Cultura

12 novembre 2025

Per una pedagogia della Resistenza. I Convitti scuola della Rinascita

Per una pedagogia della Resistenza è un libro che riscopre un’esperienza poco conosciuta ma densa di implicazioni per la scuola italiana: i “Convitti della Rinascita”, esperienze nate nel quadro della Liberazione e del primo dopoguerra che misero in campo pratiche educative orientate alla democrazia, all’autonomia formativa e alla formazione tecnico-professionale legata alla cittadinanza.

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È un lavoro che colma una lacuna storiografica apparentemente immotivata. Non che siano mancatati, infatti, i documenti di una vicenda di per se conosciuta e niente affatto misteriosa, né fanno difetto le testimonianze di chi ne fu protagonista, piuttosto è la scarsità dei lavori storici e l’altrettanto esigua ricezione nei testi di storia della pedagogia che ci restituisce una vicenda politica che ha portato prima all’inaridimento finanziario dei Convitti e poi alla marginalizzazione, anche memorialistica, di quella che fu una ambiziosa sperimentazione per la formazione di una scuola democratica a tempo pieno, tanto umanistica quanto tecnica, capace di formare pensiero critico. Una vicenda che ci restituisce molto del nodo, sempre attuale, dell’eredità della Resistenza ma anche dei tratti di continuità/discontinuità che innervarono la storia della Repubblica, soprattutto dopo il tornante delle elezioni dell’aprile del 1948 e l’avvio della vicenda della “democrazia protetta” a guida democristiana. La fine dell’unità nazionale e dell’intesa antifascista di derivazione ciellenistica, aprendo le porte alla stagione del centrismo e alle sue curvature più marcatamente integralistiche, mette dentro una non breve parentesi anche quelle esperienze pedagogiche – come per l’appunto i Convitti – che fanno della laicità un valore non negoziabile. Il tutto, a favore di un’impostazione dell’attività formativa e di un’idea delle istituzioni scolastiche fortemente impregnate di un clericalismo dotato di radici profonde nella storia d’Italia e in quel contesto rafforzato sia dai Patti lateranensi del ’29 che dallo strettissimo legame che viene ad instaurarsi tra Chiesa cattolico, Governo e lealtà atlantica.

Il volume curato da Antonio Bettoni e Dario Missaglia, Per una pedagogia della Resistenza, nasce dall’intento di riportare alla luce un capitolo dimenticato della storia educativa italiana: come si diceva in apertura, quello dei Convitti scuola della Rinascita, istituzioni sorte tra il 1944 e il 1947 come esperimenti di ricostruzione morale e civile dopo la catastrofe fascista e la guerra.

La pubblicazione, promossa da Edizioni Conoscenza e sostenuta da Proteo Fare Sapere e FLC CGIL, si colloca in un crocevia significativo: tra ricerca storica, riflessione pedagogica e impegno civile. È un libro che nasce da dentro la scuola e per la scuola, ma guarda oltre l’istituzione, interrogando la sua responsabilità nella formazione del cittadino democratico.

La struttura del volume riflette la complessità dell’oggetto: una prima parte teorica e introduttiva (con i saggi di Bettoni, Missaglia e Mari) offre il quadro interpretativo; una seconda parte monografica raccoglie studi dedicati ai principali convitti italiani (Milano, Varese, Cremona, Genova, Venezia, Roma ecc.); una terza parte presenta documenti originali – statuti, cronologie, testi d’epoca – che rendono il volume anche una preziosa fonte per la ricerca e la didattica.

A completare il percorso, una sezione biografica su protagonisti e promotori dell’esperienza, e una postfazione di Massimo Baldacci, che riflette sul significato attuale di una “pedagogia della Resistenza”.

A contraddistinguere i Convitti della Rinascita fu proprio la loro straordinaria peculiarità e unicità, tale da farne esperienze assolutamente singolari e per certi versi – in ragione del contesto che li alimentò – irripetibili: scuole residenziali destinate a giovani reduci, orfani di guerra, ex partigiani e operai, fondate sul principio dell’autogoverno e su un’idea di educazione integrale che unisse formazione tecnica e cultura umanistica. Nel contesto di un Paese devastato, rappresentarono il tentativo concreto di incarnare i valori di libertà, solidarietà e partecipazione che la Resistenza aveva affermato sul piano politico. Il libro mostra come questi convitti furono veri laboratori pedagogici, nei quali si sperimentarono pratiche oggi considerate avanzate: partecipazione degli studenti alle decisioni educative, educazione alla cittadinanza attiva, valutazione formativa, integrazione fra scuola e territorio, attenzione alla dimensione affettiva e collettiva dell’apprendimento.

Nella sua più avvertita, e a mio avviso pienamente centrata, ambizione, il volume suggerisce che la “pedagogia della Resistenza” non è solo un’etichetta storica, ma una categoria interpretativa attuale. Essa indica una pedagogia della ricostruzione: un’educazione che nasce nei momenti di crisi, quando la scuola deve farsi spazio di riscatto e di democrazia. In questo senso, i curatori invitano a una lettura “attualizzante”: così come nel 1945 la scuola doveva ricostruire la coscienza democratica dopo il fascismo, oggi deve resistere alle derive di mercificazione e tecnicismo che riducono l’educazione a performance.

Un’ultima considerazione va dedicata alla pluralità di voci — storici, pedagogisti, ricercatori locali — che arricchisce la narrazione del volume perché questa pluralità rispecchia fedelmente la natura dei Convitti stessi: esperienze poliedriche, nate dal basso, animate da insegnanti, amministratori, sindacalisti e partigiani. Il volume rende conto di questa coralità senza sovrapporvi un’unica voce.

Il merito maggiore del libro è ricordare che la scuola non è mai neutra: è sempre attraversata da conflitti, visioni del mondo, scelte di valore. Nel momento in cui l’educazione viene ridotta a “competenze” e “risultati”, la memoria dei Convitti della Rinascita ci obbliga a ripensare la scuola come luogo di resistenza culturale: resistenza contro la disuguaglianza, contro la subordinazione della formazione all’economia, contro l’appiattimento delle coscienze. La “pedagogia della Resistenza” evocata da Bettoni e Missaglia è dunque una pedagogia militante, non ideologica, ma mossa comunque da una fortissima carica etica: una chiamata a concepire l’educazione come costruzione quotidiana di libertà, responsabilità e senso critico.

Per una pedagogia della Resistenza, dunque, è un volume prezioso e, in questi tempi, azzarderei necessario: non tanto per la sua originalità teorica, non è questo il suo intento. Quanto, piuttosto, per il valore politico e culturale che restituisce all’educazione. È un libro che si legge come un atto di memoria e di testimonianza, oltre che come un invito a “resistere” oggi — in una scuola che rischia di perdere il senso della propria missione democratica.

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L'autore

Edmondo Montali

Responsabile sezione storia Fondazione Giuseppe Di Vittorio