 unità per ciascuno degli anni di lavorazione, che sulla carta dovrebbero essere otto. Stiamo parlando di meno persone e per pochi anni. Inoltre il progetto omette la valutazione degli effetti occupazionale “esterni” al cantiere (perdita di posti di lavoro per la chiusura di attività connessa alle invasive e diffuse attività di esproprio) e soprattutto alla soppressione dell’occupazione nell’attività di traghettamento che, nello scenario del progetto, verrebbe totalmente cancellata. Quindi i posti di lavoro che si perderanno saranno di più e, per sempre.
Se invece tutti questi soldi si stanziano per la costruzione di nuove navi, ecologiche magari, per avere una continuità territoriale, che noi rivendichiamo, si costruiscono posti di lavoro duraturi, si impiegano i giovani, giovani che oggi lasciano il territorio perché non c’è lavoro.
Molti dicono che per tutte le grandi opere c’è un piccolo prezzo da pagare. Che a qualcosa si deve pur rinunciare. Perché non è il caso del Ponte?
Tanto per cominciare non ci conoscono costi e benefici ufficiali. E inoltre abbiamo già esempi di grandi opere che non hanno portato benefici, un esempio soltanto: l’alta velocità in Campania. Il Ponte non è un veicolo per sviluppo industriale, territoriale e sociale della Sicilia anzi, noi crediamo che sia un freno.
A cosa?
All’economia stessa, tanto per cominciare. Le merci si muovono con le navi, lo stesso quantitativo di container che possono trasportare le navi non è paragonabile a quello che possono trasportare i treni. Tra l’altro le navi sono molto più ecologiche rispetto al passato e i soldi possono essere investiti nell’acquisto di traghetti più grandi e più “verdi”. Inoltre, lasciamelo dire, la maggior parte dell’attraversamento lo fanno i pendolari ma ai pendolari non serve affatto il Ponte, loro si spostano velocemente con i traghetti e gli aliscafi, arrivare all’imbocco del Ponte sarebbe scomodissimo. L’alta velocità non verrà mai realizzata in Sicilia, con o senza Ponte. E poi, siamo onesti, un turista che viene dall’Europa certo non viene in Sicilia col treno. C’è anche un dettaglio, per nulla irrilevante, che noi denunciamo da un pezzo, il grosso problema delle navi container che non riuscirebbero a passare sotto al Ponte e questo sarebbe un enorme danno economico, ad esempio, per Gioia Tauro che è uno dei porti commerciali più grandi d’Italia. Se le risorse stanziate per il Ponte fossero investite nelle emergenze vere dei nostri territori allora sì che servirebbero.
Quali sono queste emergenze?
La questione idrica, per cominciare: la siccità uccide i nostri territori. Ci sono aziende nel catanese che hanno avuto un calo del 30, 40% della produzione di arance lo scorso anno. Le strutture ricettive a causa della siccità hanno avuto cancellazioni e defezioni turistiche. Interi centri abitati, Messina compresa, subiscono un razionamento dell’acqua. Si calcola che occorrerebbero 5, 7 miliardi di euro per efficientare la rete idrica siciliana. E poi c’è l’altra faccia della medaglia della siccità: non piove per mesi e quando piove crollano le strade, da qui la necessità di investire nella mitigazione del rischio idrogeologico. Ancora, la rete ferroviaria è ingestibile: si parla tanto dell’alta velocità mentre qui non funzionano i normali treni. E le autostrade? Il CAS, che è l’ente regionale che ha in capo la cura e la manutenzione delle autostrade siciliane, in un consiglio comunale aperto ha affermato che necessitiamo di 3 miliardi e 200 milioni di euro per sistemare viadotti, ammodernare e mettere in sicurezza gallerie, sistemare il manto stradale, soldi che non ci sono. Importante sarebbe potenziare gli aeroporti, le interconnessioni tra porto, aeroporto e asse viario che attualmente sono inesistenti. Tutti questi soldi messi insieme arrivano alla cifra che si spenderà per il Ponte. La differenza abissale è che al contrario del Ponte, tutte queste opere avrebbero un impatto reale e immediato sulla qualità della vita delle persone. Chi abita a Palermo o nelle zone montane, nelle zone interne, non ha bisogno del Ponte: ha bisogno di acqua, che le strade interne siano messe a posto e illuminate, che siano potenziati i presidi ospedalieri, i sistemi di sicurezza. Ma anche per le aziende il problema non è fare arrivare le merci nel mondo, ma fare arrivare le merci dal luogo di raccolta che magari sono interne o montane, alle zone di produzione, che si trovano molto stesso nella fascia costiera.
Quali sono i prossimi appuntamenti?
I prossimi appuntamenti sono in Europa. Recentemente abbiamo avuto un incontro con gli europarlamentari e ci sarà una conferenza stampa a Bruxelles per portare all’attenzione della Commissione Europea il tema. A novembre c’è stata una grande conferenza stampa a Roma[3] in cui insieme alla CGIL Nazionale, a Greenpeace, Legambiente, WWF, partiti e associazioni vicini alla causa, abbiamo presentato alla stampa un documento e reso note le tappe di una mobilitazione già iniziata. Ovviamente continuiamo a portare le nostre rivendicazioni nei territori con incontri, manifestazioni, sit-in con l’obiettivo di una grande manifestazione nazionale.
[1] Rimandiamo per approfondimenti alla relazione dell’ingegnere Antonino Risitano intervenuto all’incontro del 20 Giugno 2024 organizzato da Legambiente presso il Salone degli Specchi di Messina https://www.youtube.com/watch?v=ASArLNrjyUc
[2] Organizzazione sindacale degli inquilini privati e degli assegnatari di edilizia pubblica.