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Giovani omicidi

Ancora non si era spento il ricordo dei femminicidi di Giulia Cecchettin e di Giulia Tramontano che, nell’arco di un mese, si sono verificati altri fatti di sangue che hanno colpito l’opinione pubblica non soltanto per la loro efferatezza, ma anche per la giovane età degli assassini.

Il primo in ordine di tempo (31 agosto), a Paderno Dugnano (Milano), è stato in realtà una strage. Un diciasettenne ha ucciso a coltellate i genitori e il fratellino nel corso della notte perché, secondo quanto avrebbe spiegato successivamente agli inquirenti si sentiva un estraneo dalla famiglia e dal mondo: «Pensavo agli altri come meno intelligenti, volevo cancellare la mia vita di prima» tranne poi, a strage avvenuta dichiarare «se ci avessi pensato di più non l’avrei mai fatto» e comprendere che l’eliminazione dei familiari, lungi dall’aver risolto il suo “malessere”, era ormai “irreversibile”. Nelle relazioni degli esperti che si sono occupati di lui, in diversi colloqui è emerso, secondo quanto riportato dalla stampa che, prima di quella strage familiare, il ragazzo pensava spesso alle guerre e che si commuoveva, mentre la stessa commozione non la provava per amici e familiari. Altri malesseri che lo tormentavano erano un debito di matematica ricevuto alla fine dell’anno scolastico e un clima competitivo in famiglia, nello sport e in generale nella la società. Secondo quanto avrebbe confidato al nonno nei giorni successivi al pluriomicidio, voleva «lasciare i beni materiali», una frase che indicherebbe il desiderio di voler separarsi dai genitori. Perché allora anche il fratello? «Non sarei riuscito ad abbandonarlo» avrebbe spiegato. E ancora, in un primo momento avrebbe individuato una possibile soluzione al “malessere” nell’andarsene di casa, magari per combattere la guerra in Ucraina, poi però non aveva ritenuto questa soluzione efficace per raggiungere il suo scopo.

Il secondo caso è quello dei due neonati sepolti in giardino appena nati a Vignale di Traversetolo in provincia di Parma: uno nel maggio del 2023 (quando la madre aveva 20 anni), il secondo il 7 agosto del 2024 (quando la madre aveva 21 anni). Sembra una storia “ucronica” fuori dal tempo e dallo spazio: amiche, fidanzato, conoscenti, vicini di casa non si sarebbero accorti né delle gravidanze, né del parto; la giovane avrebbe partorito da sola in entrambi i casi; padre e madre non si sarebbero accorti di nulla, ma poi è emersa una intercettazione telefonica in cui la mamma chiede alla ragazza - che per giustificare il sangue trovato dopo il parto del 7 agosto parla di emorragia - «anche l’emorragia dell’anno scorso era conseguenza di un parto?»; la ragazza faceva la babysitter, insegnava catechismo ai bambini; dai suoi paesani viene descritta come un tipo solare e sorridente; due giorni dopo avere sepolto il secondo neonato in giardino era partita per un viaggio negli Stati Uniti insieme ai genitori. E quando, durante il viaggio, viene a conoscenza del ritrovamento del secondo cadavere, trovato per caso in giardino dal cane della nonna, continua il viaggio, con papà e mamma, come se nulla fosse.  Secondo gli inquirenti i due omicidi erano premeditati, come risulterebbe da ricerche fatte dalla ragazza sul web relative alle fasi del travaglio e al modo per sopprimere il neonato. Il secondo è morto dissanguato a causa del cordone ombelicale tagliato e lasciato aperto. Non si può non notare, in questo caso come nel precedente, una cecità morale e una dissociazione tra aspetti importanti della vita e della personalità dell’omicida: la ragazza, che insegna catechismo ai bambini e fa la babysitter, sopprime i suoi due neonati e li sotterra in giardino. La psichiatria definisce questa condizione mentale schizofrenia: uno stato psichico che consente al soggetto di vivere in un mondo a compartimenti stagni, dove si possono recitare parti diverse, passando dall’una all’altra con la stessa disinvoltura di un attore incallito. Proprio come accade nei film su Netflix dove le storie sono molto emozionanti ma senza un filo conduttore: storie ucroniche (dal greco kronos) per l’appunto, ognuna racchiusa in sé stessa. Pensando a ciò che vedono i giovani oggi nel mondo virtuale (ma anche nelle violenze del mondo reale) viene da chiedersi se certi ragazzi e ragazze – suggestionabili, ipersensibili, psicologicamente isolati e senza una adeguata preparazione a collegare gli avvenimenti tra di loro e con dei sani principi di riferimento – trovino facile ispirazione e identificazione in comportamenti scollegati dai valori condivisi fondamentali.

