“Tutta la condizione di fatica e limite propria dell’esperienza umana è, quindi, di Eva, archetipo primo del genere femminile. (…) Per questo motivo Eva è ancora l’unico nome biblico - insieme a quello del traditore Giuda - che bestemmiare è considerato veniale”. (Ave Mary – Michela Murgia)
Non ne siamo usciti migliori, almeno non nella relazione tra i sessi: tutti i buoni propositi che aiutavano a guardare avanti nel periodo di reclusione del covid, sono miseramente smentiti nella quotidianità che ci restituisce la cronaca. Vero è che i fatti cruenti alimentano seguito e assicurano pubblico a tivù e giornali, spingendo ad una sovraesposizione i casi, ma è altrettanto certo constatare come l’affermazione del singolo individuo sugli altri stia progressivamente diventando il principio di una convivenza “malata” attorno alla quale nascono e deflagrano episodi di sopraffazione, violenza, sopruso. Di questi si è riempita l’estate in corso, cupa più che nera.
Non si lotta per un respiratore in terapia intensiva, ma per un parcheggio al centro commerciale, per un rumore molesto, un commento su facebook, uno sguardo: l’elemento scatenante, qualsiasi esso sia, non implica la sopravvivenza, ma l’immaginario di sé come definizione della propria proiezione dominante.
Poco importa la serietà dell’evento, ma vincere ed avere ragione con qualsiasi mezzo fino alle estreme conseguenze. Nel lungo elenco di aggressioni, spesso per futili motivi, che continua a caratterizzare questa estate 2023, un numero importante di accadimenti vede vittime le donne. Vittime dirette uccise, violentate, picchiate, offese, o indirette perché additate a pretesto per autocelebrare una presunta superiorità.
Cosa sta succedendo, deve essere analizzato nel contesto giusto e specialistico, senza affidare tutto alla banalità dei talk show che replicano i medesimi schemi paludati: perché vediamo intorno una tale barbaria di comportamenti che rende impermeabile al lavoro di sensibilizzazione fatto negli ultimi decenni? Da dove viene la deriva che ha annientato ogni forma di reciprocità tra le persone e i generi? Non è una prerogativa tutta italiana, altri in Europa non sono da meno, ma pare evidente ci sia, nel nostro paese, un compiaciuto machismo che esce dal passato bollando le conquiste “di parità” come ideologia di un femminismo desueto.
Anche senza arrivare ai più efferati crimini, ma dobbiamo sempre parlarne di “violenza”, possiamo fare un lungo elenco di fatti di cronaca recenti che segnano la ritirata dal fronte dell’emancipazione dei diritti, anche sfruttando il mezzo più subdolo di colpire con l’umiliazione: il giornalista sportivo in diretta tivù, interessato a commentare volgarmente le forme delle tuffatrici agli ultimi campionati mondiali, l’avvocato nel pieno di una festa con amici che rompe la relazione rendendo pubblico e social il tradimento della compagna, la ragazza coperta di cioccolato “offerta” insieme ai bigné nella sala-pranzo dell’hotel di un gruppo-leader del settore turistico.
È un incalzare continuo di prepotenze, dove sbilanciato è il potere di reazione, perché riaffiora nella comunità l’arcaico modello, storicamente dominante, della donna intesa come parte sussidiaria dell’uomo; non solo marito o padre, ma maschio nell’esercizio di qualsiasi funzione.
Bisogna far ripartire l’indignazione, il comune rifiuto a certo oscurantismo che riemerge, la consapevolezza della responsabilità che abbiamo nella storia: facciamolo singolarmente e soprattutto attraverso le forme di rappresentanza che ci offronto le associazioni, la politica, il sindacato, la cultura, ma facciamolo subito.
Ci mancherà molto Michela Murgia, e la sua voce forte e intelligente che sapeva di libertà senza condizioni.