Il terzo caso è quello di quel diciasettenne (di Viadana in provincia di Mantova) che ha soffocato una donna, Maria, in pochi secondi con una mossa da wrestling, ovvero stringendole con violenza braccio e avambraccio intorno al collo. La donna, una quarantaduenne che l’aveva conosciuto online, aveva programmato di avere con lui un rapporto sessuale. Cosa che si è verificata prima del soffocamento. Del diciasettenne, coloro che lo conoscono, hanno riferito che lo vedevano spesso appartato e silenzioso anche a scuola e che trascorreva molto tempo nel garage dei suoi genitori sia per ingigantire i muscoli con esercizi ossessivi davanti allo specchio, sia per esercitarsi nelle arti marziali e in sport da combattimento. Decine di riprese video online lo vedono impegnato ad allenarsi. Secondo una sua testimonianza, riportata dai giornali, la motivazione del femminicidio sarebbe stata quella di vedere come muore una persona e se lui fosse realmente capace di uccidere a mani nude. Il caso è agghiacciante. C’è però da chiedersi quanto possa avere influito, nella disumanizzazione di questo diciasettenne, una “dieta” a base di sport da combattimento e video violenti fin dall’infanzia. Il wrestling è una lotta che si può seguire sugli schermi e che molti genitori lasciano guardare ai loro figli maschi fin da bambini. Osservando i lottatori adulti sul ring i bambini studiano le mosse “che fanno male”, imparano a sfogare la loro aggressività in modi violenti, a identificarsi nel bullo e a umiliare la vittima. Video dopo video, finiscono poi per considerare lecite le violenze che vedono messe in atto dai lottatori adulti e, nel diventare sempre più abili in quel tipo di lotta, modellano la propria immagine su quella del duro capace di uccidere e rafforzano la propria autostima. Una analoga influenza possono avere, su soggetti immaturi, suggestionabili e non educati, i film su mafiosi e delinquenti efferati, dove l’eroe negativo, crudele insensibile e totalmente privo di senso morale, ha la meglio sulle sue vittime. Se poi si aggiunge lo stress cronico creato dalle guerre, dalle pandemie e dalla precarietà personale di molti giovani che non riescono a prefigurarsi un futuro, si può comprendere lo sbandamento dei soggetti più fragili. La domanda che molti si pongono è se è possibile prevenire tragedie come quelle sopra descritte. Una maggior reattività del cervello adolescenziale, la mancata integrazione tra pensiero razionale e sfera emotiva, il muoversi tra contesti reali e virtuali, la cecità morale, l’assenza di controllo che caratterizza quei giovani dalla realtà frammentata e scollegata, ci dicono quanto sia importante una educazione ferma e strutturata, basata sui valori della vita, sul senso morale, sulla comprensione dei sentimenti, sul rispetto degli altri e anche – per evitare di coinvolgere gli altri nel proprio malessere – sulla capacità di porre dei confini tra sé e l’altro, tra il proprio sentire e quello altrui. Il fratellino del diciasettenne di Paderno Dugnano, risucchiato dal “malessere” del fratello che pure gli era affezionato, non voleva certamente morire accoltellato da lui.  Serve anche una maggiore diffusione della cultura psicologica così da comprendere, o quanto meno intuire, quando un giovane ha bisogno di aiuto. Anche i ragazzi, non soltanto gli adulti, possono cogliere i segni del disagio mentale nei loro amici (sbalzi d’umore, violenze, chiusura, ossessioni, silenzi, angosce, comportamenti incongrui o bizzarri) se qualcuno insegna loro come osservare. Serve dunque fornire loro una educazione emotivo-sentimentale a partire dai primi anni di vita. La può dare la famiglia, ma la può dare anche la scuola, a cui non mancano gli strumenti culturali e didattici per trasformare dei piccoli selvaggi in persone responsabili, capaci di conoscere sé stessi gli altri e il mondo in cui vivono, di controllare i propri impulsi aggressivi, di sviluppare empatia, senso civico e morale. Il vantaggio della scuola è che raggiunge tutti i ragazzi, compresi quelli con famiglie problematiche o distratte.

Nota dell’editore

Anna Oliverio Ferraris è una notissima psicoterapeuta dell'età evolutiva. In un suo recente libro, Tutti per uno. Un romanzo per dare voce alle cose non dette affronta in forma narrativa alcune delle mille sfaccettature del disagio giovanile, un romanzo che molti ragazzi dovrebbero leggere, ma anche i loro genitori. E in un mondo fatto della solitudine nei social aiuta a riscoprire la gioia dello stare insieme, in presenza.

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